Contro il totalitarismo: perché leggere il pensiero di Luce Fabbri

Prefazione a ‘Critica dei totalitarismi’

Lorenzo Pezzica

2023-03-28

INDICE DEL LIBRO:

Nota introduttiva di Goffredo Fofi // PREFAZIONE Contro il totalitarismo: perché leggere il pensiero di Luce Fabbri di Lorenzo Pezzica // CAPITOLO PRIMO Bisogna dirlo // CAPITOLO SECONDO Il totalitarismo tra le due guerre // CAPITOLO TERZO L’anti-comunismo, l’anti-militarismo e la pace // CAPITOLO QUARTO Sotto la minaccia totalitaria democrazia, liberalismo, socialismo, anarchismo

Ci sono almeno tre motivi per leggere questa breve antologia dedicata all’analisi e riflessione di Luce Fabbri sul potere totalitario. Il primo motivo è che «nasce» anarchica, favorita dallo speciale ambiente familiare in cui cresce, e dunque diventa una testimone particolarmente sensibile e consapevole degli eventi e delle tragedie che attraversano tutto il XX secolo. L’intero suo percorso esistenziale, intellettuale e politico si iscrive all’interno dell’ideale anarchico, cosa che non le impedisce comunque di saldare il suo pensiero a un forte principio di realtà e al contesto sociale e politico di appartenenza. Il secondo motivo è che questo suo essere anarchica «da sempre» è ciò che la rende un personaggio estremamente significativo per la pregnanza con cui ha vissuto e concretizzato la sua weltanschauung libertaria. L’anarchismo le ha fornito uno schema di lettura della realtà. Con un simile orientamento critico ha affrontato le questioni politico-sociali più scottanti a lei contemporanee senza cedere alle seduzioni della semplificazione. Il terzo motivo è che l’anarchismo le appare la migliore garanzia contro l’affermazione del totalitarismo, anzi le appare come l’unico movimento capace di rivendicare pienamente l’importanza dell’autonomia dell’individuo nei confronti dei grandi apparati e quindi di porre in primo piano il valore morale della libertà.

Luce Fabbri, nata nel 1908 a Bologna e scomparsa nel 2000 a Montevideo, è oggi considerata una tra le figure intellettuali più significative dell’anarchismo italiano e internazionale del Novecento1. Nonostante ciò, il suo pensiero, benché accolto su numerose riviste del movimento, per lungo tempo non è stato compreso e dibattuto quanto avrebbe meritato, anche se, per esempio, Pier Carlo Masini, seppur critico nei confronti di alcuni aspetti del suo pensiero2, ne aveva già riconosciuto l’originalità e la profondità tanto da ricordare, molti anni più tardi, la «boccata d’ossigeno» che avevano provocato le sue idee «per il modo problematico con cui erano proposte»3. Masini però resta uno dei pochi, e le idee della Fabbri passano sostanzialmente inosservate nel movimento anarchico italiano, tanto che chi riprende e sviluppa il tema della «tecnoburocrazia» negli anni Sessanta, riscoprendo pensatori anarchici come Louis Mercier Vega o autori come Bruno Rizzi, non si accorge delle lungimiranti pagine scritte dalla Fabbri sullo stesso tema. E poco dibattuta resterà anche la sua riflessione sul totalitarismo4, svolta tra gli anni Trenta e Sessanta, che comunque le permetterà di ripensare al contempo l’essenza stessa dell’anarchismo5.

Nei suoi scritti, infatti, Fabbri elabora una nozione dell’agire libertario visto come espressione diretta della volontà umana. Per descrivere la sua riflessione si può utilizzare il giudizio che il sociologo Alessandro Dal Lago ha espresso a proposito del pensiero di Hannah Arendt: «Una teoria libertaria dell’azione nell’epoca del conformismo sociale»6.

Ancorata alla radice socialista dell’anarchismo di Errico Malatesta e del padre Luigi7, ma al contempo spinta a svilupparlo, arricchirlo e per alcuni aspetti superarlo, Fabbri affronta nel corso della sua esistenza alcuni dei nodi centrali delle vicende storiche che segnano la sua epoca. Ma parallelamente a questa cultura politica sviluppa anche una solida cultura storica e letteraria che le darà una grande apertura mentale verso i problemi del presente e del futuro, permettendole tra l’altro di accedere, nel 1949, all’insegnamento universitario a Montevideo.

