Premessa a ‘Nestor Machno. Bandiera nera sull’Ucraina’

Alexander Vladlenovic Shubin

2022-10-13

traduzione di Sara Baglivi.

INDICE DEL LIBRO:

Premessa // CAPITOLO PRIMO Nascita di un leader contadino // CAPITOLO SECONDO La machnovščina // CAPITOLO TERZO La sconfitta dei Bianchi // CAPITOLO QUARTO Lo scontro con l’Armata rossa // CAPITOLO QUINTO L’esilio // Cronologia essenziale a cura di Michail Tsovma

Le fonti

Il movimento machnovista ucraino, poco studiato dalla storiografia mondiale, è stato uno degli episodi più importanti della rivoluzione e della guerra civile esplosa nel 1917 nell’ex impero russo. Negli anni tra il 1917 e il 1921, i contadini e gli operai che vivevano tra il Dnepr e il bacino del Don tentarono di costruire la propria vita a partire dai propri desideri, combattendo contro le forze controrivoluzionarie e i nazionalisti ucraini, e cercando al contempo di non sottomettersi al nuovo potere comunista. Non sorprende che l’iniziale alleanza tattica con i comunisti si sia poi conclusa con uno scontro militare, durante il quale l’esercito insurrezionale machnovista si batté impugnando la bandiera nera dell’anarchia.

Alla guida di questa armata contadina c’era Nestor Ivanovič Machno, uno stratega geniale che fino al 1918 non aveva preso parte ad alcuna guerra, ma che in seguito si ritrovò al posto giusto nel momento giusto. Nei brevi momenti di tregua, i machnovisti provarono a costruire una nuova società basata sull’autogestione, e nonostante questo movimento sia sopravvissuto soltanto fino al 1921, ha rappresentato comunque uno degli esempi più vividi del desiderio di liberazione sociale e politica che ha caratterizzato quell’epoca.

Tra le guerre contadine europee, questa è certamente quella che ha accesso al maggior numero di fonti storiche, anche se queste fonti, peraltro altamente contraddittorie, fino a poco tempo fa erano per lo più secretate, e quella minima parte che veniva resa pubblica lo era a discrezione dei pochi studiosi filo-bolscevichi autorizzati a visionarle. La maggior parte dei materiali di archivio riguardanti la storia del movimento machnovista era infatti concentrata negli archivi di Stato russi e ucraini, anche se un certo numero di documenti interessanti sono ricomparsi all’estero, ad esempio negli archivi dell’Istituto di storia sociale di Amsterdam1. Una parte dei documenti era stata d’altronde riprodotta nelle testate pubblicate dai machnovisti stessi2. Tra le fonti più importanti per la storia del movimento machnovista ci sono ovviamente le memorie di Machno, in cui si ritrovano sia gli appunti fatti nel corso degli eventi, sia le riflessioni successive, spesso critiche e talvolta tese a giustificarsi. Questo spiega alcune contraddizioni e aiuta a contestualizzare le idee espresse da Machno nelle memorie relative agli avvenimenti dell’epoca, in particolare del biennio 1917-1918. Oltre a Machno, altri esponenti di spicco del movimento hanno scritto le loro memorie, come Aleksej Čubenko e Viktor Belaš, poi riprese nei lavori di Vsevolod Volin (Eichenbaum) e di Pëtr Aršinov (Marin)3. Ovviamente anche i bolscevichi hanno scritto molto sulla machnovščina4.

Quanto alle memorie dei comandanti machnovisti Čubenko e Belaš, va tenuto presente che furono scritte sotto il controllo della GPU, la polizia politica sovietica, e l’intenzione era di pubblicarle dopo un’ulteriore revisione da parte degli editori. In realtà non furono mai pubblicate per motivi diversi: innanzi tutto perché Čubenko, che pure mostrava la chiara volontà di fornire informazioni «compromettenti» per la machnovščina, lo aveva fatto in maniera poco efficace a causa dello scarso livello di alfabetizzazione; da parte sua Belaš si limitò a un resoconto bellico nel quale descriveva in modo minuzioso le operazioni militari da lui dirette. In questo suo documento, l’ex comandante del quartier generale machnovista di fatto mantenne una linea ben chiara tesa in realtà a ingannare i suoi censori: criticando aspramente Machno, Belaš intendeva giustificare il movimento (e se stesso al suo interno) in tutti i modi possibili. Gli appunti di Belaš relativi alle operazioni militari sono peraltro confermati anche dai documenti degli archivi di Stato militari; perciò, con l’eccezione di alcuni frammenti in cui si può leggere l’intervento di un censore «interno», o forse «esterno», le memorie di Belaš possono essere considerate sufficientemente obiettive.

Un documento estremamente interessante è il verbale di interrogatorio di Volin del 19205. Essendo prigioniero dei bolscevichi, l’ideologo del movimento non poteva ovviamente dire quello che pensava. Tuttavia, pur cercando di sfuggire alla fucilazione, appare evidente come Volin tentasse di dimostrare ai bolscevichi la correttezza della politica di Machno. Avendo più volte letto il documento, posso testimoniare che non è in contraddizione con le altre fonti e quindi non è stato compromesso dal desiderio di salvarsi la vita.

Una fonte altrettanto importante per la ricostruzione del movimento fino al 1920 è il diario della moglie di Machno, Galina Kuz’menko, del quale verranno pubblicati alcuni stralci nel 1921 e il testo integrale nel 19606. L’autenticità del diario è stata a lungo contestata perché, prima della pubblicazione dei frammenti, il diario era stato attribuito a Fedora Gaenko, un’amica della Kuz’menko7. In effetti, i frammenti del diario pubblicati nel 1921 erano compromettenti per il movimento e il suo leader, nonostante il fatto che la Kuz’menko fosse rimasta al suo fianco e avesse sostenuto la sua lotta contro i comunisti. Come nel caso delle memorie di Belaš e di Čubenko, il diario ha un rilevante peso storico e può essere usato come una fonte storica affidabile.

