capitolo secondo

La rete, questa sconosciuta

Punti connessi creano reti. Digressione teorica sui grafi: nodi, archi e pesi. Modelli di rete e strutture gerarchiche. Concezioni antropologiche della tecnologia in cui gli esseri tecnici sono supporti neutri per le azioni umane. Dove siamo? Situarsi sulla rete digitale del web. Sistemi di mutuo assoggettamento e condizionamento. Un quiz per materializzare la rete di Internet: radio, cavi o satelliti? Discussione di alcune obiezioni.

I primi tre ingredienti positivi da porre per costruire tecnologie conviviali sono dunque curiosità, condivisione e traduzione. Ora dobbiamo capire come dosarli, in che modo mescolarli e secondo quali sequenze. I poteri sprigionati da questi accostamenti nella ricetta che ne risulterà dovranno essere valutabili a ogni passo in termini di apporto conviviale, di potenza emancipatoria e liberatoria. In altri termini, dev’essere chiaro come verificare che le nuove capacità di produrre e applicare norme (poteri generati dalle procedure) vadano nella direzione di una maggiore libertà reciproca a tutti i livelli, di pari passo con un’accresciuta uguaglianza. Devono essere in grado di diffondere l’accesso ai poteri quanto più possibile a quanti più esseri coinvolti nelle interazioni; contemporaneamente, devono contribuire a rendere quanto più difficoltoso possibile l’accumulo di potere e l’insorgere di gerarchie dominanti.

Potremmo ragionarne in teoria, provare a calcolare quali sono le proporzioni idealmente corrette, in quali condizioni, formulando ipotesi su potenziali rischi e benefici; oppure, possiamo provare ad applicarle in pratica, effettuare correzioni strada facendo a seconda delle contingenze e poi, una volta effettuata la sperimentazione, valutare se è stata soddisfacente.

In questo secondo caso abbiamo bisogno di una situazione concreta, cioè letteralmente di mettere in situazione le conoscenze. Dopo i tubi e i chip, l’avventura con le fogne ci ha messo di fronte alla configurazione più comune delle tecnologie contemporanee, ovvero la struttura di rete. Ci sono reti ovunque, variamente interconnesse e sovrapposte: rete fognaria, rete idraulica, rete elettrica, rete metropolitana, rete stradale e autostradale, rete ferroviaria; e reti di comunicazione, come la rete radiofonica, la rete televisiva e, naturalmente, la rete di Internet. Dal punto di vista umano esistono senz’altro reti sociali, reti di conoscenze, reti parentali e affinitarie, variamente intrecciate fra loro e con le precedenti reti tecniche.

Che cosa hanno in comune queste strutture sociotecniche per poter essere tutte categorizzate come reti? Ci vuole un notevole sforzo di astrazione. Dobbiamo accantonare momentaneamente non solo tubi e chip, ma anche strade, fermate, caselli, ripetitori, onde e insomma tutti gli oggetti materiali che costituiscono le reti stesse. Ma solo momentaneamente, perché il ritorno alla concretezza è la migliore garanzia che abbiamo per evitare di invischiarci nelle pastoie del radicalismo astratto, delle teorie vuote di pratica.

In prima approssimazione, una rete è l’insieme di punti connessi fra loro da linee.

Chi vuole entrare più nel dettaglio può proseguire con la digressione che segue; chi ha sufficiente conoscenza della teoria delle reti, può saltare il prossimo paragrafo e passare al successivo.

Digressione: reti dalla teoria alla pratica

Possiamo visualizzare in maniera bidimensionale una rete su un foglio di carta sotto forma di grafo (da non confondere con grafico), cioè un insieme di punti (nodi o vertici) connessi fra loro a coppie da linee (archi, spigoli o lati). Una rete estremamente semplice può contare anche solo tre nodi (a, b, c), di cui a e b sono connessi, mentre c è disconnesso, come rappresentato nella Figura 1.

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Figura 1

Con il crescere del numero di nodi e di archi che li collegano, il grafo che rappresenta la rete diventa più complesso. Alcuni archi vengono percorsi più spesso e seguendo una certa direzione, da un nodo all’altro ma non nella direzione opposta. Nella teoria dei grafi1 questo si traduce specificando che si tratta di un grafo pesato, in cui gli archi hanno un valore diverso (un «peso»); e orientato, in cui la percorrenza è orientata in un certo modo. Graficamente possiamo rappresentare questa rete con delle frecce al posto delle linee, e con dei numeri che indicano quanto spesso, o con quale intensità, viene percorso un determinato arco. Il grafo della rete viene così arricchito di particolari come nella Figura 2.

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Figura 2

Il peso dell’arco che collega a, e (8) è quattro volte maggiore rispetto al peso dell’arco che collega a, b (2) e otto volte quello che collega f, d (1). c rimane disconnesso. Il grafo, orientato e pesato, descrive nell’astrazione bidimensionale quella che è concretamente una rete gerarchicamente ordinata.

Non è banale tornare alla concretezza, una traduzione è sempre necessaria. Questo grafo potrebbe ad esempio descrivere la rete di un’emittente radiofonica che dalla stazione a invia il segnale radio in onde fm (modulazione di frequenza) di tipo broadcast (da uno a molti) alle riceventi b, d, e; quest’ultima è anche una sottostazione che riceve il segnale anche dalla sottostazione b, con una potenza pari a 1; e ripete il segnale ricevuto verso f, con una potenza di 2; infine f ripete il segnale a d. Ogni segnale deriva da a, che non riceve segnali da nessuna sottostazione; nessun segnale giunge a c. In questo esempio i pesi corrispondono alla potenza del segnale radio.

Questa struttura è gerarchica perché i nodi non hanno tutti lo stesso peso e non godono tutti delle medesime libertà in termini di connessione e accesso alle risorse di rete, cioè agli archi di collegamento fra i diversi nodi. Non definiscono le norme cui invece obbediscono. Se ad esempio la connessione fra e e f viene a mancare, f rimarrà isolato; ma non d, perché è connesso direttamente alla sorgente a. La topologia della rete, cioè le sue proprietà geometriche al di là della misurazione, come ad esempio la connessione o meno fra due nodi, è fondamentale per comprendere come ciascun nodo influisca sull’altro, ovvero quale potere ha di definire la struttura e le relazioni rispettive.