Negli anni della Guerra Fredda e del mondo diviso in due blocchi, Luce Fabbri vuole trovare «il luogo attuale dell’anarchismo», ripensandone l’essenza, e ritiene di trovarlo nella naturale confluenza di due linee evolutive: il liberalismo e il socialismo.

Pur saldamente legata alla tradizione socialista dell’anarchismo, Fabbri intende infatti recuperare al pensiero anarchico ciò che chiama «una parentela più remota»: il liberalismo, inteso nel suo valore profondamente etico di difesa dell’uomo e di lotta per la libertà. Il liberalismo così inteso potrà dirsi compiuto, secondo lei, quando avrà eliminato i presupposti del dominio economico: la libera impresa e la proprietà privata. A quel punto, la tradizione liberale, toccando così il suo momento più alto, non potrà che confluire nel socialismo.

Nel proporre queste sue idee, Luce Fabbri non manca di richiamarsi tanto al liberalismo radicale di Piero Gobetti quanto al socialismo liberale di Carlo Rosselli. Ma è soprattutto al pensiero di Camillo Berneri che si richiama più direttamente8.

Un elemento centrale che caratterizza la sua esistenza e il suo pensiero è inoltre rappresentato dalla condizione dell’esilio, da lei vissuto con grande sofferenza, anche se non nella stessa misura di suo padre, come lei stessa ricorderà, molti anni più tardi, nella biografia a lui dedicata9. Nel 1932 pubblica infatti a Montevideo I canti dell’attesa, una raccolta di poesie da cui traspare non solo la nostalgia per il paese natale, ma anche lo sdegno per il fascismo e le sue imprese10.

La sua esistenza si svolge di fatto tra l’Italia, che lascia insieme alla famiglia a vent’anni a causa del fascismo, e l’Uruguay, il suo secondo paese. Dal 1929, anno di arrivo a Montevideo, questa condizione «binaria» diventa centrale nel suo modo di vivere e pensare. Nondimeno, il movimento anarchico italiano resta un punto di riferimento fondamentale per la sua azione di militante e intellettuale anarchica. Già a partire dagli anni Trenta, pur se tra moltissime difficoltà, cercherà di mantenere i contatti con il movimento anarchico italiano, per poi, con la fine del conflitto mondiale, riprenderli in modo più continuativo. E tuttavia nel dopoguerra Luce decide di non tornare nel suo paese natale, a differenza di altri esuli anti-fascisti. In Italia tornerà solo tre volte: nel 1954, nel 1981 e nel 1993.

Fin dal 1944 segue però con entusiasmo i tentativi di riorganizzazione del movimento nella parte liberata dell’Italia attuati da vari militanti, e in particolare da Pio Turroni, Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria; tentativi che si concretizzano nel settembre del 1945 con il primo Congresso nazionale di Carrara che dà vita alla Federazione Anarchica Italiana11 e alla fondazione della rivista «Volontà»12.

Luce Fabbri è in particolare entusiasta del nuovo progetto editoriale, al quale subito aderisce. Quanto reputi importante la nascita di «Volontà» emerge chiaramente dalle lettere che scrive a Giovanna Berneri nel 1945. In una lettera del dicembre di quello stesso anno, Luce afferma: «Se ‘Volontà’ si trasforma in una rivista con sufficiente diffusione all’estero, penserei seriamente a sopprimere ‘Studi Sociali’»13.

In effetti, la sua collaborazione con la nuova rivista italiana rappresenta uno dei momenti più importanti del suo percorso esistenziale e della sua riflessione teorica. Gli articoli che pubblica sulla rivista tra il 1946 e il 1960, oltre ad affrontare argomenti legati all’attualità politico-sociale italiana e uruguayana, nonché ai temi della pedagogia libertaria, sono infatti incentrati sul fenomeno del totalitarismo14. Una riflessione che, iniziata fin dagli anni Trenta, giunge nel periodo della sua collaborazione alla rivista a una sua completa formulazione15, che le permetterà di affrontare nei decenni successivi della sua vita l’analisi della realtà storica, sociale e politica dello Stato contemporaneo, sempre attenta a ogni evento o processo che possa costituire un segnale della tendenza totalitaria in atto. E di fatto il suo originale contributo al tema del totalitarismo la inserisce a pieno titolo all’interno di quel dibattito che ha profondamente segnato la cultura del XX secolo16.