Nel 1928 una casa editrice sovietica pubblicò Bat’ko Machno: memorie di una guardia bianca di N.V. Gerasimenko8, testo in cui il movimento machnovista era descritto come una banda di delinquenti. Un minimo confronto con i documenti di archivio dimostra come Gerasimenko non conoscesse affatto il movimento machnovista e ne avesse scritto solo per sentito dire. Estremamente di parte sono anche le memorie dell’ex anarchico I. Teper9, costretto a mostrare la sua fedeltà al bolscevismo facendo una feroce critica del machnovismo, con affermazioni che in molti casi hanno poco o niente a che vedere con gli eventi reali, com’è oggi facilmente verificabile confrontando le fonti archivistiche. Tuttavia, a differenza delle «memorie» di Gerasimenko, il lavoro di Teper è una fonte storica valida poiché molte osservazioni personali non sono dettate dall’ideologia dei vincitori.

Anche le memorie redatte dai bolscevichi sono contraddittorie. Se in alcuni casi si riscontra una palese ostilità, un’evidente deformazione dei fatti10 o un interesse puramente militare (che peraltro rende giustizia all’arte militare di Machno11), in altri rari casi traspare una certa simpatia, ad esempio nelle memorie di Vladimir Antonov-Ovseenko e di Anton Skačko12. Ma a parte qualche eccezione, la storiografia del movimento machnovista di parte bolscevica già negli anni Venti si basava essenzialmente sulla diffamazione, una modalità peraltro ampiamente diffusa che si sarebbe superata solo negli anni Ottanta con la comparsa dei samizdat.

In particolare, è nel libro di Michail Kubanin, Machnovščina13, che emerge in modo più evidente la scarsa obiettività della storiografia sovietica. Quest’opera è probabilmente la più importante ricerca sul movimento machnovista della scuola marxista-leninista. Una buona parte del materiale reperito da Kubanin negli archivi del movimento operaio è certamente interessante e aiuta a risolvere alcuni enigmi del movimento, ma il suo lavoro è profondamente condizionato dalla censura del regime, con travisamenti dei fatti e valutazioni ideologiche che verranno costantemente ripresi dai successivi scritti filo-bolscevichi.

Di grande interesse l’articolo pubblicato nel 1923 da B. Kolesnikov14, in cui viene analizzato l’impatto del machnovismo sul movimento operaio, anche se neppure questo studio è riuscito a sfuggire ai condizionamenti imposti dall’ideologia dominante.

Nel corso degli anni Venti e poi degli anni Trenta vengono pubblicati alcuni lavori filo-bolscevichi di qualità decisamente peggiore, che tuttavia costituiscono, dal punto di vista scientifico, nuove fonti di ricerca15. Molto tempo dopo, nel 1966, viene pubblicato un articolo di Sergej Semanov, La machnovščina e il suo crollo16, che sancisce in modo evidente la decadenza della storiografia filo-bolscevica sulla guerra civile, anche in confronto alle opere pubblicate negli anni Venti. In assenza di qualsiasi rinnovamento ideologico, questo approccio storiografico, pur impegnato nella ricerca di nuove fonti, non riesce a dare al lettore una visione imparziale del movimento17. Nello stesso spirito, le opere sulla storia dell’anarchismo russo realizzate da S. Kanev18 sono datate e troppo imprecise, nonostante gli interessanti rimandi alle numerose fonti ufficiali sulla storia delle organizzazioni anarchiche in Russia e in Ucraina.

L’ultima pubblicazione filo-bolscevica sul movimento machnovista, e allo stesso tempo la più emblematica, è l’opera di Valerj Volkovinskij Nestor Machno e la sua caduta19. La sottomissione incondizionata di Volkovinskij all’ideologia comunista ha piegato la realtà storica creando una narrazione assolutamente inverosimile. Quest’opera è di fatto un eccellente esempio dell’approccio che ha segnato il periodo di transizione denominato glasnost, nel quale il giornalismo di parte ha tentato di combinarsi con un impianto scientifico. E in effetti anche opere di questo genere riescono ad avere un valore scientifico grazie alle numerose fonti storiche pubblicate20, anche se le fonti citate e i relativi giudizi spesso non trovano riscontro o sono talvolta in palese contraddizione con il contenuto del documento originale.

Gli anni Venti segnano anche l’inizio della tradizione apologetica nella storiografia del movimento machnovista di parte anarchica. Questo avviene soprattutto con il libro di Aršinov Storia del movimento machnovista21. Di fronte all’ondata di calunnie, gli anarchici si videro costretti ad accettare le regole del gioco politico e a contrapporre gli scritti «assolutori» a quelli «accusatori». E questo si è poi riproposto negli anni Settanta-Ottanta, quando gli studiosi anarchici, in una situazione di rinnovato scontro ideologico, hanno approfittato delle lacune della storiografia per mostrare solo i lati positivi del movimento machnovista. La necessità di un’analisi complessiva di quel movimento non si era ancora posta ai ricercatori anarchici, che in quegli anni hanno intrapreso un’analisi dell’ideologia propria dei leader del movimento collocandola all’interno dell’esperienza storica del Novecento. E anche l’autore del presente libro ha reso omaggio a quella tradizione22.

La maggior parte delle opere in lingua russa sul movimento machnovista pubblicate all’epoca della glasnost, nonostante i tentativi di allontanarsi dalla visione strettamente marxista-leninista, sono rimaste sostanzialmente fedeli ai miti costruiti dalla precedente storiografia filo-bolscevica. Questo periodo è caratterizzato soprattutto dal desiderio della cultura ufficiale di presentare la machnovščina come «una rivolta insensata e spietata». Lo stesso Machno è descritto come un uomo eccessivamente ingenuo da un punto di vista politico. La ragione di questa sorta di malinteso risiede sia nella cattiva comprensione degli eventi, sia nella scarsa conoscenza, da parte di alcuni autori come Vasilij Golovanov e Sergej Semanov, dell’idea sociale proposta dall’anarchismo23. Questo rende difficile comprendere la condotta di Machno anche per i ricercatori più seri come Vladimir Verstjuk, che in buona fede si concentra sugli aspetti militari del problema. Nello stesso periodo viene pubblicata anche una raccolta di documenti e di memorie, già noti ma dispersi, su Machno e il movimento machnovista24.