Reti e gerarchia

Le reti sono intrinsecamente strutture gerarchiche? Implicano una distribuzione asimmetrica del potere, che determina rapporti di supremazia e subordinazione reciproci, cioè organizzazioni di tipo piramidale orientate allo sfruttamento tramite l’instaurazione del dominio? Oppure sono strutture di per sé libertarie, orientate al libero usufrutto tramite pratiche libertarie, pervertite da approfittatori senza scrupoli? La domanda non è banale come potrebbe sembrare e la risposta è complessa.

Intuitivamente molti umani rispondono: dipende da chi le usa, e da come le usa. Nella pratica, dipende ad esempio dalle regole di connessione fra i nodi. Dipende dalle preferenze accordate ad alcuni percorsi invece che ad altri. Dipende dai vincoli materiali, dalle vicende storiche che hanno condotto a costruire la rete in un modo piuttosto che in un altro, e via dicendo.

La risposta è però orientata dalla domanda. Infatti, come vedremo meglio nel prosieguo, il modo di porre le domande implica dei presupposti, dei non detti, da cui discende una tensione verso modalità di risposta che tendono a determinare le risposte stesse. In questo caso, il presupposto principale è l’essenzialismo e la convinzione che esistano elementi indipendenti, astratti e teorici, che si incarnano in una situazione concreta.

La legittimità delle domande sulla natura intrinseca della rete si fonda su un presupposto filosofico non detto. Questo tacito postulato è una sorta di platonismo idealistico per cui esisterebbero delle entità astratte (nodi, archi), dotate di alcune proprietà essenziali (formalizzabili persino in termini matematici!), che nelle loro incarnazioni manifestano tali proprietà in maniera differente, anzi opposta! Così alcune reti sarebbero buone e altre cattive in base all’uso che ne viene fatto dagli umani; alcune reti sarebbero fonte di emancipazione e liberazione, altre di sottomissione, assoggettamento, dominio. Addirittura, una stessa rete potrebbe essere usata in maniera buona e giusta oppure cattiva e sbagliata. Questo vorrebbe dire che gli elementi costitutivi della rete sono in definitiva supporti neutri per azioni, reazioni e organizzazioni del tutto antagoniste fra loro; gli stessi elementi tecnici, usati in maniera differente dagli umani, sarebbero portatori di libertà e uguaglianza, invece che di dominio.

Riconosciamo facilmente in questa posizione una concezione antropologica della tecnologia. Approfondiremo le diverse concezioni delle tecnologia nel capitolo quinto, discutendo degli ambienti associati. Per ora ci basta ricordare che secondo le concezioni antropologiche della tecnologia l’essere umano usa l’essere tecnico, ne cambia a piacimento il segno, da negativo a positivo e viceversa; le qualità dell’essere tecnico vengono obliterate, dimenticate al punto che non è rilevante conoscerle. Importa solo conoscere e valutare intenzioni, capacità e caratteristiche degli umani utenti delle tecnologie.

Il potere tecnico funziona però in maniera diversa. Come ogni potere è una questione relazionale, non prevede l’esistenza assolutamente indipendente di elementi astratti, ma la concreta, vibrante, evolutiva e materiale interdipendenza di esseri viventi (individui, cioè associazioni autogestite di cellule) ed esseri tecnici (organizzazioni di componenti, perlopiù eterogestite).

Accantoniamo la prospettiva essenzialista per assumere questa prospettiva relazionale e relativista. Ora le domande possono essere formulate in maniera del tutto diversa. Possono esistere tecnologie conviviali? In maniera più completa: data l’esistenza di reti più o meno complesse (dalle reti fognarie alla rete di Internet), parzialmente connesse e sovrapposte (la rete ferroviaria e la rete elettrica, ad esempio), composte di esseri umani, esseri tecnici e norme che regolano l’interazione fra di essi, esistono pratiche conviviali, suscettibili di promuovere una redistribuzione e diffusione del potere, in termini di capacità di intervenire nella definizione e applicazione delle norme sociali, cioè di produzione delle reti stesse? Esistono esperienze, metodi, ricette, ingredienti, attitudini che favoriscono l’instaurarsi di rapporti di libera associazione e collaborazione, capaci di diffondere modalità di usufrutto ampio e condiviso delle risorse, cioè organizzazioni di tipo libertario, orientate all’emancipazione e alla liberazione degli esseri umani, e di tutti gli altri esseri, viventi e non?

Come ci siamo tuffati nelle fogne, cercando di capirne il funzionamento, osservando e chiedendo conto di quel che succedeva, per trarne alcune indicazioni fondamentali, così nella prossima esplorazione ci immergeremo in un’altra rete, molto più complessa, sofisticata e capillare: la rete di Internet. Anche la rete Internet è un grafo, molto complesso e stratificato in tanti livelli, ma pur sempre un grafo; lo stesso si può dire per l’insieme delle pagine web, che sono un sottoinsieme di Internet (quello basato sul protocollo http/s).

Prenderemo perciò in considerazione un caso molto frequente nell’impiego della rete di Internet, per rendere l’esperimento facilmente ripetibile, con l’impiego di strumentazione minima e di ampia reperibilità. Il nostro caso di studio sarà l’accesso a un sito web molto conosciuto.

Dove siamo?

Nell’aprile 2022 il sito <statista.com> stimava 5 miliardi di utenti Internet attivi nel mondo, pari a oltre il 60 percento della popolazione globale. Di questi, oltre il 93 percento, cioè 4,65 miliardi, accedevano ai social media. La maggior parte tramite dispositivi mobili, in special modo smartphone. Proviamo a metterci nei panni di uno di questi utenti. Supponiamo di trovarci in Europa, ad esempio in territorio italiano, e di collegarci con l’ausilio di uno smartphone a TikTok, un social media in rapida ascesa, che nel 2022 è arrivato ad avere diverse centinaia di milioni di utenti. Sembra un’azione banale, priva di attrito, che si effettua senza sforzo alcuno: nel giro di pochi istanti, a seconda della banda passante che abbiamo a disposizione, ecco comparire la pagina d’accesso di TikTok sul sito tiktok.com che ci invita a entrare. Semplice!

