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Presentazione dell’edizione italiana di Sotto il Beaubourg

Sotto il Beaubourg

Meister

PROSSIMA USCITA
mar 16 lug 2024

 

INDICE DEL LIBRO:

Presentazione dell’edizione italiana di Jacques Vallet
Nota del traduttore di Roberto Ambrosoli
Sotto il Beaubourg
Note

Gustave Auffeulpin è lo pseudonimo con cui Albert Meister ha pubblicato questo libro in Francia. Gustave è morto il 6 gennaio 1982 a Kyoto, dove aveva iniziato a occuparsi di scultura e a disegnare. Aveva cinquantaquattro anni, essendo nato il 22 luglio 1927 a Basilea.

Sotto il Beaubourg appartiene a quello che Gustave definiva «il lato non professionale» della sua vita, quello che gli faceva desiderare di divenire un «beaubourg».

«Non possediamo niente, nemmeno il nostro nome». Per questo scriveva sulla rivista «Le Fou parle» – di cui era uno dei fondatori – firmando di volta in volta Albert de Verfeuil, A. Monche-Noquet, A. Sigolfa, C. Sniffe-Neef, Nepeutze, Adèle Kunespa, O. Teufat, E. Messet-Lalbarre, Astor Kohr Machu o ancora Gustave Joyeux. Era il suo modo per non «capitalizzare sotto un solo pseudonimo» un discorso attraverso il quale aveva cominciato a prendere certe distanze. «Ormai», diceva, «i miei scritti si muoveranno a casaccio, senza preoccuparsi più di tanto per la reputazione della rivista che li accoglierà, così, solo per il piacere».

Su «Le Fou parle», il suo piacere consisteva nell’irriverenza, nel gioco al rilancio. Stilava così falsi resoconti su un’epidemia di suicidi, su degli anziani che preferivano tirare le cuoia in compagnia di qualche potente della Terra, sul controllo dei flussi turistici, tarati sul modello dello smaltimento dei rifiuti, o dava stravaganti informazioni scientifiche, come la dimostrazione che «il triangolo delle Bermuda è un quadrato». Tutto questo per meglio denunciare l’ordine stabilito, per sconcertare, per sfuggire all’integrazione. E presentava la sua scelta sovversiva sotto il manto rispettabile della serietà scientifica.

«A me non tocca dire il vero», spiegava Albert (o Gustave), «non ho verità da proclamare; tutto quello che ho cercato di fare è stato di dire: attenzione, non fatevi prendere».

Restare un ribelle è stata la costante preoccupazione di Albert, sociologo rinomato, professore dell’école Pratique des Hautes études e autore di numerose opere estremamente «serie» sui problemi dello sviluppo, dell’autogestione e dei fenomeni associativi, come L’Afrique peut-elle partir?, Où va l’autogestion yougoslave, Alphabétisation et développement, L’Autogestion en uniforme, eccetera.

Albert ha passato la sua vita a studiare il vivere sociale degli uomini, occupandosi di comunità lavorative, di gruppi residenziali, di associazioni rurali o di altre comunità delimitate. Successivamente, ha studiato i programmi di sviluppo locali e regionali – in particolare, ha collaborato in Italia al decentramento regionale ispirato da Adriano Olivetti – orientandosi sempre più verso lo studio delle trasformazioni su scala nazionale o continentale… Per rendersi finalmente conto che il giogo del potere che tiene l’uomo prigioniero è più stretto di quanto non si dica e ben ridotto è il margine di manovra per un’ipotetica liberazione.

In un suo libro essenziale (passato sotto silenzio), L’Inflation créatrice, dimostra efficacemente come il potere del denaro sia riuscito a imporre al mondo – all’Ovest come all’Est, al Nord come al Sud – un sistema transnazionale di dominio che alimenta l’inflazione e di cui non sarà facile sbarazzarsi. La sua analisi è che la lassezza umana rende questo accerchiamento – ora sornione, ora rampante, ora impercettibile – difficile da combattere. Per Albert, la potenza di quest’idra che ci tiene per i coglioni non sta tanto nelle persone quanto «nei sistemi di relazione e azione che portano alle decisioni che ci vengono imposte». Questo sistema transnazionale tollera infatti solo ciò che lo può rafforzare. Peggio, arriva persino a dirigere coloro che vi si oppongono perché – obbligandoli a innovare per contrastarlo – gli permettono di adattarsi; come se le nostre battaglie per una maggiore libertà non possano sortire altro effetto che una maggiore integrazione!