Da parte sua, la storiografia non marxista ha continuato a essere attiva all’estero nel tentativo di far conoscere ai lettori le vicende reali, anche se a volte lo ha fatto in modo molto superficiale. Non solo perché l’impatto della tradizione apologetica è sempre stato forte, ma anche perché gli autori stranieri hanno deviato facilmente dal tema principale, dedicando gran parte della narrazione agli avvenimenti già noti della Rivoluzione russa. D’altronde, il loro lavoro era certamente ostacolato dalla carenza di fonti. Nondimeno, autori come Alexander Skirda e Michael Mallett hanno portato avanti studi approfonditi sul movimento machnovista, anche se la trasformazione sociale non è stata al centro delle loro attenzioni25. Quando, alla fine degli anni Ottanta, le fonti prima secretate sono diventate accessibili anche agli studiosi non marxisti, il nuovo contesto li ha costretti a ritornare non solo sull’analisi del contenuto sociale del movimento ma anche su un esame più approfondito degli eventi. In quest’opera, l’autore spera di essere riuscito a portare ancora più avanti lo studio che ha intrapreso da tempo: una prima parte della ricerca è stata infatti pubblicata nel 1993, seguita poi da una monografia più completa apparsa nel 1998, Machno e il movimento machnovista, e dall’opera Machno e la sua epoca nel 2005. In questo stesso periodo sono apparse in lingua russa diverse opere importanti su Machno26.

I luoghi

L’area che vide protagonista il movimento machnovista è principalmente la regione compresa tra il Mar d’Azov a sud, la riva sinistra del Dnepr a ovest e il bacino carbonifero del Don a est. Ma i machnovisti agirono anche sulla riva destra del Dnepr, soprattutto nella regione di Ekaterinoslav (ora Dnepropetrovsk), e a nord in quelle di Poltava e Černigov [in ucraino Černihiv – N.d.T.]. Il cuore della rivolta era la cittadina di Guljaj Pole nella provincia di Aleksandrovsk (l’attuale Zaporozhye). La storia di questi luoghi è legata a quella dei cosacchi e alla loro cultura rurale e nomade, anche se ai primi del Novecento nella provincia di Aleksandrovsk i cosacchi erano ormai solo un ricordo. La steppa si era popolata di gente nuova con stili di vita diversi.

La regione adiacente al Mar d’Azov è parte di una steppa più ampia che si estende fino al fiume Dnestr. Questo territorio all’epoca vantava una vivace economia di mercato e una popolazione più composita rispetto al nord dell’Ucraina. La storiografia marxista ha sostenuto che questa era la regione dei kulaki (una parte dei quali coloni di origine tedesca che i contadini locali consideravano ancora degli stranieri) e che le loro fattorie qui rappresentavano il 22% del numero totale di aziende agricole27. A prima vista una tale affermazione potrebbe apparire favorevole: il «movimento dei kulaki» (che non aveva ancora assunto una connotazione negativa) rimandava infatti all’immagine romantica del buon contadino che era riuscito a emanciparsi economicamente. Ma questa cifra del 22% si ottiene solo se si considerano i kulaki con più di 10 ettari di terreno28, cosa che anche nella storiografia marxista viene considerata «eccessiva»29. L’economia rurale in quelle zone era piuttosto rappresentata dai pomešiki, ovvero dai grandi proprietari terrieri, e quando la riforma agraria del governo di Pëtr Stolypin tentò di abolire le tradizionali terre comuni, la maggiore resistenza la incontrò proprio nel governatorato di Ekaterinoslav30.

Dal punto di vista agricolo e industriale, l’area di azione del futuro movimento machnovista era una delle regioni più sviluppate dell’impero russo, grazie alla vicinanza dei porti e a una rete ferroviaria che aveva favorito lo sviluppo del mercato del grano. Nel governatorato di Ekaterinoslav nel 1913 erano state prodotte 109.806 tonnellate di grano, di cui 52.757 pood (1 pood = 16 kg) esportati verso altre regioni31.

I contadini della zona erano una figura economica molto attiva nel mercato del grano di Ekaterinoslav: tra il 1862 e il 1914 erano riusciti a comprare dai pomešiki quasi la metà delle loro terre. Ma in seguito i pomešiki avevano aumentato a dismisura il prezzo della terra32 e, con l’aiuto dello Stato, avevano imposto il mantenimento dei contratti di locazione con gli agricoltori. Questo naturalmente provocò l’ostilità dei contadini verso qualsiasi forma di proprietà privata, non solo quella dei pomešiki ma anche quella dei kulaki. Nello stesso periodo, alcune forme di mercato collettivo avevano facilitato lo sviluppo di cooperative agricole33.

L’orientamento mercantile delle aziende collettive contribuì allo sviluppo dell’ingegneria agraria e di altre forme di agro-industria. Nelle province di Ekaterinoslav e della Tauride si produceva il 24,4% delle macchine agricole del paese (a Mosca solo il 10%)34. Una parte significativa dell’industria di Ekaterinoslav era dislocata su tutto il territorio: piccole città e villaggi di grandi dimensioni erano diventati dei veri e propri complessi agro-industriali. A Guljaj Pole, futura capitale del movimento machnovista, c’erano una fonderia e due mulini a vapore, e nel distretto c’erano dodici fabbriche di piastrelle e mattoni35. Tutto ciò contribuiva non solo alla produzione ma anche al rafforzamento del legame tra contadini e operai. Molti contadini andavano a cercare lavoro nelle vicinanze dei grandi centri industriali, sicuri che in caso di crisi sarebbero potuti rientrare nei villaggi di origine, e nei villaggi non c’era carenza di prodotti industriali grazie alla vicinanza di numerose fabbriche. Erano le grandi città a essere percepite dai contadini come un mondo estraneo e distante di cui non avvertivano alcun bisogno. Quanto al nazionalismo, mentre nel nord dell’Ucraina era solidamente radicato nell’economia autocratica che caratterizzava quell’area, nella regione del Mar d’Azov stentava invece a trovare una sua base sociale.

È in questo contesto che sarebbe nato uno dei più grandi movimenti contadini della storia europea, che tuttavia sarà strettamente legato al movimento operaio, tanto da avere nelle sue fila anche leader operai, tra i quali lo stesso Machno che in gioventù aveva lavorato in una fonderia di ghisa.