Aggiungiamo un pizzico di curiosità. Semplice sì, ma dove siamo, quando arriviamo a TikTok? D’accordo, su Internet. Ma dove, su Internet? Dove si trova TikTok?

Nei server e nei data center di TikTok, risponderà chi ha un’idea di come è strutturata Internet. Esatto. I data center, in italiano Centro Elaborazione Dati (ced), anche detti server farm (fattorie di server), sono enormi capannoni industriali zeppi di server, cioè di computer fabbricati per rimanere accesi 24/7/365, in maniera continuativa. Tipicamente sono collegati alla rete globale da connessioni in fibra ottica, alimentati in caso di black-out da gruppi di continuità per scongiurare interruzioni di servizio, vigilati da sistemi di sicurezza, da rigide procedure di controllo degli accessi e, spesso, da personale umano armato. In questi centri di gestione, manutenzione e custodia di server ronzano i dati di TikTok, sempre accessibili e disponibili per gli utenti. Oltre che, naturalmente, per la società proprietaria della piattaforma.

Ma dove si trovano, in quale località sul pianeta Terra? Come possiamo scoprirlo?

Grazie alla curiosità il nostro punto di vista cambia. Porci queste domande significa fare un passo indietro rispetto alle nostre abitudini e osservare quel che facciamo abitualmente con occhio etnografico, come se ci vedessimo agire per la prima volta. Una curiosità non scontata, che non si può saziare con risposte preconfezionate.

Chiediamo a Google!, direte. Proviamo. Nato come motore di ricerca nel 1998, vent’anni più tardi è già diventato il fulcro di una serie impressionante di servizi diffusi in tutto il mondo: posta elettronica (Gmail), mappe (Gmaps), video (YouTube), app (PlayStore), tracciamenti (Google Analytics), sistema operativo (Android), navigatore web (Chrome), e così via. Le applicazioni più avveniristiche, dalla cosiddetta Intelligenza Artificiale ai sistemi di esplorazione dello spazio profondo, sono in continuo, rapido sviluppo nei laboratori delle società afferenti ad Alphabet, la «compagnia madre» di Google.

Ma possiamo fidarci? Forse sì, forse no. Google risponde cercando di indovinare cosa cerchiamo, di soddisfarci, come mostrano anche i suggerimenti di completamento automatico, offrendo risposte ponderate in base alle nostre ricerche precedenti, alla nostra posizione geografica, lingua. Le risposte sono confezionate in base a chi siamo e alle abitudini che ci identificano. Non è un vero e proprio raggiro, né una truffa esplicita, ma piuttosto un combinato disposto di reciproche aspettative più o meno sottaciute fra umani e sistemi tecnici.

La personalizzazione avviene in base a chi il sistema suppone noi si sia, cioè al riconoscimento di un’identità, o quanto meno dell’appartenenza a una categoria identitaria (genere, lingua, ecc.). Ma potremmo esserci impossessati delle credenziali di qualcun altro, aver effettuato il login e agire quindi sotto mentite spoglie, come se fossimo un’altra persona. Oppure potremmo semplicemente aver cambiato punto di vista, desiderare risposte difformi, diverse rispetto alle risposte che il sistema ci propina abitualmente.

Gli algoritmi operanti tendono a restituire per primi i risultati più popolari, cioè quelli visualizzati dalla maggioranza, interpretando un alto numero di connessioni entranti alla stregua di voti. Un sito linkato da molti siti comparirà più in alto rispetto a un sito linkato da pochi altri siti. Come tecnologia si comporta in maniera conformista. Non voglio qui suggerire che Google mente, ma solo che nei fatti il suo obiettivo primario è quello di far guadagnare gli azionisti della società, al di là delle risposte.

Anche ammesso che Google sia la risorsa più adatta cui far ricorso, rimane opinabile quale sia il modo migliore per porre la questione.

Possiamo trattare il sistema come un essere umano, e porre le domande in lingua naturale, proprio come faremmo con una persona. O meglio, con una persona che conosce la lingua in cui ci esprimiamo. Digiteremo allora (o scandiremo, a favore del riconoscimento vocale):

Dove è situato TikTok?

Ma se risponde con un articolo di Wikipedia riguardo alla composizione societaria dell’azienda in questione, alla sua storia, o con altre informazioni che non ci soddisfano, è segno che non ha compreso quello che davvero volevamo. Possiamo allora provare a scandire bene le parole; magari a semplificare la questione, attraverso un fraseggio meno complesso, o una circonlocuzione. Ad esempio:

Dov’è TikTok?

La semplificazione estrema consiste nel rivolgersi al sistema esclusivamente tramite parole chiave. Ma come scegliere le keywords appropriate? In questo caso, probabilmente appropriato coincide con ciò che ha la maggior probabilità di generare il risultato desiderato; dovremo quindi comportarci in modo tale che il sistema capisca ciò che vogliamo, ovvero in modo da condizionare la sua reazione nella direzione voluta. In effetti, ci troviamo di fronte a un tipico problema di traduzione. Dobbiamo tradurre nel linguaggio più adeguato alla comprensione quel che cerchiamo. Forse potrebbe funzionare una domanda del tipo:

TikTok data center?

A metà 2022, Google rispondeva con risultati riguardo a nuovi data center in Europa, in particolare in Irlanda. Ma né Google, né altri motori di ricerca (Bing!, DuckDuckGo, Qwant, e così via) erano in grado di fornire una risposta chiara alla domanda:

Dove siamo andati quando ci siamo connessi al sito web di TikTok?

A questa domanda, il sistema offriva «circa 85.900 risultati (0,46 secondi)». Chi mai avrebbe controllato la quantità approssimativa e il tempo di fornitura? Nessun umano, probabilmente. Ritorneremo a indagare sulle risposte contenenti informazioni non richieste nelle domande, parte di un più ampio sistema di addestramento cognitivo. Per ora ci basta constatare che i primi risultati erano semplicemente link al sito TikTok, a pagine di ToS (Terms of Service, Termini di Servizio), e simili.

