Per non concludere…
Libro
Breve storia del cinema militante
Fofi
Cartaceo 14,25 € E-book 7,99 €
ven 22 set 2023
INDICE DEL LIBRO:
CAPITOLO PRIMO Cinema militante e movimenti di opposizione
CAPITOLO SECONDO Tra sperimentazione, decadenza e nostalgia
CAPITOLO TERZO Per non concludere…
QUALCHE ESEMPIO Dziga Vertov
Miseria dell’immaginario e necessità dell’inchiesta
Per un cinema impietoso
Il Vietnam di Chris Marker
Solanas, Getino e il cinema didattico
Frederick Wiseman
Robert Kramer
La Woodstock di Michael Wadleigh
Ettore Scola
Bellocchio & Co. // Jean-Luc Godard
Non si tratta soltanto di trasformazione o fine di un modello di cinema militante, quanto di decisiva ma non ultima trasformazione del cinema, diventato da centrale strumento di comunicazione e di formazione culturale di massa – qual è stato, bene o male, per tutto il corso del Novecento – a forma di comunicazione e di creazione artistica del tutto secondaria rispetto a quelle venute dopo. Prima la televisione, entrata in ogni casa in più di mezzo mondo, e poi, ancora più invadente, «personalizzata», Internet con i suoi benedetti/maledetti «personal computer», e ancora, più diffuso e onnipresente, il telefono digitale che al computer permette di collegarsi, affannosamente e ossessivamente.
Il «progresso tecnologico» non ha mai fine. La storia del capitalismo ci ha insegnato che in essa, di continuo, i figli uccidono i propri padri, in quanto più «moderni» e dunque più avidi e più aggressivi di loro. E un’invenzione nuova perfeziona o sostituisce quelle di appena ieri.
In un vecchio romanzo di fantascienza, le signore più colte si organizzavano ogni anno per seguire dei meravigliosi festival del ricordo di altri tempi, in cui veniva presentata a un ristretto ed eletto pubblico di raffinati una manciata di film di ieri, meglio se non «d’autore» ma «di genere»… Succede oggi con i DVD (parlo anche per me), nel mentre che stanchi festival e «operatori» non «creativi» ma funzionari di quel che resta di un sistema produttivo marginalizzato all’estremo, e tuttavia attaccati ferocemente ai loro quattro soldi e al poco che sanno fiaccamente fare, dei sopravvissuti in stile Lucky Red e affini, radunano un po’ di soldi (raschiano, si sarebbe detto un tempo, il fondo del barile) tra Banche e Stato e Assessorati alla Cultura (intesa, la cultura, come un modo di dar qualche soldo a masse di giovani di fiacchi mestieri e fiacche vocazioni, per ricavarne qualche voto o, semplicemente, per tenerli buoni) per la realizzazione di film che vengono proclamati attuali e non sono che copie di copie, privi di riscontro pubblico, di pubblica necessità. Lo abbiamo amato e goduto, il cinema, ma oggi, come forma di comunicazione eminentemente sociale e talvolta arte «for the millions», è decisamente morto e mai più potrà risorgere dalle sue ceneri. Un godimento ancora per poco e per un po’ di nostalgici senili spettatori o di giovani di poche speranze e di scarse esigenze ma che si ostinano a credere di vivere in un tempo di possibilità.
E tuttavia…
…tuttavia un modo per sopravvivere il cinema potrebbe ancora trovarlo se si arrendesse a un destino che non riguarda, peraltro, soltanto il cinema, e se accettasse di riflettere sulla sua obbligata marginalità traendone motivi di azione benché, ovviamente, non paragonabili con la vitalità di un tempo. Se osasse divenire, in tutte le sue possibili declinazioni, un cinema tuttavia «militante», da portare in giro direttamente – i suoi realizzatori – in quei luoghi dove ancora c’è chi pensa di aver bisogno di questa forma di comunicazione o di svago. Un confronto all’interno di piccoli gruppi sui temi che quel cinema propone e sui modi in cui li propone.
Sempre di «militanza» si tratterebbe – per la diffusione di inchieste e di informazioni, di lezioni e di incitamenti alla lotta (infine: per prendere in mano il proprio destino) rivolti a piccoli gruppi che si intende rendere partecipi di una conoscenza e di una speranza, nella ricerca di forme di intervento di gruppo ma anche individuali. Sociali e pedagogici, scientifici e culturali, e in definitiva politici… adeguati al tempo in cui si vive, alle acque in cui si è costretti a nuotare…
In questa visione, il «cinema d’autore» ha la stessa identità e può avere la stessa funzione del «cinema militante», e Luis Buñuel (compresi Age d’or e Cane andaluso!) o Akira Kurosawa, Orson Welles o Andrzej Wajda, Ingmar Bergman o Pier Paolo Pasolini, Jean-Luc Godard o Rainer Fassbinder, Stanley Kubrick o Federico Fellini diventano «militanti» alla stessa stregua di Vertov o Marker, Solanas o Panh, Wiseman o Morris, Minervini o Ferrente…
Da pochi a pochi titolai anni fa un mio pamphlet [elèuthera, 2006], pensando a questo modello. Non solo per il cinema: per la formazione e per l’informazione, per il dovere e per il piacere delle nuove generazioni e per quei pochi delle vecchie sopravvissuti non del tutto indegnamente… In più campi possibili, nei campi della formazione morale e politica ma anche in quelli del piacere estetico, non solo conoscitivo.
Dunque: portare in giro i propri film in modo militante, da salette a cantine, da scuole a quartieri, da parrocchie a camere del lavoro (se di queste ce ne saranno ancora e se torneranno a essere attivi luoghi d’incontro e di organizzazione dei lavoratori, locali o immigrati; nonostante che i sindacati abbiano voluto, burocratizzandosi, tradire la loro stessa ragione di esistere). Dando spazio a quanto di inchiesta e informazione, di formazione e motivata e precisa sollecitazione all’azione, il cinema, senza barriera di generi, potrebbe ancora offrire ai nostri sacrosanti bisogni – traditi dalla sinistra, dalla scuola, dal giornalismo e insomma dalla kultura con la kappa – di sapere e di capire, e di agire, ciascuno secondo le proprie forze e meglio se in gruppo e se in tanti, in difesa della Natura e degli Oppressi, in cento modi oppressi, di tutto il mondo. Comprese, è ovvio, piante e animali, acque e venti. Prima che sia troppo tardi, perché il tempo è vicino e il poco che resta non va sciupato.
Lunga vita al cinema militante! In tutte le sue forme e se mosso da finalità che non possiamo chiamare altro che «libertarie» e «socialiste».