La gioventù di Machno

Nestor Ivanovič Machno era convinto di essere nato il 27 ottobre 1889, ma in realtà la sua data di nascita era stata falsificata dai genitori. Il registro delle nascite riporta infatti che il 26 ottobre 1888 Ivan Rodionovič Michno e la sua legittima moglie Evdokia Matveevna ebbero un figlio cui diedero il nome di Nestor. Il giorno successivo il bambino fu battezzato36. I genitori falsificarono l’anno di nascita del figlio affinché fosse richiamato dall’esercito un anno più tardi. Di fatto Nestor non andrà mai come coscritto nell’esercito regio, ma l’invenzione dei genitori gli salverà comunque la vita quando anni dopo, grazie al fatto di risultare ancora minorenne, la pena di morte gli verrà commutata nei lavori forzati.

Il fatto che il suo cognome fosse diventato Machno fa riferimento alla tradizione contadina di quelle zone di contrarre il cognome completo in segno di rispetto: l’effettivo cognome della famiglia era infatti Michnenko, ma il padre veniva chiamato Michno e i figli Machno.

Il padre di Nestor, un ex servo della gleba divenuto dapprima stalliere, poi bovaro del pomešiki Mabel’skij e infine cocchiere dell’industriale Kerner, morì prematuramente nel 1890. «Rimanemmo orfani in cinque fratelli, il più piccolo dei quali ancora neonato, tutti a carico della nostra povera madre che non possedeva nulla, neanche una casa. Ricordo vagamente la mia prima infanzia, priva dei giochi e della gioia che sono tipici dei bambini, incupito dal bisogno e dalle privazioni che hanno segnato la nostra famiglia fino a quando non siamo cresciuti e abbiamo cominciato a guadagnare»37 ricorda Machno nel 1921.

I soldi guadagnati dai fratelli maggiori permisero a Machno di avere un’istruzione primaria accettabile. «A 8 anni mia madre mi mandò nella seconda classe della scuola elementare di Guljaj Pole. Gli impegni scolastici non mi pesavano. Studiavo volentieri, l’insegnante mi elogiava e mia madre era felice dei miei progressi. Ma questo avvenne solo all’inizio dell’anno scolastico. Quando sopraggiunse l’inverno e il fiume gelò, spinto dagli amici con cui giocavo, cominciai ad andare più spesso al fiume che in classe. Ero così felice di andare a pattinare insieme ad altre centinaia di monelli che per settimane non mi presentai a scuola. Mia madre era convinta che la mattina, con i miei libri, andassi a scuola e che di pomeriggio tornassi da lì. In realtà ogni giorno andavo soltanto al fiume e, quando mi ero stancato di giocare e pattinare con gli amici, tornavo a casa. Questa mia ‘diligente’ vita scolastica continuò fino alla settimana di carnevale. In quella settimana, in un giorno per me memorabile, pattinando lungo il fiume con un mio amico caddi nell’acqua ghiacciata e per poco non affogai. Ricordo ancora la gente che accorreva e mi tirava fuori dall’acqua. Io, per paura di tornare a casa, mi rifugiai da uno zio materno, ma lungo la strada per arrivarci mi ricoprii di ghiaccio. Seriamente preoccupato per la mia salute, lo zio si precipitò da mia madre per riferirle quanto era successo. Quando mia madre accorse spaventata, mi trovò seduto sulla stufa in preda ai fumi dall’alcol. Una volta capito cosa era accaduto, mi stese sulla panca e cominciò a ‘curarmi’ con un grosso pezzo di corda intrecciata. Ricordo che per molto tempo non riuscii a star seduto correttamente al mio banco di scuola, ma da quel momento diventai uno studente davvero diligente. Così, durante l’inverno studiavo e in estate portavo al pascolo pecore e vitelli per un ricco fattore. Durante la trebbiatura guidavo il carro dei buoi per i pomešiki, ricevendo 25 kopeke al giorno»38.

Viktor Belaš, futuro compagno d’armi di Machno, così scrive nelle memorie redatte sotto il vigile sguardo della censura bolscevica: «Dopo essere cresciuto un po’ ed essersi rinvigorito, Machno entrò come manovale nella fonderia dei Kerner. Anche qui non lo abbandonava mai il forte desiderio di essere al centro dell’attenzione, così cercava di farsi notare a tutti i costi. Avendo saputo che in fabbrica c’era una compagnia teatrale amatoriale, il cui direttore era Nazar Zujčenko, Machno chiese di poter entrare nella compagnia». L’episodio è confermato anche da Zujčenko: «Una volta Nestor Machno è venuto da me e mi ha chiesto di farlo diventare un attore. Bene, perché starci a pensare troppo? Se vogliamo far ridere il pubblico, facciamolo pure. Lui era come Pollicino, mi arrivava alla vita. Lo prendemmo»39.

È in questo contesto che si forgia il carattere del futuro rivoluzionario. Le circostanze sono quelle ideali: l’infanzia difficile, la volontà di sfuggire alla miseria, il desiderio di rivalsa nei confronti di chi gli infliggeva quelle sofferenze, la tenacia necessaria per sopravvivere, e persino la bassa statura come stimolo all’affermazione di sé. Ma perché tra i milioni di coetanei che vivevano nelle stesse condizioni e nello stesso ambiente culturale, proprio lui è diventato il leader di un movimento di massa? In effetti, fino al 1905 la vita di Machno era simile a quella di centinaia di migliaia di giovani delle classi inferiori che sognavano tutti di sfuggire alla disperazione della vita quotidiana. Ma il corso degli eventi successivi cambierà la vita di ognuno di loro.

Allo scoppio della Rivoluzione del 1905 gli operai della fonderia di proprietà della famiglia Kerner si misero in sciopero chiedendo migliori condizioni di lavoro, l’annullamento delle multe e il pagamento degli straordinari. Fu quella la prima volta in cui Machno si ritrovò catapultato in un contesto politico. Nel frattempo, il 5 marzo 1905 a Guljaj Pole cominciò ad agire un’organizzazione «terrorista» dedita a rapine ed espropri: il Gruppo contadino anarco-comunista, detto anche Unione dei contadini liberi. Come si sarebbe scoperto in seguito, a capo del gruppo c’era Anton Vol’demar, legato agli anarchici di Ekaterinoslav, e i fratelli Semenjuta, Aleksander e Prokopij.