Semplificare può significare tradurre nella maniera appropriata, nel senso di propria di quel sistema. Non è affatto facile. Anche perché scarseggiano i dizionari umanese-macchinese, linguaggi umani-linguaggi tecnici. Certo, esistono molti corsi per apprendere a scrivere codice informatico in moltissimi linguaggi specifici; esistono tantissime guide per insegnare a servirsi di determinate interfacce. Eppure è molto difficile comprendere come si svolgono i vari passaggi dell’interazione tecnica in un caso apparentemente banale come quello presentato. Ma, nel caso in cui sappiamo già la risposta, ad esempio quando cerchiamo quel certo sito web che visitiamo spesso e di cui abbiamo il nome sulla punta della lingua, le cose possono procedere più speditamente: una volta indovinate le parole chiave funzionali alla nostra richiesta, il sistema tenderà a riproporcele la volta successiva, e noi tenderemo ad adeguarci a come il sistema si manifesta. L’interazione tende a confortare le convinzioni implicite nelle domande poste.

Quella che a prima vista si presenta come una semplice richiesta di un umano a un servizio tecnico si rivela, non appena cambiamo il punto di vista, un esercizio di traduzione che si conclude nella ripetizione semi-automatica di uno schema d’interazione. L’essere umano ha un obiettivo, cerca di porlo in termini che ritiene adeguati all’essere tecnico, che reagisce come è stato programmato, cioè per soddisfare quell’obiettivo piegandolo alle sue specifiche modalità d’interazione. Definisco questo schema d’interazione un mutuo assoggettamento e condizionamento fra umano e tecnico. I rispettivi poteri, cioè capacità di formulare norme condivise, vengono sostanzialmente piegati al fine di sottomettere e condizionare l’altro al proprio volere: dal lato umano, per condizionare una risposta; dal lato tecnico, per far accettare una risposta preconfezionata, sulla base di domande formulate in maniera già di per sé condizionate dalla supposta natura di funzionamento del sistema.

Ci rendiamo conto che stiamo facendo troppa fatica, è evidente, perché ci stiamo allontanando dalla richiesta iniziale e impantanando nei vari strati di interazione. La domanda sembrava banale e invece ci siamo trovati a discettare degli obiettivi di Google. In casi simili, la fatica è la spia del fatto che la traduzione della curiosità non è sufficiente, o è applicata in maniera scorretta e genera quindi frustrazione, senza creare nuove possibilità di produrre norme né tanto meno di applicarle. La fatica non viene compensata dall’acquisizione e diffusione di potere. Dalla frustrazione per quello che l’umano può vivere come errato funzionamento, cioè come guasto, all’irritazione e quindi alla rabbia, il passo è breve. E ritorniamo così alla situazione del guasto analizzata nel capitolo precedente.

D’altra parte, anche in questo caso ci troviamo in una situazione di sudditanza. Infatti non abbiamo deciso noi le norme di funzionamento di Google; possiamo solo applicare le norme esistenti, anzi cercare di indovinare quali siano e forzare il sistema ad assecondarci, cioè applicare norme non esplicite senza poterne valutare l’efficacia. E viceversa: Google cerca di condizionare la nostra scelta offrendoci una pletora di risposte preconfezionate ma comunque personalizzate per noi, o per chi il sistema presume che noi siamo, cercando di desumere le nostre intenzioni dalle informazioni in suo possesso.

Un aiuto ci viene dalla pratica della condivisione. Delle domande, innanzitutto. Se Google mena il can per l’aia e ci fa girare in tondo, a giocare il suo gioco in cui ci sono milioni di risposte già pronte ma non quella che cerchiamo, e d’altra parte non abbiamo la pazienza di scorrerle tutte, visto che siamo abituati a fermarci alla prima risposta, al massimo poco oltre… allora forse non è questo il caso di fidarci, perché non si sta mostrando affidabile, e soprattutto non sono chiare le regole d’interazione. Possiamo allora chiedere a qualcuno di cui ci fidiamo, a qualcuno che consideriamo esperto, che ne sa più di noi: cosa possiamo fare per scoprire dove si trova TikTok?

Forse un giorno questo sistema esperto potrà anche essere una macchina digitale, ma certo dovrà funzionare in maniera diversa da Google, che pare guasto come un tubo rotto, solo che non riusciamo a capire dove stia il guasto, al punto che ci viene il dubbio di essere guasti noi, cioè di non essere in grado di interagire nella maniera corretta, di non seguire bene le regole d’interazione, la liturgia prescritta, come accadeva con l’iPhone. Nell’attesa di un simile essere tecnico, l’opzione più semplice e meno onerosa dal punto di vista energetico è rivolgersi a un umano smanettone degno della nostra fiducia.

Questa persona affine esperta, con cui deve esistere una relazione pregressa, quanto meno una fiducia immaginata, per sentito dire, per quanto non ancora verificata, dovrà ascoltare la domanda; magari porrà qualche domanda a sua volta, per accertarsi di aver compreso bene. Cercherà di tradurre la domanda in una maniera comprensibile dal suo punto di vista. A questo punto probabilmente risponderà di non averne la più pallida idea, ma di avere un’ipotesi sul metodo da seguire. A meno che non sia a conoscenza della risposta esatta per qualche fortuita ragione.

Una tecnologia appropriata si manifesta allora sotto forma di sequenza cooperativa dinamica fra un essere tecnico specificamente costruito per rispondere a quella specifica domanda e un essere umano in grado di individuarlo e porsi in relazione in maniera reciprocamente soddisfacente. La tecnologia si esplicita come metodologia tecnica, cioè di applicazione di un certo metodo. Non c’è una risposta immediata, ma è possibile costruire una strada per ottenere una risposta soddisfacente avvalendosi della collaborazione di strumenti appropriati. Assumere un’attitudine hacker è una precondizione necessaria per poter osservare le proprie interazioni da un punto di vista non ordinario e poter immaginare nuove vie.

