Cerbini
Prison lives matter

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Se è lo sguardo onnipervasivo dello Stato a essere il tratto distintivo del modello carcerario occidentale, esistono nel Sud del mondo sperimentazioni che deviano quello sguardo trasformando il carcere in un luogo autogovernato dove sono gli stessi detenuti a darsi le regole. Distanziandosi dall’analisi foucaultiana, questo viaggio etnografico nelle galere contemporanee propone un nuovo statuto teorico dell’istituzione penitenziaria a partire dall’assunto che la vita dei reclusi importa.
Cosa succede quando il concetto di istituzione totale e i suoi corollari non sono più utili a definire l’esperienza carceraria? Quando il confine tra ghetto urbano e prigione diventa poroso e sfumato ed emergono forme ibride di autogestione o co-gestione fra Stato e detenuti? In un continuo rimando tra contesti geografici e sociali molto diversi, Cerbini esplora questi interrogativi con lo sguardo dell’antropologa, ovvero partendo dalle esperienze dei soggetti che il carcere lo vivono e dalla loro visione del mondo. Grazie alle numerose etnografie condotte nell’ultimo decennio all’interno degli istituti di pena del Sud e del Nord globale, si profila così un radicale cambio di prospettiva che scardinando l’univocità del penitenziario ideale, sinonimo di ordine e disciplina, permette di riconsiderare le connessioni e la continuità tra dentro e fuori, tra carcere e società. Un mosaico di narrazioni e contronarrazioni in grado di restituire la multiforme violenza della governance del carcere contemporaneo e gettare le basi per un nuovo statuto teorico dell’istituzione penitenziaria.