Nella sua ricerca intellettuale, Luce Fabbri attinge alle più diverse e stimolanti correnti del pensiero «critico», dimostrando così la sua particolare apertura mentale e culturale. Al fianco del padre, Luce aveva acquisito una buona conoscenza delle problematiche scaturite dal dibattito sulla rivoluzione russa e l’avvento del regime fascista in Italia. Fa dunque proprio e rielabora il pensiero dei classici dell’anarchismo, ma si dimostra sensibile anche alle suggestioni emerse dal «laboratorio parigino» degli anni Trenta17, indipendentemente dall’estrazione politico-culturale di quei pensatori. Tra le sue letture di quegli anni vi è per esempio Emmanuel Mounier, filosofo cattolico del personalismo, ma attinge anche ad altre fonti come le opere di George Orwell, Ernst Cassirer18, James Burnham19 e Milovan Đilas20. Molte delle sue intuizioni sul fenomeno del totalitarismo sono vicine a quelle espresse da Simone Weil21 o anticipano per alcuni aspetti quelle di Hannah Arendt22, mentre le sue osservazioni sulla tecnoburocrazia si possono ritrovare in quelle formulate da Bruno Rizzi23.

Parlare di totalitarismo nell’Italia di quegli anni, comparando fascismo, nazismo e comunismo, significa «esporsi al bando della società intellettuale e, nella sinistra, all’isolamento sanitario»24. Ma Luce Fabbri, come ricorda Masini, «queste cose le disse fin da allora» e «questa discussione dell’immediato dopoguerra fu uno dei primi dialoghi di massimo livello fra l’anarchismo e il pensiero contemporaneo»25.

La sua riflessione appartiene infatti a quella che lo storico Enzo Traverso chiama la «caratteristica paradossale»26 all’interno del dibattito sul totalitarismo, cioè il ruolo del tutto marginale svolto nell’articolazione del dibattito dall’Italia, paese in cui la parola totalitarismo aveva trovato la propria origine27. Nell’Italia postbellica, ormai caduto il fascismo, il tema del totalitarismo resta infatti fuori dalla porta, anche se il termine «totalitarismo» circola comunemente, ma in un’accezione «autarchica»28.

Per avere un’idea del ritardo con il quale questo dibattito è giunto in Italia, basti pensare che il celebre libro di Arendt, Le origini del totalitarismo, viene tradotto in Italia solo nel 1967, sedici anni dopo l’edizione originale29, e lo stesso avviene per il saggio di Jacob Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, tradotto anch’esso nel 196730, mentre l’opera di Carl Joachim Friedrich e Zbigniew Brzezinski Totalitarian Dictatorship and Autocracy, del 1956, non è mai stata tradotta in italiano31. Non solo, ma occorre aspettare il 1997 per l’organizzazione, a livello universitario, del primo convegno italiano dedicato al tema del totalitarismo.

Ai dogmatismi e alle certezze manichee di quegli anni Luce Fabbri risponde con un’indagine critica e analitica, insoddisfatta della vulgata corrente e animata da una costante problematicità e da una prospettiva culturale aperta. A suo avviso, il fenomeno totalitario ha le proprie origini storiche nel contesto creato dalla Grande Guerra. Le esigenze connesse alla guerra del 1914 avevano infatti portato a una profonda trasformazione della struttura sociale dei paesi capitalisti. La necessità di rendere omogenei gli sforzi volti a pianificare l’economia in funzione della guerra aveva comportato una notevole espansione delle prerogative dello Stato e una conseguente espansione degli apparati burocratici. Un processo che sostanzialmente ricalcava le dinamiche di accentramento del potere che caratterizzavano i paesi totalitari.

Comparando nazismo e stalinismo, Luce Fabbri riassume in questi termini il «sistema totalitario»:

Esso è l’unificazione dell’oppressione politica e dello sfruttamento economico delle grandi masse umane asservite nelle mani di uno Stato assoluto e fortemente centralizzato, operante attraverso una casta di funzionari economicamente privilegiati e politicamente partecipi – secondo la loro scala gerarchica – delle funzioni cosiddette di direzione, cioè in verità del potere. Tale casta comprende tutta la burocrazia governativa nei suoi diversi settori, compresi i tecnici e gli organizzatori della produzione e della distribuzione, la polizia, l’esercito e con il tempo, senza dubbio, il clero»32.