Il mio parere è che sia opportuno ricorrere alla riga di comando, la già citata cli cara agli hacker. Se volete provare, ricordate di digitare «man nomecomando» e di leggere attentamente ogni volta che non siete sicuri sul da farsi. Questa è una ricetta, non un’orazione da ripetere in maniera pedissequa; ci vuole sempre un po’ d’iniziativa e gusto personale, desiderio di interpretare a modo proprio. Aprite un terminale su un computer equipaggiato con una distribuzione gnu/Linux e digitate:

$ man traceroute

Vi risparmio le 435 righe di manuale (11 ottobre 2006), perché per vostra fortuna l’apprendistato in questione l’ho già fatto, leggendo il manuale molto superficialmente; posso quindi condividere con voi quello che ho imparato, sfrondando dai mille esempi e casi d’uso riportati, e cioè che basta un semplice comando:

$ traceroute tiktok.com

Da cui si ottiene come risposta:

traceroute to tiktok.com (161.117.98.196), 30 hops max, 60 byte packets

1 H388X.home (192.168.1.1) 1.675 ms 1.617 ms 2.584 ms

2 * …

16 if-ae-2-2.tcore2.svw-singapore.as6453.net (180.87.12.2) 349.650 ms 349.687 ms 349.660 ms

Difficile? Incomprensibile? Certo, non conoscendo la lingua… un po’ di traduzione dal linguaggio della riga di comando può aiutare.

Abbiamo chiesto di tracciare la strada verso il sito web di TikTok con il software Traceroute, che dobbiamo aver installato sul dispositivo. Questo programmino tracciastrada ci informa che l’indirizzo ip cui vogliamo arrivare è il 161.117.98.196 e che effettuerà un massimo di trenta salti da un nodo all’altro della rete (30 hops max), inviando pacchetti di dati della dimensione di sessanta byte l’uno (60 byte packets). Anche in questo caso sembrano esserci molte informazioni non richieste. Non sono però state messe lì a bella posta per impressionare; sono un tentativo, magari un po’ rozzo e non particolarmente riuscito, né esteticamente gradevole, per rendere noto a chi sta interagendo quali sono i passi specifici compiuti dal tracciastrada per effettuare il percorso richiesto. Sono i dettagli della ricetta seguita.

La serie si ferma dopo sedici salti, arrivando fino al nodo identificato dall’ip 180.87.12.2 che si trova, a giudicare dall’url (indirizzo <if-ae-2-2.tcore2.svw-singapore.as6453.net>), a Singapore… Singapore? La città-Stato situata sull’omonima isola, all’estremo sud della penisola malesiana, nell’Asia sud-orientale?

Vogliamo una conferma, magari evitando terminali, righe di comando e traduzioni. Forse non abbiamo a disposizione un dispositivo gnu/Linux, non sappiamo installare il programma tracciastrada e via dicendo. Vogliamo forse una rappresentazione più visiva, possibilmente; più… immediata? Certamente no, perché ci sarà quanto meno la mediazione in più dello strato grafico. Più… semplice? Opinabile. Senz’altro sarebbe opportuno scegliere un linguaggio che gratifica maggiormente i sensi umani, dunque in questo caso in primo luogo la vista, mostrandoci quello che Traceroute ci ha dettagliatamente elencato.

Possiamo avvalerci dell’ottimo servizio web di Geo traceroute, <https://geotraceroute.com>, che ci permette di visualizzare la strada compiuta sul globo terrestre.

Conferma. Singapore.

Quindi, ricapitoliamo.

La curiosità di sapere dove si trova TikTok ci ha portato a porre una serie di domande, a cercare di tradurle in modo da farle comprendere a Google, che, dicono, sa tutto; il quale però in definitiva pare più interessato a condizionare il modo in cui poniamo la domanda piuttosto che ad aiutarci a soddisfare la nostra curiosità. D’altra parte, anche noi siamo in qualche modo interessati a condizionare il motore di ricerca, nel senso che abbiamo cercato di estorcergli un’informazione, di piegarlo a rispondere a una domanda che sembra, in definitiva, mal posta.

Abbiamo allora cambiato approccio, attivando la condivisione della curiosità stessa e rivolgendoci a una persona di fiducia. Il ricorso alla cli è stato faticoso, ma in definitiva necessario, e il risultato fornito è stato confermato in maniera indipendente da un altro sistema, più gratificante alla vista perché dotato di interfaccia grafica: quando un utente si connette al sito web di TikTok dal territorio italiano, dopo una serie di rimbalzi fra nodi della rete di Internet, arriva a un Centro di Elaborazione Dati che si trova a Singapore2.

Questo lo abbiamo scoperto seguendo la connessione, attivando curiosità, condivisione (delle domande), traduzione; grazie ad amici, dispositivi elettronici e programmi di cui ci siamo fidati. Siamo stati sul punto di lasciar perdere, perché di fronte al manuale di Traceroute, sembrava davvero troppo faticoso; persino prima, avremmo potuto perderci facilmente in una delle risposte di Google, se non avessimo tenuto la barra dritta nella nostra navigazione.

Ma visto che ormai abbiamo fatto tanta strada, fino all’altro capo del mondo, abbiamo in un certo senso doppiato il capo, chiuso un ciclo, e allora la curiosità torna alla ribalta. Una domanda tira l’altra, e perciò viene da chiedersi: come abbiamo fatto ad arrivare fino a Singapore?

Quiz: come funziona Internet?

In ossequio alla moda dei quiz a risposta chiusa, e visto che il tracciastrade sul globo terrestre ha introdotto una dimensione terraquea, proviamo a riformulare la questione in termini geografici.

Quando un essere umano localizzato in Europa si collega, tramite un dispositivo mobile connesso a Internet, a un servizio come TikTok localizzato a Singapore, deve per forza attraversare almeno il braccio di mare che separa la penisola malese dall’isola di Singapore. La strada più diretta, dice la geometria euclidea, sarebbe tirare una riga da un punto a un altro (un arco, se pensiamo in termini di superficie curva del globo terrestre); ovvero attraversare ampie distese d’acqua come il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano. In ogni caso c’è da percorrere molta strada.