«Siamo ormai troppo presi», constata Albert, «nell’ingranaggio del consumismo e dei miglioramenti costanti del livello di vita per poter scegliere di tornare a tassi di crescita più moderati, per limitare l’inquinamento che produciamo ed economizzare le nostre energie. La contestazione aiuterà a limitare i danni, ma essa non può modificare le opzioni fondamentali di una civiltà interamente basata sullo sfruttamento di una natura dalla quale ci siamo separati. Ci toglieranno la corrente, ma non ci insegneranno a spegnere la luce quando usciamo».

Ecco le impasses in cui si andava a cacciare il nostro sociologo ponendosi questioni siffatte. «Chi potrebbe negare», scriveva nel suo ultimo libro sull’esperienza peruviana di gestione del sotto-sviluppo, «che uno dei ruoli sempre più importanti delle associazioni e delle organizzazioni sia oggi quello di placare l’aggressività dei propri membri e di controllare la popolazione?».

Gustave entra allora in scena e tira Albert per la manica, e gli mostra una piccola porta aperta sulle falle del sistema: «Ormai la libertà umana si trova unicamente nelle imperfezioni della programmazione, negli interstizi del tessuto sociale non ancora toccato dalla benevola sollecitudine degli apparati di integrazione». E lì si può immaginare un mondo dove vivere diversamente sia già cambiare la vita, dove rapporti diversi tra gli uomini consentano di ignorare la dominazione, lo sfruttamento, l’abbrutimento impostoci dall’ordine sociale…

Gustave fa una gioiosa dimostrazione di come questo mondo sia possibile in Sotto il Beaubourg, apparso in Francia nel 1976. L’idea gli viene perché abita proprio di fronte a questo edificio che per Parigi è il simbolo della cultura ufficiale: il Centre Georges Pompidou, meglio noto come Beaubourg. Si inventa allora l’emergere di un’altra cultura in sotterranei immaginari. E tutti i lavori fatti, tutti i fenomeni studiati si trasformano in una bacchetta magica che si china sulla culla di questa nascente cultura: tutto è realizzabile, e immediatamente. Basta deciderlo.

«Allontanarsi da tutto quanto è della società borghese: la proprietà, la lotta per il potere e per la politica, la rispettabilità, l’igiene ossessiva, i giochi inutili dell’intellettualismo. Anzi, smettere di contestarla, per meglio allontanarsene e costruire al di fuori la nostra. Siamo mutanti che ormai non appartengono più al vostro mondo».

Basta dare ascolto a questa voce libertaria: «Se pensate che il Sistema non possa essere corretto, ma debba essere completamente trasformato, se ad esempio pensate che il problema non sia lavorare meno quanto lavorare con piacere e quando se ne ha voglia, che il problema non sia possedere delle cose ma poterle utilizzare quando servono, non sia guadagnare di più ma dimenticare la nozione stessa di guadagno e di denaro, non sia mettere su famiglia ma amare… se sono questi gli orrori che vi passano per la testa non avete altra possibilità che ribaltare tutto quello che il Sistema implica: amare invece che odiare, donare invece che prendere, scrivere con errori invece che rispettare l’ortografia, adottare invece che procreare, camminare invece che circolare, non votare invece che cadere nella trappola di votare contro, non possedere e dunque non avere alcunché da dichiarare invece che dichiarare poco, non guardare la tv invece di dire che è brutta, non credere invece che stare a sentire i preti, non scrivere invece che scrivere cazzate, e qui mi fermo, perché alla fin fine è anche preferibile vivere piuttosto che scrivere come si deve vivere».

E Gustave – Albert – sapendo che bisogna affrettarsi prima dell’oblio definitivo, non vuol più parlare ma fare quello che gli piace.

Questa vita piena di luce viene spenta dalla morte. «E ora», dice Albert, «è tempo che mi lasciate. Voglio addormentarmi. È stato tutto così bello…».