È il fenomeno tecnoburocratico. Luce Fabbri e Louis Mercier Vega33 sono stati i primi a introdurre nel movimento anarchico di lingua italiana il concetto di tecnoburocrazia e fin dal 1933, quando, a partire dallo studio comparato dello Stato fascista e di quello sovietico, Fabbri individua già l’ascesa della classe tecnoburocratica come uno dei tratti unificanti delle società contemporanee34. Come scrive in quell’anno, il totalitarismo del XX secolo gestisce il passaggio in campo economico dal capitalismo al collettivismo burocratico, come avrebbe detto e scritto nel 1939 Bruno Rizzi35 e poi nel 1941, in altri termini, James Burnham36.

Dopo aver inquadrato il processo tecnoburocratico all’interno del fenomeno totalitario, Luce Fabbri pone però in secondo piano gli aspetti economici del processo totalitario, considerati una delle manifestazioni del rapporto fondamentale tra gli individui e i gruppi sociali, che è essenzialmente un rapporto politico, un rapporto di potere.

È quindi sull’aspetto più genuinamente «politico» e «ideologico» del totalitarismo che Luce decide di concentrare la sua analisi. Per lei, fascismo, nazismo e stalinismo puntano, oltre che a un’espansione ipertrofica della sfera pubblica in economia, al potenziamento esponenziale della violenza dello Stato attraverso la guerra, interna ed esterna, all’irreggimentazione sistematica delle coscienze e all’imbarbarimento dei rapporti sociali, che porta all’annichilimento dell’individuo in nome di ingannevoli e falsi ideali collettivi. In particolare sono tre gli elementi che definiscono il regime totalitario: la neolingua, la visione ufficiale della storia, la militarizzazione delle intelligenze.

Il primo elemento mantiene il potere attraverso la trasformazione profonda e unilaterale del vocabolario, sfigurando e a volte invertendo, senza dichiararlo, i termini dei vecchi e dei nuovi problemi. E a tal proposito Fabbri parla della «semantica artificiale del nazionalsocialismo tedesco» diretta a creare quella neolingua che minaccia «il nostro futuro» e che impedisce ogni pensiero eretico37. Lo Stato totalitario, in altri termini, una volta conquistato il potere lo consolida a «colpi di linguaggio»38 trasformandosi in una vera e propria «logocrazia di massa»39.

Per quanto concerne il secondo elemento, Fabbri evidenzia come i regimi totalitari impongano al loro interno una visione ufficiale della storia contemporanea «e, in casi estremi, anche della passata»40. Il totalitarismo utilizza il suo potere per manipolare le informazioni e distruggere la memoria storica. La realtà viene dunque vagliata, selezionata, costruita, prodotta: un tratto questo che a suo avviso accomuna il nazismo e lo stalinismo.

Infine, il terzo elemento, ovvero la militarizzazione delle intelligenze individuali (e la loro successiva fusione in una massa omogenea), appare a Fabbri come una modalità negativa che costringe le persone a un lavoro di investigazione solitario, privo del beneficio dell’interscambio spirituale e della discussione. Da una parte, quindi, il potere onnipervasivo dell’ideologia totalitaria rende «omogenea» la massa degli individui e, dall’altra, «isola» il pensiero dal rapporto fecondo tra idea e realtà. Nel formulare queste sue idee Luce Fabbri fa esplicito riferimento a Orwell, ponendo direttamente al centro delle sue argomentazioni le tesi di 198441. Dalla lettura di questa opera ricava infatti importanti suggestioni a conferma del suo pensiero, quali per esempio la relazione tra linguaggio e capacità critica, la relazione tra potere e strumenti di comunicazione e la relazione tra potere e storia. E tuttavia non si limita, nella sua riflessione, ad analizzare il fenomeno totalitario nel solo significato di nuovo regime, bensì si apre verso una prospettiva ermeneutica che cerca di leggere in ciò che accomuna fascismo, nazismo e stalinismo qualcosa che non riguarda solo l’intensità e la struttura dell’oppressione politica ma anche la sua essenza.