Per una tranquilla cittadina di provincia questo evento era sconvolgente, ma per un giovane affamato di avventure come Nestor rappresentava invece la possibilità concreta di spezzare il circolo vizioso della vita quotidiana. E infatti «scovò» i terroristi prima della polizia e li costrinse ad accettarlo nel gruppo. Il 14 ottobre prese parte alla sua prima rapina. Poco più che ragazzino, Nestor era esaltato da questo suo nuovo ruolo: girava armato e combatteva per la libertà togliendo ai ricchi e dando ai poveri (in verità i proventi delle rapine erano usati dal gruppo per il proprio mantenimento e l’acquisto di armi). L’esigenza di mostrare ai propri compaesani la sua nuova forza era incontenibile, così alla fine del 1906 ricorse alla pistola in una banale lite di strada, per fortuna senza causare vittime. Fu comunque arrestato per il possesso dell’arma, ma subito rilasciato grazie alla giovane età.

Nel corso dell’anno successivo il gruppo compì altre quattro rapine, senza spargimento di sangue. I giovani componenti del gruppo, indossando maschere nere o anche solo coprendosi il volto di fango, intimavano ai benestanti presi di mira di consegnare i soldi a favore degli «affamati», oppure si presentavano semplicemente come anarchici. Il loro bottino quell’anno ammontò a circa 1.000 rubli40.

Il 27 agosto 1907 Machno si ritrovò in uno scontro a fuoco con le guardie. Riconosciuto da un testimone, fu poi arrestato, ma i suoi compagni non lo lasciarono nei guai: dietro loro pressione, il contadino che lo aveva identificato ritrattò la sua testimonianza. Tuttavia la fortuna durò poco: il 15 febbraio 1908 fu nuovamente arrestato dopo una rapina alla fonderia Kerner. Un altro membro del gruppo, A. Tračenko, ammise di essere stato coinvolto nella sparatoria e fece anche il nome Machno. La corte marziale minacciò di condannarlo alla pena capitale, ma gli indizi non erano sufficienti e oltretutto Machno godeva di una buona reputazione in fabbrica (pur partecipando alle imprese del gruppo, non aveva infatti lasciato il suo posto di lavoro), tanto che la stessa direzione della fabbrica gli garantì una cauzione di circa 2.000 rubli. Il 4 luglio Machno uscì di prigione e preferì riparare a Ekaterinoslav41.

Nel frattempo, mentre era in prigione, il gruppo terrorista uccise un poliziotto e un impiegato durante l’assalto a un ufficio postale avvenuto il 19 ottobre 1907. Fu questo il loro primo omicidio. Anton Vol’demar e diversi altri membri del gruppo furono subito arrestati, ma poi rilasciati per mancanza di prove, anche se nel frattempo uno di loro, Zujčenko, aveva raccontato a un compagno di cella, tale Brin, di aver preso parte all’assalto. Non appena Zujčenko fu rilasciato, Brin riferì le sue parole alla polizia. Ricominciarono interrogatori e arresti. Il 10 aprile 1908 andò a segno una nuova rapina, ma da quel momento in poi il gruppo collezionò solo insuccessi: il 13 maggio fallì un attentato alla casa del mercante Šidler, nel corso del quale fu accidentalmente ferita la figlia, e il 9 luglio, durante l’attacco a una distilleria nel villaggio di Novoselosk, fu ucciso un impiegato. Entrambi gli omicidi commessi dalla banda furono dunque incidenti e non atti premeditati di terrorismo.

È interessante notare che già dal 1907 la banda dei «Robin Hood» di Guljaj Pole era strettamente sorvegliata dalla polizia. I tutori dell’ordine non avevano però fretta di fermare il gruppo armato, dandogli modo di impantanarsi sempre più nell’attività criminale per poi creare un caso di più alto profilo. Come annota il ricercatore sovietico G. Novopolin, che ha studiato i materiali del caso: «Il ruolo di Sherlock Holmes ricadde sul funzionario di polizia Karačencev che abitava appunto a Guljaj Pole. Per scoprire chi facesse parte del gruppo, il detective di villaggio ricorse alla solita arma russa: la provocazione. Nel gruppo furono introdotti alcuni agenti di Karačencev che, dopo aver partecipato alle azioni, gli raccontavano nei dettagli il lavoro svolto»42. La polizia identificò così quattordici membri del gruppo, che a sua volta identificò e uccise uno di questi agenti provocatori, Kušnir. Ma Karačencev aveva ormai informazioni sufficienti sul gruppo. Dopo l’uccisione del poliziotto, il 28 luglio arrestò alcuni membri del gruppo – Chšiv, Levadnyj, Zujčenko e Al’tgauzen – e li costrinse a parlare. Quello stesso giorno, il nucleo del gruppo di Guljaj Pole fu circondato dalle forze di polizia, ma gli anarchici reagirono con grande determinazione riuscendo a scappare. Dopodiché il gruppo di fatto si sciolse e gran parte di coloro che ne avevano fatto parte fu successivamente catturata o uccisa.

Il 26 agosto anche Machno venne nuovamente arrestato. Nonostante non fosse stato identificato, il suo nome era stato fatto dai membri arrestati il 28 luglio. Il 1° settembre fu intercettato un messaggio di Machno a Levadnyj in cui gli scriveva di «assumersi la propria responsabilità», frase che Nestor chiarì come la semplice richiesta di non addossargli false accuse. L’impianto accusatorio comunque non resse, anche perché coloro che avevano fatto il suo nome dichiararono di essere stati costretti a farlo a causa delle percosse subite. In seguito a questa ritrattazione Chšiv fu condannato a morte e impiccato il 17 giugno 1909. Per evitare di fare la stessa fine, Zujčenko e Levadnyj riconfermarono a quel punto la loro precedente testimonianza, ma inutilmente perché Levadnyj verrà ucciso poco dopo43. L’ultima impresa del gruppo sarà l’uccisione di Karačencev il 22 novembre 1909.