Internet è una tecnologia straordinaria, una gigantesca rete di reti, un insieme di esseri tecnici che garantiscono questo incredibile potere all’umano, senza che quest’ultimo debba saper nulla del funzionamento dell’infrastruttura sottostante. Tutta quella strada in un battito di ciglia… ma come è stato possibile? Certamente ci sono cavi sotterranei che continuano a essere posati. Laddove c’è del mare da oltrepassare, però, ci si affida a una delle tecnologie disponibili, ovvero:

risposta 1. Satelliti in orbita geostazionaria. I satelliti rimbalzano segnali elettromagnetici. Come tutti sanno, nel 2022 ce ne sono poco meno di quindicimila in orbita e ne vengono lanciati in continuazione nello spazio, da imprese private oltre che da Stati, una fitta ragnatela che costituisce l’ossatura della rete di Internet.

risposta 2. Cavi sottomarini. Come tutti sanno, fin dalla metà del xix secolo questi cavi sono stati stesi sul fondo degli oceani, grazie a tecniche di posa via via più sofisticate. Nel 2022 ci sono diverse centinaia di migliaia di km di cavi posati, una fitta ragnatela che costituisce l’ossatura della rete di Internet.

risposta 3. Onde radio di vario tipo. Come tutti sanno, Guglielmo Marconi all’inizio del xx secolo dimostrò che era possibile comunicare a distanza inviando un segnale radio dalla penisola di Cornovaglia, nell’Inghilterra meridionale, all’isola di Terranova, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, sfruttando la capacità delle onde di rimbalzare dalla stratosfera alla superficie dell’acqua. Le onde radio nel 2022 sono molto più potenti rispetto a quelle sperimentate da Marconi, come ad esempio il 4g e il 5g, fino a formare una fitta ragnatela che costituisce l’ossatura della rete di Internet.

Una sola è la risposta corretta. Ed è valida non solo per TikTok, ma anche, a maggior ragione, per quelle porzioni di Internet che ci danno la possibilità di raggiungere i server situati nei data center di Google, Amazon, Facebook, Apple o Microsoft che si trovano negli Stati Uniti, attraversando l’Oceano Atlantico.

Prima di svelare la risposta corretta, gentili lettrici e lettori, se vi sembra un quiz banale, sappiate che nell’ultimo decennio è stato proposto a molte centinaia di persone, forse a qualche migliaio; a decine e decine di pubblici differenti; lo abbiamo sottoposto a studenti delle scuole elementari, delle medie inferiori e superiori, delle università, delle scuole d’arte, dei licei, degli istituti tecnici e professionali; a professori di tutti gli ordini e gradi; a ricercatori, insegnanti, formatori, educatori, cooperanti, attivisti, amici; in italiano, francese, inglese, spagnolo; in Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Paesi Bassi, uk, Germania. Abbiamo scritto, con i colleghi di circe, articoli in merito, ripreso dei video e persino partecipato a trasmissioni radiofoniche. Insomma, non si può dire che la risposta corretta sia un segreto.

Nella stragrande maggioranza dei casi, la risposta scelta è la numero uno: satelliti. Quindi, se il nostro campione fosse rappresentativo per Google, il motore di ricerca grazie al suo algoritmo di ordinamento dei risultati (ranking), risponderebbe: satelliti, che è la risposta preferita dalla maggioranza. Ed è sbagliata.

Un numero limitato di persone, variabile ma sempre inferiore al primo gruppo, risponde invece scegliendo la numero tre: onde radio. Non è una cattiva risposta in sé, ma purtroppo in questo caso è sbagliata. Per Google, intento a contare quanti scelgono una certa risposta e a propinarla anche agli altri, sarebbe probabilmente il secondo risultato.

Non proponiamo cavi sotterranei come risposta possibile, inserita solo come premessa, perché nel caso di TikTok c’è tutta l’Eurasia da attraversare, per quanto via mare sia più breve; perciò non so dire in quale percentuale questa risposta sarebbe stata scelta. So però che, se combinata alle risposte più popolari – satelliti oppure onde radio – per spiegare «come fa Internet a oltrepassare il mare?», è sbagliata.

La risposta giusta è quella scelta da un numero davvero esiguo di persone, a prescindere dal grado di istruzione, dall’età, dalla lingua, ed è la risposta numero due: cavi sottomarini.

Fidarsi? Meglio capire

Esiste almeno una mappa web, liberamente accessibile, del reticolo dei cavi sottomarini, corredata di distanze percorse, punti d’attracco sulla terraferma e indicazioni relative alla data di posa e ai proprietari-finanziatori, solitamente dei consorzi pubblico-privati: <https://www.submarinecablemap.com/>. Ma perché dovremmo credere a questa «risposta giusta»?

Ogni volta che accettiamo una spiegazione tecnica, accettiamo che alcuni aspetti rimangano non del tutto chiariti, cioè ci fidiamo di alcune parole chiave, spesso metafore, che sintetizzano concetti complessi. Va bene così, l’obiettivo non è diventare esperti di ogni dettaglio di un sistema tecnico, ma sentirsi sufficientemente a proprio agio con gli esseri tecnici, senza dover obbedire a procedure che non si comprendono né comandare a qualcuno o qualcosa di occuparsene al posto nostro.

Cosa caratterizza una spiegazione soddisfacente? Senz’altro non può essere troppo lunga, né richiedere uno sforzo eccessivo per essere compresa. Ma è fondamentale essere comunque in grado di afferrare il quadro generale, altrimenti si tratterebbe di atti di fede, non di comprensione. Meglio ancora sarebbe riuscire a riportare il ragionamento senza banalizzare. Una buona spiegazione sazia, come un buon piatto, ma senza appesantire. Lascia intravvedere la perizia di chi lo ha preparato, permette di gustare l’equilibrio di ingredienti genuini, accostati con creativa semplicità.