Interrogando le responsabilità del passato, Fabbri fa inoltre emergere la continuità tra totalitarismo e tradizione occidentale, tra logica del potere tout court e logica totalitaria. Rispetto ad Arendt è interessante sottolineare il diverso accento posto sulla continuità o discontinuità del totalitarismo, che non a caso avvicina il giudizio di Luce Fabbri a quello di Simone Weil. Se è possibile individuare elementi comuni nella riflessione sul totalitarismo di Fabbri e Arendt, le due pensatrici si differenziano però nel giudizio sull’originalità e l’unicità del fenomeno. Per Arendt il totalitarismo è sì implicato nella mentalità politica e filosofica moderna, ma non è assolutamente necessitato né iscritto come destino nei suoi geni. Per Fabbri invece il fenomeno totalitario è un esito estremo di quella logica del potere che ha segnato la nostra storia. Insomma, dove per Arendt si tratta di novità, per Fabbri si deve parlare dell’ennesima ripetizione, portata alla sua estrema efferatezza, di una violenza che da sempre abita il potere.

Riconoscere l’onnipotenza del potere totalitario non significa dichiarare impossibile l’azione, soprattutto quando si è anarchici. Scrive Luce Fabbri: «Bisogna sottrarsi all’ossessione dell’inevitabilità della riduzione dell’uomo a robot scientificamente determinato e della società a immensa macchina in cui ognuno di noi sarebbe un ingranaggio minimo, sempre più sprovvisto di volontà»42. Contro le strutture di comando e le pratiche violente del potere è possibile gettare in aria le carte, con il coraggio e la forza di una volontà ritrovata, «una ‘tensione’ adeguata»43. Per lei, quindi, l’anarchismo è l’unica vera antitesi al totalitarismo.

In questo senso la rivoluzione spagnola del 1936 è per Luce Fabbri una preziosa lezione di lotta contro il totalitarismo che dimostra, nella concreta realtà storica, la possibilità dell’alternativa anarchica, la possibilità di una società libera, sperimentale, federativa, capace di rivalorizzare – in seno a un’economia socializzata – la più ampia autonomia degli individui e degli organismi locali.

La macchina del potere sempre più sofisticata e oppressiva che rafforza le gerarchie e i poteri burocratici, anche se vissuta come una ferita dolorosa che «stringe il cuore di angoscia»44, non deve quindi mai tradursi in senso di impotenza. Da un lato lo impedisce la prospettiva anarchica (per lei quella del socialismo anarchico malatestiano), dall’altro l’impegno ad agire in favore della liberazione e dell’emancipazione di donne e uomini. Come scriverà più tardi, «questa è la strada, o non c’è nessuna strada»45.

Note alla Prefazione


  1. Sulla figura di Luce Fabbri vedi almeno Margareth Rago, Tra la storia e la libertà. Luce Fabbri e l’anarchismo contemporaneo, Zero in condotta, Milano, 2008; Gianpiero Landi (a cura di), Luce Fabbri: l’anarchismo oltre la democrazia, Centro Studi Francesco Saverio Merlino, Castel Bolognese, 2020; Margareth Rago, «Luce Fabbri», in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, BFS, Pisa, 2003, pp. 555-556; Margareth Rago, La libertà secondo Luce Fabbri, «A rivista anarchica», a. 30, n. 267, pp. 34-37; Pietro Adamo, Luce Fabbri, storia di una donna libera, «Libertaria», a. 3, n. 1, pp. 68-72; AA.VV., Una grande lezione di pensiero e volontà, «A rivista anarchica», a. 30, n. 266, p. 28; Emanuela Minuto, «La famiglia Fabbri e gli anni dell’esilio (1927-1935)», in Eloisa Betti, Carlo De Maria (a cura di), Biografie, percorsi e networks nell’Età contemporanea, BraDypUS, Roma, 2018, pp. 95-103; Lorenzo Pezzica, «Luce Fabbri», in Anarchiche. Donne ribelli del Novecento, ShaKe, Milano, 2013, pp. 159-171.↩︎

  2. Luce Fabbri, Obiezioni a una recensione, «Volontà», a. VI, n. 9, 1952, pp. 524-527.↩︎

  3. Pier Carlo Masini, «Introduzione» a Luce Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, BFS, Pisa, 1996, p. 9.↩︎

  4. Sulla riflessione di Luce Fabbri sul tema del totalitarismo vedi Lorenzo Pezzica, «La collaborazione di Luce Fabbri alla rivista ‘Volontà’ (1946-1960)», in Maurizio Antonioli, Roberto Giulianelli (a cura di), Da Fabriano a Montevideo. Luigi Fabbri: vita e idee di un intellettuale anarchico e antifascista, BFS, Pisa, 2006, pp. 223-234.↩︎