Il 20 marzo 1910 il gruppo di detenuti anarchici, tra cui Machno, comparve al cospetto della corte marziale, cosa che non faceva ben sperare. Il governo di Stolypin aveva infatti deciso di rispondere alle agitazioni rivoluzionarie con una repressione senza precedenti e con una ferocia che sconvolse gli stessi avversari dei rivoluzionari. «Nessuno aveva mai esercitato una repressione tanto dura come Stolypin, nessuno si era preso tante libertà come lui, nessuno aveva mai disprezzato la legge come lui, nessuno aveva annientato gli oppositori come lui… e nondimeno tutti lo appoggiavano a parole e nei fatti» lamentava lo statista liberale Sergej Vitte. «Comminava pene severissime per un nonnulla: per il furto in una bottega, per il borseggio di 6 rubli, per un semplice malinteso… per dirla in modo ancora più chiaro, era un susseguirsi di omicidi di Stato perpetrati sotto l’etichetta di pena giudiziaria»44. Aveva così inizio in Russia la tristemente famosa «ruota rossa» della violenza. I tribunali militari non erano obbligati ad accertare chi precisamente avesse commesso un omicidio, ma si limitavano a stabilire le responsabilità collettive di un gruppo per poi emettere sentenze di morte altrettanto collettive.

Due giorni dopo, il 22 marzo, Nestor Machno e i suoi compagni furono condannati all’impiccagione «in quanto membri di una banda criminale che aveva compiuto numerose rapine… e tentato altre azioni simili»45. In realtà, Machno non era stato coinvolto in nessun omicidio e, se non fossero state emanate le leggi speciali, avrebbe dovuto essere condannato ai lavori forzati. Ma nel paese era in corso una «operazione anti-terrorismo», situazione in cui, come ben sappiamo, la vita umana vale poco. Nestor era dunque in attesa dell’esecuzione. Era giovane, pieno di energia, e tuttavia lo attendeva la forca. In questa infausta situazione la falsificazione della sua data di nascita giocò un ruolo decisivo: Machno infatti risultava ancora minorenne e i giudici non potevano non tenerne conto, anche perché i suoi crimini non avevano causato la morte di nessuno. Fu così che lo stesso Stolypin commutò la pena di morte nei lavori forzati a vita. È difficile immaginare quanto diversa sarebbe stata la storia della Russia e dell’Ucraina se Nestor Machno fosse stato giustiziato nel 1910.

Il 2 agosto 1911 Machno fu trasferito a Mosca nel carcere di Butyrki. Qui continuò a ribellarsi, scontrandosi costantemente con le autorità carcerarie, e per questo venne spesso messo in cella di punizione. Il risultato fu di contrarre la tubercolosi, malattia che lo avrebbe condotto alla morte nel 1934. Ovviamente, nessun giovane detenuto accetta l’idea di restare seppellito in carcere per il resto della vita. Oltretutto, Nestor credeva nella rivoluzione, era convinto che questa avrebbe ben presto messo fine alla sua detenzione e che lui sarebbe tornato di nuovo a casa. In quei mesi scriveva spesso ai suoi parenti e alla sua fidanzata, Anna Vaseckaja: «Ti ricordi quanto eravamo felici quando abbiamo ricevuto la lettera di Savva in cui ci diceva che era stato catturato in Giappone? La sua lettera significava che era ancora vivo. Certo eravamo amareggiati, angustiati, ma allo stesso tempo felici perché era vivo e sperava di sopravvivere e tornare a casa. È proprio per questo che aspetto da te e da Njusa una lettera che mi dimostri che state bene, che Voi, mamma, mantenete viva la speranza… di rivedermi tra voi, mentre Njusa mantiene viva la speranza di una gioventù felice che assecondi il suo desiderio di rivedermi. Io al solo pensiero provo un’emozione indescrivibile»46. In questo caso i sogni diventeranno realtà: i loro destini torneranno a unirsi nel 1917 e dalla loro unione nascerà un bambino. Ma l’onda implacabile della guerra civile li travolgerà già l’anno successivo, e nel 1919 Machno si creerà una nuova famiglia.

In questi anni di detenzione, l’«università del carcere» influenzerà profondamente il destino di Machno, rafforzando il suo ideale anarchico grazie anche all’incontro con personaggi come Aršinov, che ricorda così il suo «allievo»: «Nonostante la vita in prigione fosse dura e priva di speranze, Machno cercava di sfruttare al massimo la sua detenzione per istruirsi, e in questo mostrò una perseveranza estrema. Studiò grammatica russa, matematica, letteratura, storia ed economia. La prigione, infatti, fu l’unica scuola nella quale Machno apprese i fondamenti della politica, che gli saranno di grande aiuto nella sua futura attività rivoluzionaria. L’azione e le vicende esistenziali furono l’altra scuola dove imparò a comprendere le persone e gli avvenimenti sociali… In carcere non si distingueva dagli altri, viveva come tutti gli altri: aveva le catene, veniva rinchiuso nelle celle di punizione, era sottoposto a controlli. L’unica cosa per cui attirava l’attenzione era l’irrequietezza. Aveva costantemente discussioni, liti, bombardava la prigione con i suoi scritti. Aveva la passione di scrivere di argomenti politici e rivoluzionari. Inoltre, mentre era detenuto, amava scrivere poesie, e in questo campo aveva più successo che nella prosa»47. Alcune poesie di Machno vennero poi diffuse dagli insorti machnovisti nel 1919-1920:

Insorgiamo, fratelli, accorriamo! Sventolando la bandiera nera, con il popolo insorgiamo. Libriamo con coraggio la nostra gioia nella lotta, per la fede nella Comune che costruiremo… L’autorità del potere e del capitale debelleremo e tutto l’oro esistente distruggeremo…4848

Come ci insegna la storia, non è insolito che ardenti rivoluzionari siano usciti dalle prigioni provati nel fisico e nel morale. Per Nestor Machno fu tutto l’opposto.

