La massificazione del desiderio turistico – abilmente trasformato in «bisogno» – ha prodotto un immaginario potente in cui l’iper-mobilità è diventata il modello comportamentale dominante.
Prefazione di Paolo Cognetti
Il potere incantatore del turismo globale di oggi si basa sulla sua capacità di camuffare il proprio carattere industriale e di manipolare la richiesta «d’evasione» conformandola alle regole di un produttivismo e di un consumismo, loro sì, senza frontiere. Al fine di espandere il mercato, questa risposta industriale all’ideologia del piacere ha portato alla costruzione (o alla riconversione) di una quantità sterminata di infrastrutture dedicate, ignorando, più o meno volutamente, il fatto che un tale processo di commercializzazione sta distruggendo la dimensione simbolica del viaggio e dell’altrove. Ponendosi al servizio del consumo mondiale e della spettacolarizzazione della società, il turismo di massa – l’esatto contrario delle pratiche di viaggio che aspirano a «non lasciare traccia» – presuppone non solo luoghi rimodellati secondo i principi della «ragion turistica», ma anche una sensibilità del tutto peculiare: quella dell’individuo iper-moderno, tecnologicamente connesso e affettivamente solo. Senza più radici e territorio, questo turista globale nutre la confusa speranza di trovare altrove ciò che gli manca a casa: il gusto di una vita conviviale ancora carica di senso. Ma paradossalmente con la sua stessa presenza distrugge ciò che è venuto a cercare.