  5. Ripensare l’essenza dell’anarchismo, che è la difesa della libertà, non significa comunque per Fabbri rinunciare ai principi propri del socialismo: «Io sento il mio socialismo come una derivazione della mia avversione al potere e non solo come un’esigenza di giustizia e uguaglianza ‘conciliabili’ con tale avversione» (Luce Fabbri, Socializzazione e libertà, «A rivista anarchica», a. 29, n. 255, 1999, pp. 34-35).↩︎

  6. Alessandro Dal Lago, La città perduta, «Introduzione» a Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 2004, p. X.↩︎

  7. Luigi Fabbri (1877-1935) è considerato uno dei pensatori più originali dell’anarchismo italiano. Nel 1903 fonda con Pietro Gori la rivista «Il Pensiero» alla quale collaborano i nomi di maggior rilievo dell’anarchismo internazionale. Nel 1921 pubblica Dittatura e rivoluzione, prima opera critica sul bolscevismo, e nel 1922 La controrivoluzione preventiva, una delle analisi più complete sulla nascita del fascismo. Duramente perseguitato dal regime fascista, espatria clandestinamente in Francia nel 1926 e si sposta poi, nel 1929, in Uruguay, dove muore esule a Montevideo nel 1935. Luigi Fabbri, Dittatura e rivoluzione, L’Antistato, Cesena, 1971; Id., La controrivoluzione preventiva: riflessioni sul fascismo, Vallera, Pistoia, 1975. Sulla figura di Luigi Fabbri vedi almeno: Ugo Fedeli, Luigi Fabbri, Gruppo Editoriale Anarchico, Torino, 1948; Nora Lipparoni, Le origini del fascismo nel pensiero di Luigi Fabbri, EPC, Fabriano, 1979; Gaetano Manfredonia, La lutte humaine. Luigi Fabbri, le mouvement anarchiste italien et la lutte contre le fascisme, Editions du Monde libertaire, Paris, 1994; Maurizio Antonioli, Gli anarchici italiani e la Prima Guerra mondiale. Lettere di Luigi Fabbri e di Cesare Agostinelli a Nella Giacomelli (1914-1915), «Rivista storica dell’anarchismo», a. 1, n. 1, 1994; Lorenzo Pezzica, Luigi Fabbri e l’analisi del fascismo, «Rivista storica dell’anarchismo», a. 2, n. 2, 1995; Luce Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, BFS, Pisa, 1996; Maurizio Antonioli, Gli anarchici italiani e la Prima guerra mondiale. Il Diario di Luigi Fabbri (maggio-settembre 1915), «Rivista storica dell’anarchismo», a. 4, n. 1, 1999; Antonioli, Giulianelli (a cura di), Da Fabriano a Montevideo, cit.; Santi Fedele, Luigi Fabbri. Un libertario tra bolscevismo e fascismo, BFS, Pisa, 2006.↩︎

  8. Cfr. Luce Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, democrazia, liberalismo, socialismo, anarchismo, RL, Napoli, 1955, vedi infra pp. 151-206.↩︎

  9. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, cit.↩︎

  10. Luce Fabbri, I canti dell’attesa, Bertani, Montevideo, 1932.↩︎

  11. Cfr. Ugo Fedeli, Congressi e convegni, Edizioni Libreria della FAI, Genova, 1963, pp. 43-68. In verità è proprio dal secondo dopoguerra che l’anarchismo, e in particolare quello italiano, attraversa una crisi profonda che lo porterà per molti anni all’isolamento e a un sostanziale immobilismo politico. Immobilismo certamente dovuto, oltre che al riproporsi dei tradizionali dissidi interni tra organizzatori e anti-organizzatori, alla nuova realtà politico-sociale dominata dalla Guerra Fredda, in cui si assiste a un generale irrigidimento politico nei due schieramenti contrapposti, cioè quello della Democrazia cristiana e quello del Partito comunista, che porta i movimenti non disposti ad accettare la logica dei blocchi, come quello anarchico, a una progressiva riduzione dello spazio vitale, fino alla totale perdita di influenza. Cfr. Giampietro Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, Manfredonia-Bari, 1998, pp. 47-48; Adriana Dadà, L’anarchismo in Italia: fra movimento e partito, Teti, Milano, 1984; Armando Borghi, Conferma anarchica, L’Aurora, Forlì, 1949.↩︎