D’altra parte, mentre può essere estremamente difficile identificare tutti gli ingredienti, le modalità di preparazione e i tempi di cottura, è piuttosto facile individuare quando un piatto ha davvero qualcosa che non va. Un retrogusto di bruciato, troppo sale, una pietanza stracotta o cruda che produce una nota stonata, un ingrediente andato a male, e così via. Anche se non siamo esperti enologi, possiamo imparare a individuare un vino che sa di tappo o un vino inacidito.

Così è anche per le spiegazioni. Senz’altro si fa un po’ di fatica per comprenderle, ma la fatica viene ripagata da un senso di soddisfazione che permane. Anche perché una buona spiegazione aumenta la competenza sia di chi la riceve, che deve sforzarsi un poco per comprendere, sia di chi la formula, che deve sforzarsi un poco per renderla comprensibile. Una buona spiegazione diffonde potere sociotecnico. Aumenta il potere complessivo a disposizione senza produrre gerarchie tecnocratiche.

In breve, i cavi sottomarini sono l’infrastruttura rodata da oltre centocinquant’anni, dal telegrafo fino alle fibre ottiche. I satelliti, anche se profumano di futuro, si appoggiano a tecnologie più recenti, più complicate, più fragili, più costose, più inquinanti. Per arrivare ai satelliti, in ogni caso, non si possono usare cavi o fili, ma sono necessarie onde radio, perciò la risposta uno e tre si equivalgono, anche se si tratta di onde radio di frequenza differente. Per chi è interessato, alcuni materiali di approfondimento sono consultabili all’indirizzo <tc.eleuthera.it>.

Alcune obiezioni

Spiegazioni lunghe e complesse, per quanto inevitabilmente approssimative e con largo ricorso a metafore, non sempre risultano soddisfacenti. Mappe e ragionamenti a volte non bastano. A volte capita che le persone rimangano con un languore, o addirittura ancora più affamate e assetate di prima. La sensazione di impotenza cresce invece di diminuire. Specialmente in questi casi è importante lasciare spazio alle obiezioni e cercare di capire come e perché vengono formulate, e perché risultano più credibili e soddisfacenti rispetto alle spiegazioni fornite.

Poco dopo la seconda ondata della pandemia di covid-19, durante una sessione di pedagogia hacker, mi è capitato che in una classe quinta di un Liceo di Scienze Umane alcune ragazze fossero assolutamente non convinte. Alcune loro obiezioni ci possono aiutare a capire meglio come funzioniamo, in quanto umani, quando costruiamo la nostra conoscenza insieme, ragionando sulle nostre esperienze quotidiane.

obiezione 1. E la tv satellitare? Perché Internet non dovrebbe funzionare con i satelliti, se funziona la tv?

La tv satellitare in effetti trasmette grandi quantità di dati, streaming video ad alta risoluzione. Ma il suo modello di comunicazione è broadcast, cioè da uno (emittente) a molti (riceventi): un’emittente tv satellitare invia al satellite una sola sequenza di dati (trasmissione uplink); la stessa sequenza viene ripetuta (downlink) a tutte le stazioni riceventi il segnale attraverso un’apposita parabola puntata in direzione del satellite. I satelliti geostazionari ruotano alla stessa velocità della Terra, perciò irradiano sempre la stessa zona: ecco perché le parabole satellitari possono rimanere puntate sempre nella stessa direzione. Siccome stanno sulla Terra, ruotano insieme al pianeta e rimangono sempre in vista del loro satellite di riferimento.

Il modello di comunicazione della rete di Internet, invece, tende al multicast, da molti (emittenti) a molti (riceventi). Inviare una mail, fare un post, inviare un audiomessaggio o delle foto a molti contatti da un luogo piuttosto che da un altro sono attività diverse fra loro, ma hanno un punto in comune fondamentale: comportano capacità di emissione oltre che di ricezione. Le parabole della tv satellitare ricevono il segnale dal satellite, ma non sono in grado di trasmettere nulla. Invece dispositivi come smartphone e portatili connessi a Internet possono trasmettere grandi quantità di dati molto rapidamente, oltre che riceverli; inoltre sono mobili, cioè non sono legati a una postazione precisa come le antenne satellitari.

obiezione 2. E il gps? Gli smartphone sono spesso, se non sempre, connessi ai satelliti gps, perché Internet non potrebbe funzionare allo stesso modo?

Il Global Positioning System, nato per scopi militari all’inizio degli anni Settanta del xx secolo, è una rete di satelliti che orbitano più in basso rispetto a quelli geostazionari, intorno a 20.000 chilometri dalla superficie terrestre. Questo sistema è in grado di localizzare qualsiasi oggetto dotato di un ricevitore, in qualsiasi punto della Terra e in qualsiasi momento, a prescindere dalle condizioni meteorologiche. I cellulari, i navigatori satellitari e così via ricevono segnali triangolati dal reticolo dei satelliti gps. Contengono un ricevitore gps, cioè un «chip» dotato di un’antenna, un piccolo processore e un orologio in grado di captare il segnale dei satelliti e di rilevare le coordinate terrestri della sua posizione con un’approssimazione di una decina di metri. Possono eventualmente riportare queste coordinate su una mappa grazie ad appositi sistemi, programmi o app. Ricevono dai satelliti pochissimi dati (coordinate geografiche) e, via satellite, non trasmettono nulla. Per trasmettere usano sistemi wi-fi agganciandosi alle celle terrestri.

obiezione 3. Spacex comprende la costruzione di Internet Satellitare per tutti! È solo questione di tempo e i cavi verranno abbandonati.

Vero, la società Starlink, di proprietà di Elon Musk, fin dal 2019 sta lanciando satelliti per la fornitura di connettività. Per ovviare al problema della distanza esposto sopra, le orbite non sono geostazionarie, ma leo, molto più basse (poche centinaia di chilometri, simili alle reti Iridium per la telefonia satellitare già esistente); sono quindi sensibili ai fenomeni atmosferici e soprattutto saranno necessari migliaia e migliaia di satelliti, in grado di evitare collisioni tramite sensori, per coprire porzioni significative di superficie terrestre. Su <https://satellitemap.space> si può trovare una mappa della situazione.

