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Nota del traduttore

L'autogoverno dei beni collettivi

Jourdain

Cartaceo 13,30 €

Il breve saggio che avete fra le mani presenta difficoltà di traduzione non banali.

In primo luogo il problema della doppia traduzione. Elinor Ostrom ha coniato alcuni termini in inglese americano, in particolare commons e CPRs (Common-Pool Resources); Jourdain talvolta traduce in francese e talvolta lascia in inglese. In italiano abbiamo optato per una traduzione diretta dall’originale, che però si scontra con altre espressioni impiegate nelle opere italiane derivate.

Il secondo problema è quindi legato a incongruenze terminologiche. Nella proposta della commissione Rodotà nel 2008, i beni comuni sono «delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. Titolari di beni comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o soggetti privati. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge». Tale accezione è lontano dai commons secondo Ostrom, che sono beni collettivi nel senso di beni la cui manutenzione e godimento dipendono dall’auto-organizzazione e dall’auto-gestione da parte di organismi collettivi; non sono frutto della competizione di mercato ma non sono regolati dalla legge, non sono emanazione dello Stato né di altre istituzioni pubbliche. Esempio di bene comune nel primo senso è l’acqua in quanto risorsa pubblica garantita dal potere istituito, con tanto di regolamenti che ne impediscono la privatizzazione e ne sanzionano usi illeciti; esempio di commons è invece una sorgente d’acqua gestita a livello di comunità locale da persone che decidono le regole di usufrutto del bene, come farle rispettare e così via.

Talvolta Jourdain impiega il/i collettivo/i ma questo termine rimane ambiguo e anche in francese, a nostro avviso, rischia di confondere. Altre possibili alternative, altri neologismi a cui avremmo potuto fare ricorso, ma non del tutto soddisfacenti, sono: il comune, differenziando rispetto a il municipio come istituzione pubblica. Questo termine è stato abusato, anche in francese, talvolta come le Commun, con una maiuscola che riecheggia senza dubbio il Comunismo, del tutto alieno al pensiero autogestionario di Ostrom. Oppure il comunale, meno ambiguo del precedente ma più ostico: Ostrom impiega non di rado communal, termine che non ha a che fare con l’istituzione comunale, in inglese americano municipal oppure city impiegato come aggettivo (city council, il consiglio comunale). Infine, la comunalità, ancora più ostico ma di rottura. Il termine è usato una volta da Jourdain: «il termine comunalità è stato oggetto di sviluppi che consentono di apprezzare diverse modalità giuridiche dei beni collettivi».

Il comune per l’ente pubblico e la comune per l’insieme sociale non istituzionalizzato sarebbe terminologia abusiva.

Governing the Commons, il testo fondativo di Ostrom pubblicato nel 1990, fu reso in italiano con Governare i beni collettivi (Marsilio, 1994), traduzione a cui ci siamo attenuti. Allo stesso modo abbiamo ripreso anche la traduzione risorse collettive per Common-Pool resources (CPRs), la cui fruizione è garantita da istituzioni di tipo non statale e non gerarchico. Riecheggiano il pensiero di Claude Lefort a proposito dell’autonomia e di Cornelius Castoriadis sulla costruzione immaginaria della società come processo di auto-istituzione e, potenzialmente, di auto-emancipazione.