Note


  1. Central’nyj Deržavnij Archiv Gromadskich ob’edanyj Ukraini (CDAGOU) [Archivio Centrale di Stato per le Associazioni Civili Ucraine]; Gosudarstvennyj Archiv Zaporožskoj Oblasti (GAZO) [Archivio di Stato della Regione di Zaporože]; Rossijskij Gosudarstvennyj Voennyj Arkhiv (RGVA) [Archivio di Stato Militare Russo]; Rossijskij Centr Chranenija i Issledovanija Dokumentov Novyejshyej Istorii (RCCHIDNI); [Centro Russo per la Salvaguardia e la Ricerca di Documenti della Storia Recente]; documenti dell’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis di Amsterdam citati in Skirda A., Les Cosaques de la Liberté. Nestor Makhno, le cosaque de l’anarchie et la guerre civile russe 1917-1921, Millau, 1985.↩︎

  2. Čego dobivajutsja povstancy-machnovcy [Per che cosa combattono gli insorti machnovisti], Guljaj Pole, 1919; Protokol’y II s’ezda frontovikov, povstančeskich, rabočich i krest’janskich Sovetov [Atti del II Congresso dei soldati, degli insorti, degli operai e dei contadini dei Soviet], Guljaj Pole, 1919; i giornali «Put’ k svobode» [Il cammino verso la libertà], «Povstanec» [L’insorto], «Guljaj-pol’skij Nabat» [L’allarme di Guljaj Pole].↩︎

  3. Machno N., Rossijskaja Revoljucija na Ukraine [La rivoluzione russa in Ucraina], Parigi, 1929; Machno N., Pod udarami kontrerrevoljucii [Sotto i colpi della controrivoluzione], Parigi, 1936; Machno N., Ukrainskaja Revoljucija [La rivoluzione ucraina], Parigi, 1937; Machno N., Machnovščina i ego byvšie sojuzniki bol’ševiki [La machnovščina e i suoi ex alleati bolscevichi], Parigi, 1929; CDAGOU, F. 5, Op. 1; Aršinov P., Istorija machnovskogo dviženija [Storia del movimento machnovista], Berlino, 1923; Volin, La Révolution inconnue, Parigi, 1947.↩︎

  4. Antonov-Ovseenko V.A., Zapiski o Graždanskoj vojne [Scritti sulla guerra civile], Mosca-Leningrado, 1932; Kolos G. A., Zametki o podpol’e i vooružennoj bor’be [Appunti sulla lotta clandestina e armata negli anni 1918-1919], Dnepropetrovsk 1927; Kakurin M., Kak zražalas revoljucija [Come è stata combattuta la rivoluzione], Mosca, 1926; Skačko A., II Ukrainskaja krasnaja armja [La II Armata ucraina], in Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty [Memorie, materiali e documenti], Kiev, 1991; Pjataja godovščina Oktjabr’skoi revoljutsii [Il primo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre], Ekaterinoslav, 1922; Oktyabr’skaya revoljutsija, 1-e pjatiletie [La rivoluzione d’Ottobre, i primi 5 anni], Char’kov, 1922.↩︎

  5. CDAGOU, F. 5, Op. 1, D. 330.↩︎

  6. 40 dnej v Guljaj Pole. Vospominanija matuški Galiny-ženy bat’ki Machno [40 giorni a Guljaj Pole. Ricordi di matuška Galina, moglie di bat’ko Machno],Vladimir, Mosca, 1990.↩︎

  7. Éjdeman R.P., Bor’ba s kulackim vosstaniem i banditizmom [Lotta contro la rivolta dei kulaki e il banditismo], Char’kov, 1921, p. 46↩︎

  8. Gerasimenko N.V., Bat’ko Machno. Memuary belogvardejca [Bat’ko Machno. Memorie di una guardia bianca], Mosca, 1990.↩︎

  9. Teper I. (Gordyeev), Machno: ot «yedinogo anarchizma» k stopam rumynskogo korolja [Machno: dall’«anarchismo unico» ai piedi del re romeno], Char’kov, 1924.↩︎

  10. Ad esempio, Jakovlev J., Russkij anarchizm v Velikoj russkoj revoljutsii [L’anarchismo russo nella Grande rivoluzione russa], Mosca, 1921; Lozovskij A., Anarcho-sindikalizm i kommunizm [Anarco-sindacalismo e comunismo], Mosca, 1923; Rudnev V.V., Machnovščina, Char’kov, 1928; Gorev B.I. Anarchizm v Rossii (ot Bakunina do Machno) [L’anarchismo in Russia (da Bakunin a Machno)], Mosca, 1930; Zaležzskij V., Anarhisty v Rossii [Anarchici in Russia], Mosca, 1930; Ravič-Čerkasskij M., Anarchisty [Anarchici], Char’kov, 1930; Jaroslavskij Ye.M., Anarchizm v Rossii [L’anarchismo in Russia], Mosca, 1939.↩︎

  11. Antonov-Ovseenko V.A., op. cit., Skačko A., op. cit., Kakurin M., op. cit.↩︎

  12. Ad esempio, Antonov-Ovseenko V.A., op. cit., Skačko A., op. cit.↩︎

  13. Kubanin M., Machnovščina, Leningrado, 1927.↩︎

  14. Kolesnikov B., Profsojuznoe dviženie i kontrrevoljutsija [Il movimento sindacalista e la controrivoluzione], Char’kov, 1923.↩︎

  15. Rudneev V.V., op. cit.; Ravič-Čerkasskij M., Anarchisty [Anarchici], Char’kov, 1930; Jaroslavskij E.M., op. cit.↩︎

  16. «Voprosy istorii» [Gli interrogativi della storia], n. 9, 1966.↩︎

  17. Komin V.V., Anarchizm v Rossii [L’anarchismo in Russia], Kalinin, 1969; Bilij P.Ch., Razgrom machnovščina [La sconfitta della machnovščina], «Ukrain’skiij ictoričnij žurnal» [Rivista di storia ucraina], n. 5, 1971; Neznamova T.M., KP(b) Ukrainy – organizator trudyaščichsja mass na razgrom machnovščiny (konets 1920-1921 gg.) [Il partito comunista (bolscevico) ucraino – organizzatore delle masse dei lavoratori nella sconfitta della machnovščina (fine 1920-1921)], Kiev, 1971; Kucher O.O., Razgrom zbroijnoi vnutrišn’ oi kontrrevolyutsii na Ukraini v 1921-1923 [La sconfitta della controrivoluzione armata in Ucraina negli anni 1921-1923], Char’kov, 1971; Golinkov D.L. Krushenie antisovet·skogo podpol’ja v SSSR [Il crollo dell’organizzazione clandestina nell’URSS], Mosca, 1986, voll. 1-2 et al.↩︎