Anche senza considerare evidenti problemi come l’inquinamento dovuto ai detriti spaziali (il tempo di vita dei satelliti è inferiore ai dieci anni), l’inquinamento luminoso spaziale notturno, l’aumentato rischio di collisione dovuto a decine di migliaia di satelliti in orbite basse, rimane il fatto che la connettività sarà comunque più costosa rispetto a quella via cavo. Potrà forse consentire la connessione costante durante i viaggi aerei, oltre che nelle zone rurali, aumentando così il tempo di connessione globale, ma non certo sostituire la connettività globale via cavo.

obiezione 4. E i cavi sottomarini, quando si rompono, come vengono riparati?

A differenza di quel che la maggioranza delle persone ritiene (almeno nel nostro campione di riferimento nelle formazioni), pesci, smottamenti e terremoti sottomarini causano raramente guasti. La pesca è ancora il maggior problema. In Europa, nel Mediterraneo, la pesca a strascico continua a danneggiare cavi sottomarini, oltre che l’ecosistema, anche se ormai parecchie porzioni di cavi sono state adagiate sul fondale marino. In particolare non è raro che nei punti di attracco le imbarcazioni da pesca trancino i cavi. Un cavo tranciato a Mazara del Vallo significa la Sardegna semi-isolata da Internet, o Pantelleria; oppure un’importante riduzione della banda disponibile verso… Singapore! Il cavo SeaMeWe-3, entrato in funzione nel 2000 e più volte ampliato, è lungo 39.000 chilometri. Da Mazara arriva fino all’Indonesia, a Singapore, alla Corea del Sud, al Giappone, all’Australia. Parte da Nordend, in Germania, sul mare del Nord.

Riparare i cavi è relativamente facile quando il guasto è vicino alla terraferma. Altrimenti bisogna recuperare il cavo stesso, ripararlo e riposarlo. Magari inviando un robot capace di tagliarlo negli abissi e di saldarlo di nuovo correttamente.

obiezione 5. Satelliti, radio, cavi… Ma in fondo, a noi cosa importa? Quel che importa è che funzioni!

Quest’ultima obiezione è molto difficile da affrontare. Dipende dall’attitudine, e l’attitudine non è una questione di mera erudizione rispetto alla conoscenza in questione. Gli umani possono avvalersi del potere tecnico senza preoccuparsi di come funzionano gli strumenti singoli o addirittura intere reti globali di sistemi strumentali complessi, senza saperne nulla, usandole e basta. Ma così facendo tendono a delegare a un’autorità esterna la competenza relativa al sistema tecnico. Si assoggettano volontariamente, di solito per comodità, a una tecnocrazia. O per esser più precisi a una tecnoburocrazia: infatti firmano un consenso, ovvero solitamente spuntano la casella «Acconsento» senza leggere nulla. Se leggessero il contratto cui stanno acconsentendo, e se fossero in grado di capirne il contenuto espresso in termini burocratici, forse non sarebbero così tranquilli.

mappa_del_Cavo.tif

Il percorso del cavo SeaMeWe-3, fonte <https://www.submarinecablemap.com/>.

La contro-obiezione più semplice è perciò la seguente. Quando diciamo di usare un sistema tecnico, in particolare un sistema tecnico reticolare molto complesso, costituito di tanti strati interconnessi fra loro, di fatto siamo parte di quel sistema. Non c’è soluzione di continuità fra noi umani e gli altri esseri, a prescindere che siano cavi, satelliti o ricetrasmittenti radio. Una rete è forte quanto il suo nodo più debole; un sistema è intelligente, consapevole e libero quanto il suo nodo meno intelligente, consapevole e libero. La mancanza di consapevolezza rispetto al funzionamento dei sistemi tecnici nei quali siamo immersi aggrava l’alienazione tecnica. Aumenta la vulnerabilità alla manipolazione, favorisce la diffusione di credenze magiche.

Le credenze magiche (fra cui annovero le credenze religiose) di per sé non sono nocive, a meno che non comportino la sottomissione a un’autorità dispotica, che può essere anche un’autorità del tutto introiettata: si obbedisce allora a quello che si ritiene giusto perché «si sente» che è giusto, senza mettere in discussione le proprie convinzioni. Al contrario, un po’ di scetticismo non guasta, in un’epoca in cui è difficile distinguere ciò che è credibile, ragionevole, possibile, da ciò che non lo è.

Confido che dopo questa esplorazione, anche se non avete compreso i dettagli o non li ricordate, se qualcuno vi proponesse un terminale capace di connettersi alla rete di Internet ad altissima velocità grazie a un nuovo sistema satellitare… perlomeno avreste qualche domanda da porre. Succederà, nel prossimo futuro, perché la scioccheria suprematista mira alla «conquista dello spazio» invece che a prendersi cura del pianeta su cui viviamo. E allora, fidarsi va bene, ma capire è meglio.

Così, dopo aver girato il mondo in lungo e in largo, dalle profondità oceaniche allo spazio geostazionario, ritorniamo al punto di partenza, alla tipologia di relazione che intratteniamo con gli esseri tecnici e al ruolo che giochiamo in questa relazione: dominio/sudditanza, o magari entrambi in maniera alternata. Condizionamento e sottomissione reciproca oppure mutuo appoggio?

Ce ne occuperemo nel prossimo capitolo.

Note al capitolo

1. La letteratura sulla teoria dei grafi è sterminata. Un testo classico è Øystein Ore, I grafi e le loro applicazioni, Zanichelli, Bologna, 1965. L’articolo online dell’enciclopedia Treccani è un punto di partenza per studi più approfonditi, <https://www.treccani.it/enciclopedia/grafo/>.

2. L’esempio qui svolto non è più valido perché dalla metà del 2022 TikTok si appoggia ai server di Amazon in Europa anche per il suo sito web. Perciò il traceroute si conclude nei data center di Amazon. L’evoluzione di Internet è in corso. L’esempio rimane però valido se si effettua il traceroute verso amazon.com (il sito usa di Amazon), o un sito istituzionale come nasa.gov: in entrambi i casi, dall’Europa bisogna attraversare l’Oceano Atlantico.