2022-10-25
INDICE DEL LIBRO:
Parigi, 10 novembre 1977. Amedeo, Fausta e Luciano erano arrivati di mattina presto a casa di Mercier in rue de Valenciennes, nel X arrondissement, sulla rive droite. Tutti e tre facevano parte del gruppo redazionale italiano della rivista «Interrogations», la rivista fondata dallo stesso Mercier tre anni prima.
Era aprile quando l’anarchico belga aveva comunicato per la prima volta al gruppo dei giovani redattori della rivista, dopo un incontro a Torino, la sua intenzione programmata di togliersi la vita. A fine anno mi uccido. Lo aveva comunicato perché sapessero di non poter contare su di lui al di là degli impegni compatibili con quella sua scelta. Lo aveva comunicato di sfuggita, senza dare apparentemente peso alla faccenda. L’understatement non era inconsueto in lui, avrebbe ricordato Amedeo, ma quella volta ci aveva lasciati perplessi, tanto che non sapevamo se prenderlo sul serio. Quando tempo dopo, a Milano, Mercier confermava la sua intenzione di farla finita, il gruppo avrebbe iniziato a prenderlo davvero sul serio.
Quella visita, il 10 novembre, voleva quindi essere un ultimo tentativo per cercare di capire e magari dissuaderlo. Quel giorno sarebbero rimasti con lui per un’ultima volta. Quel giorno lo passarono per librerie, ristoranti, e poi a casa a parlare per ore di tutto tranne che di «quello», mentre Mercier chiudeva tutti i suoi conti con la vita, anche quelli minori.
Pronto? Sì? Sei tu Maurice? Ciao Mercier, come stai? Tutto bene? Senti, non preoccuparti per i problemi sollevati dalla mia eventuale partecipazione al congresso, davvero, non potrei comunque partecipare. E lo diceva con tranquilla serietà, forse con nascosta ironia.
Maurice Joyeux era un esponente di spicco della Fédération Anarchiste (FA) francese e il congresso cui si fa riferimento era quello dell’Internazionale delle Federazioni Anarchiche (IFA), rinviato alla primavera dell’anno successivo. Mercier avrebbe dovuto partecipare come delegato della Federación Libertaria Argentina (FLA). La polemica attorno alla sua presenza, sollevata dagli spagnoli in esilio della Federación Anarquista Ibérica (FAI), risaliva alla fine degli anni Cinquanta, quando Mercier era stato sospettato di «revisionismo» anarchico, insieme ad alcuni esponenti di una frazione della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) spagnola e della Sveriges Arbetares Centralorganisation (SAC) svedese. L’attacco era ripreso, ancora più pesante, quasi vent’anni dopo, quando Mercier era tornato «visibile» nel movimento anarchico internazionale con il progetto «Interrogations». Così tra il 1974 e il 1977 si era aperto un vero e proprio «caso».
Amedeo aveva conosciuto Louis Mercier Vega nell’agosto del 1973, anche allora a Parigi. In quell’occasione, a casa di Mercier, c’era anche Rossella. Avevano trovato il suo L’Incrévable anarchisme decisamente originale e ricco, e lui un vero intellettuale anarchico, con una straordinaria cultura cosmopolita e una sorprendente esperienza militante, «senza illusioni e senza rimpianti», come amava dire. Il suo era un anarchismo lucido, antiretorico, affascinante. Avevano compreso immediatamente che si trattava di un felice incontro quello con Mercier e che con lui avrebbero potuto fare buone cose e imparare molto.
Durante l’incontro gli avevano proposto di collaborare ad «A rivista anarchica» e parlato anche di un’altra idea a cui pensavano da tempo: quella di una rivista internazionale anarchica. L’idea mi piace e vi dico subito di sì! Non perdeva tempo Mercier. Da lì a poco sarebbe nata «Interrogations, rivista internazionale di ricerche anarchiche». L’ultima sua avventura intellettuale ed editoriale, ma non l’unica attività.