  18. Kanev S.N., Oktyabr’skaja revolyutsija i krach anarchizma (Bor’ba partii bol’ševikov protiv anarchizma 1917-1922 gg.) [La Rivoluzione d’Ottobre e il fallimento dell’anarchismo, 1917-1922 (lotta del partito dei bolscevichi contro l’anarchismo)], Mosca, 1974; Kanev S.N., Revoljutsija i anarchizm. Iz istorii bor’by revoljutsionnych demokratov i bol’ševikov protiv anarchizma (1840-1917 gg.) [Rivoluzione e anarchismo. Dalla storia della lotta dei rivoluzionari democratici contro l’anarchismo (1840-1917)], Mosca, 1987.↩︎

  19. Volkovinskij V.N., Machno i ego krah [Machno e il suo fallimento], Mosca, 1991.↩︎

  20. L’esempio più lampante di questo genere di opere è, a nostro avviso, l’opera di Dmitri Volkogonov inclusa nella collana «Leader».↩︎

  21. Aršinov P., Istorija machnovskogo dviženija [Storia del movimento machnovista], Berlino, 1923.↩︎

  22. Vedi ad esempio Shubin A.V., Machnovskoe dviženie [Il movimento machnovista], «Obščina» [Comunità], n. 34, 1989.↩︎

  23. Vedi «Literaturnaja Gazeta» [Rivista letteraria], 8.2.1988; Semanov S., Machno kak on est’ [Machno com’era], Mosca, 1991. Semanov ammette apertamente che non era interessato a leggere le opere anarchiche (p. 45).↩︎

  24. Verstjuk V., Kombrig Nestor Machno [Il comandante di brigata Nestor Machno], Char’kov, 1990; Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty, op. cit.↩︎

  25. Peters V., Nestor Makhno: The Life of the Anarchist, Winnipeg, 1970; Palij M., The Anarchism of Nestor Makhno, 1917-1921: An Aspect of the Ukrainian Revolution, Seattle, 1976; Sysyn E., Nestor Makhno and the Ukrainian Revolution, Cambridge, 1977; Temon Y., Makhno: La Revolte anarchiste, Bruxelles, 1981; Mallet M., Nestor Makhno in Russian Civil War, Oxford, 1982; Skirda A., op. cit.; Gončarok M., Vek Voli. Ruskij anarchizm i evrei (XIX-XX vv) [L’epoca della libertà. L’anarchismo e gli ebrei (XIX-XX secolo)], Gerusalemme, 1996.↩︎

  26. Shubin A.V., Machnovskoe dviženie na Ukraine. 1917-1921 gg [Il movimento machnovista in Ucraina], «Družba narodov» [Gli amici del popolo], 1993, n. 3-4; Shubin A.V., Anarchija – mat’ porjadka. Nestor Machno kak zerkalo rossiijskoj revolyutsii [L’anarchia è la madre dell’ordine. Nestor Machno come specchio della Rivoluzione russa], Mosca, 2005; Nestor Machno i krest’janskoe dviženie na Ukraine. 1918-1921. Dokumenty i materialy [Nestor Machno e il movimento contadino in Ucraina, 1918-1921. Documenti e materiali], Mosca, 2006; Timoščuk A.V., Anarcho-kommunisticeskie formirovanija N. Machno. Sentjabr’ 1917-Avgust 1921 gg [Le unità anarco-comuniste di Nestor Machno; settembre 1917-agosto 1921], Simferopol’, 1996.↩︎

  27. Istorija Ukrainskoij SSR [Storia delle RSS ucraine], T. 6, p. 16.↩︎

  28. Kubanin M., op. cit., p. 19.↩︎

  29. Strižakov y.u.k., Prodotrjady v gody grazhdanskoj vojny i inostrannoi interventsii 1917-1921 gg [I distaccamenti negli anni della guerra civile e dell’invasione straniera, 1917-1921], Mosca, 1973, p. 225.↩︎

  30. Vedi ad esempio Kabytov P.S., Kozlov V.A., Litvak B.G., Russkoe krest’yanstvo. Étapy duchovnogo osvoboždeniya [I contadini russi. Fasi di una liberazione interiore], Mosca, 1988, p. 74.↩︎

  31. Vsja Ekaterinoslavskaya gubernija [Il governatorato di Ekaterinoslav], Ekaterinoslav, 1913, p. 3.↩︎

  32. Kubanin M., op. cit., pp. 18-19.↩︎

  33. Vsja Ekaterinoslavskaya gubernija, op. cit., pp. 9-10.↩︎

  34. Kubanin M., op. cit., p. 11.↩︎

  35. Vsja Ekaterinoslavskaya gubernija, op. cit., p. 42.↩︎

  36. Volkovinskij V.N., op. cit., p. 11.↩︎

  37. Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty, op. cit., p. 31.↩︎

  38. Ibidem, p. 32.↩︎

  39. Belaš V., Machnovščina, «Letopis’ revoljutsii» [Cronaca della rivoluzione], n. 3, 1928, p. 191.↩︎

  40. Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty, op. cit., pp. 132-133.↩︎

  41. Volkovinskij V.N., op. cit., pp. 17-19.↩︎

  42. Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty, op. cit., p. 134.↩︎

  43. Ibidem, p. 135.↩︎

  44. Cit. in Smertnaja kazn’ [Pena di morte: pro e contro], Mosca,1989, p. 65.↩︎

  45. Nestor Ivanovič Machno, Vospominanija, materialy i dokumenty, op. cit., p. 24.↩︎

  46. Ibidem, p. 26.↩︎

  47. Aršinov P., op. cit., pp. 50, 215.↩︎

  48. Bespečnyj T.A., Bukryeeva T.T., Nestor Mahno: Pravda i legendy [Nestor Machno: verità e leggenda]; Leva Zadov, Čelovek iz kontrrazvedki [Un membro del servizio di spionaggio], Donetsk, 1996, p. 19.↩︎