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Introduzione a La concezione anarchica del vivente

La concezione anarchica del vivente

Kupiec

Cartaceo 17,10 € E-book 12,99 €
mer 16 giu 2021

 

INDICE DEL LIBRO:

Introduzione
CAPITOLO PRIMO Né gene, né rumore, né ambiente
CAPITOLO SECONDO Cos’è la genetica?
CAPITOLO TERZO Disordine a ogni livello
CAPITOLO QUARTO Darwinismo e genetica: una sintesi impossibile
CAPITOLO QUINTO Il corpo autogestito
CAPITOLO SESTO Risposta ad alcune obiezioni

Una ventina di anni fa nella mia carriera si è verificato un episodio del tutto inatteso. Ne parlo qui perché ha giocato un ruolo nelle motivazioni che hanno portato alla scrittura di questo libro. Nel 1998, quando le mie idee erano ancora assai poco note, ricevetti da parte di Joshua Lederberg (1925-2008) la richiesta di ricevere l’estratto di un articolo teorico che avevo appena pubblicato. Lederberg era un gigante della biologia del XX secolo. Nel 1958 gli era stato conferito il premio Nobel per una serie di scoperte fondamentali che avevano consentito lo sviluppo della biologia molecolare. Chi l’avrebbe mai detto: proprio lui si interessava alla mia teoria sul darwinismo cellulare!

All’epoca ero in contatto con un altro ricercatore statunitense un po’ meno noto, Sergei Atamas (1961), con il quale discutevo regolarmente via e-mail di vari argomenti il cui tema comune era il ruolo del caso nel vivente. A un certo punto avevamo deciso di costituire un gruppo di discussione al quale invitare diversi colleghi che sapevamo interessati al medesimo tema. Fra loro c’era Jim Till (1931), un biologo canadese che conoscevamo solo tramite i suoi lavori, e a quel punto anche Joshua Lederberg, visto che aveva manifestato curiosità per questa problematica. Tutti i colleghi cui avevamo scritto avevano accettato con entusiasmo l’invito e l’avevano anche esteso ad alcune loro conoscenze. In questo modo avevamo rapidamente messo insieme un gruppo di parecchie decine di ricercatori che comprendeva almeno due premi Nobel (Lederberg aveva infatti cooptato Herb Simon [1916-2001], il quale lavorava sui problemi dell’organizzazione sociale ed era intrigato dai modelli biologici) e un futuro premio Lasker (Jim Till l’ha ottenuto nel 2005 per la scoperta delle cellule staminali). Davvero niente male per dei marginali come noi! (All’epoca, l’idea che nel funzionamento dei geni potesse fare la sua comparsa il caso non era ancora accettata).

Inizialmente il gruppo funzionò tramite lo scambio di e-mail collettive, poi Atamas creò un sito internet e a quel punto decidemmo di dare al gruppo un nome che era tutto un programma: Heraclitean Biology Group! Tutto questo durò circa tre anni. Le discussioni erano accese, discordanti, appassionate, eclettiche. Poi il gruppo ha smesso di esistere ufficialmente: né Sergei né io avevamo il temperamento necessario per gestirlo in modo duraturo.

Eppure, ed è qui che voglio arrivare, durante quelle discussioni si è manifestata una certa eterogeneità di opinioni, se non una gran confusione, riguardo all’utilizzo e al significato del concetto di «caso». È infatti emerso che si possono formulare teorie differenti che mobilitano concetti notevolmente diversi. A quel punto ho compreso che c’era in ballo qualcosa di più fondamentale di un problema puramente scientifico che poteva essere risolto con esperimenti da cui derivarne infallibilmente la soluzione. Per la verità lo sospettavo già da prima, ma mi divenne ancora più evidente negli scambi con quei ricercatori che, per quanto bendisposti e piuttosto attratti dall’idea che il caso giochi un ruolo nel funzionamento delle cellule, non per questo giungevano a rimettere in discussione la genetica. D’altronde, ricercatori con un punto di vista analogo avevano sviluppato una linea di ricerca che aveva integrato il caso, concettualizzandolo però sotto il termine di «rumore». A loro modo di vedere, si trattava solamente di un parametro supplementare nel funzionamento genetico e prenderlo in considerazione non implicava alcun cambiamento di paradigma.

Al contrario, a me sembrava che ci fosse in gioco un problema di natura filosofica che oltrepassava l’ambito ristretto della pratica scientifica, un problema ben più importante della validità della genetica. Percepivo che la questione relativa al ruolo del caso nel vivente portava alla più fondamentale questione dell’ordine, ovvero se il mondo è intrinsecamente ordinato o se l’ordine è solo un principio della nostra mente che ci serve per afferrarlo. È chiaro che, a seconda della risposta data, il vivente viene concepito in modi radicalmente opposti. Ed è appunto questa la problematica che affronto nelle pagine che seguono. Questa questione dell’ordine era già sotto traccia nei miei scritti precedenti, ma non compariva in maniera così eclatante. Era ancora in gestazione. È stato necessario che maturasse fin dall’epoca del Heraclitean Biology Group perché io potessi infine affrontarla direttamente. E infatti in questo libro ci sono sviluppi che vanno oltre quello che ho scritto in precedenza. Ritengo che ora emerga in maniera esplicita, sistematica e molto più elaborata, quanto cercavo di mettere a punto da molto tempo. O almeno lo spero, e spero che susciti l’interesse di qualche lettore.