L’indirizzo di rue de Valenciennes lo avevano avuto da un vecchio muratore anarchico di Cesena che aveva conosciuto Mercier nel 1936, quando si faceva chiamare Charles Ridel. L’esistenza di Louis Mercier Vega era cominciata infatti a Santiago del Cile nel 1940, ma lui era nato a Bruxelles, il 6 maggio 1914, come Charles Cortvrint. Poi erano arrivati gli altri pseudonimi: Courami, Damashki, Santiago Parane, L’Itinérant, Parrain, Danton e qualche altro nome di fantasia. I due si erano conosciuti in Spagna durante la breve estate dell’anarchia. Si erano poi incontrati di nuovo a Marsiglia nel 1939 e da allora non si erano più persi di vista. Quell’anarchico romagnolo si chiamava Pio Turroni.
Non era forse casuale che Mercier avesse scelto come luogo per la sua morte una località dei Pirenei dove nel 1939, con un commando di compagni, aveva fatto fuggire un gruppo di spagnoli internati in un «campo di raccolta». Ma con i giovani compagni milanesi Mercier cercava un confronto sul presente, disposto più a imparare che a insegnare. Lui che forse aveva più da insegnare che da imparare. Sarà lo stesso anche per Pio.
Milano, 21 novembre 1977. Pronto Pio? Chi è? Sono Amedeo, come stai? Come al solito, dimmi. È per Mercier. Ha fatto quello che aveva annunciato… si è suicidato! Ho capito, ciao. Non l’avrebbe mai confessato ma quella notizia lo aveva ferito nel profondo. Lui era fatto così. Passava subito alle cose spicce: «Cesena, 24 novembre 1977. Caro Amedeo, l’incredibile, dolorosa, notizia della morte di Parane [uno dei tanti pseudonimi di Mercier] che mi hai dato tre giorni fa non mi ha lasciato il tempo di intenderci meglio per ricordarlo sulla nostra stampa. Del resto, così alla svelta, senza avere avuto maggiori particolari sulla tragedia, non si poteva subito provvedere al da farsi. Quindi ti scrivo per ricordarti qualche particolare su di lui, che possa servire a te e a chi scriverà per ‘A’ e il bollettino. Io perdo un amico di oltre quarant’anni, fin da quando lo vidi e conobbi a fine agosto del 1936 a Barcellona».
Per tutta la vita Pio aveva fatto il muratore per guadagnarsi da vivere, anche se nel marzo del 1950 risultava iscritto nei Registri della gente di mare del Circondario di Rimini in qualità di pescatore. Quando negli anni Cinquanta, a seguito di una crisi nel settore edile nella sua zona, c’erano da costruire solo chiese, aveva preferito emigrare in Svizzera per qualche anno e lavorare lì, a costruire case. A Cesena, una volta tornato a casa in via Savio, la sera si metteva davanti alla macchina da scrivere e batteva le sue lettere in carta velina, così poteva farne tante copie e far circolare le informazioni. Una corrispondenza che lo teneva in contatto con il mondo, soprattutto con i compagni italo-americani. E non gli si poteva dire che era un «maestro d’anarchia»: mo cuse al in te zarvèll, ma va là, patacca, lascia perdere certe parole, che mi fan venire la maronite. E te lo diceva con quella sua camicia a righe e le maniche della giacca principe di Galles tirate su come se dovesse essere pronto per lavorare, anche quando ormai non lavorava più. Quando smetterà di fare il muratore, pur avendo diritto a usufruire di una pensione di guerra, coerente agli ideali che l’avevano accompagnato per tutta la vita, sdegnosamente la rifiuterà.
Pio Turroni era un uomo semplice, ma con una gran storia. Non era un uomo di lettere anche se di libri, opuscoli, articoli, volantini, per lo più di movimento, ne aveva letti e soprattutto pubblicati. Aveva visto, sentito, pensato, discusso tantissimo, ma soprattutto aveva conosciuto direttamente una quantità enorme di uomini e donne, di episodi, luoghi e situazioni. Pio aveva viaggiato molto e il mondo lo conosceva. Nondimeno Mercier gli aveva sempre ricordato che il militante anarchico doveva imparare a vivere e ad agire in mezzo a una selva di punti di domanda, perché le sperimentazioni e la propaganda esigevano una continua messa a punto.
Anche l’incontro con i «giovani di Milano», negli anni Sessanta, per Pio sarebbe stato un momento speciale. Trasmetterà loro tutto l’ethos e il pathos del suo anarchismo, mentre Mercier aggiungerà il logos e la praxis dell’identità anarchica. Turroni sapeva che quei giovani erano diversi da lui, ma ciononostante li sentiva affini nella passione anarchica, quanto meno più affini di altri possibili «eredi».