  12. Cfr. Giovanna Berneri, Cesare Zaccaria, Programma di lavoro, supplemento a «Volontà», II, n. 3, 1946. «Volontà» è titolo malatestiano: era infatti il titolo dato da Errico Malatesta al suo giornale pubblicato ad Ancona tra il 1911 e il 1914, ma anche il titolo del giornale pubblicato da Luigi Fabbri tra il 1919 e il 1920; nel 1924 infine Malatesta, con Fabbri, dava vita alla testata «Pensiero e Volontà», che uscirà fino al 1926. In effetti, la rivista nata nel 1946 era stata preceduta da tre brevi esperienze giornalistiche: «La Rivoluzione libertaria», «Risveglio libertario» e «Volontà» (in formato giornale). Oltre a Malatesta, la rivista si richiamava fortemente anche al pensiero di Luigi Fabbri e a quello di Camillo Berneri. Molti erano i collaboratori italiani e stranieri, tra cui Armando Borghi, Ugo Fedeli, Lamberto Borghi, Pier Carlo Masini, Louis Mercier Vega, Gaston Leval, Carlo Doglio, Albert Camus, George Woodcock. A partire dal 1946 «Volontà» uscirà quasi ininterrottamente fino al 1996. Sulla storia della rivista, Indice generale compreso, cfr. Cinquant’anni di Volontà. Mezzo secolo di pensiero libertario, contributi di Nico Berti, Francesco Codello, Pier Carlo Masini, Lorenzo Pezzica, Massimo A. Rossi, Milano, 1996 (https://centrostudilibertari.it/it/cinquantanni-di-volontà).↩︎

  13. La lettera è pubblicata in «Volontà», n. 9, luglio 1955. L’ultimo numero di «Studi Sociali» esce infatti nel maggio del 1946, due mesi prima dell’uscita del primo numero di «Volontà».↩︎

  14. Un’esauriente bibliografia degli scritti di Luce Fabbri è stata pubblicata in Margareth Rago, Per una bibliografia di Luce Fabbri, «Rivista storica dell’anarchismo», a. 7, n. 2, pp. 221-232. La bibliografia è preceduta dal saggio della stessa Rago, Luce Fabbri: una lezione di vita, pp. 5-20.↩︎

  15. Luce Fabbri pubblicherà, a partire dal 1947 e fino al 1957, una serie di opuscoli a compendio della riflessione che aveva sviluppato già negli anni Trenta. Per la distribuzione degli opuscoli in Italia si appoggiava alla redazione di «Volontà» e la stretta collaborazione con la rivista sarà suggellata con la pubblicazione nel 1955, per le edizioni RL, nate al fine di integrare e approfondire le tematiche affrontate da «Volontà», del suo opuscolo più significativo: Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra pp. 151-206. Vedi anche Luce Fabbri, La libertà nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo, 1947; Id., L’anti-comunismo, l’anti-imperialismo e la pace, Edizioni Studi Sociali, Montevideo, 1949, vedi infra pp. 81-150; Id., La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo, 1952; Id., L’anarchismo. Principi di sempre, problemi d’oggi, RL, Genova-Nervi, 1959.↩︎

  16. Sull’argomento vedi Enzo Traverso, Il totalitarismo: storia di un dibattito, Bruno Mondadori, Milano, 2002; Simona Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari, 2003. Una storia che malauguratamente non include Luce Fabbri.↩︎

  17. Forti, Il totalitarismo, cit., pp. 15-27.↩︎

  18. Ernst Cassirer, Il mito dello Stato, Longanesi, Milano, 1950.↩︎

  19. James Burnham, La rivoluzione dei tecnici, Mondadori, Milano, 1946; nuova edizione italiana: La rivoluzione manageriale, Introduzione di Alfredo Salsano, Bollati Boringhieri, Torino, 1992; Id., I difensori della libertà, Mondadori, Milano, 1947.↩︎

  20. Milovan Đilas, La nuova classe, il Mulino, Bologna, 1957.↩︎

  21. Simone Weil, Incontri libertari, elèuthera, Milano, 2021.↩︎

  22. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano, 1996. Sulla vita e il pensiero di Arendt, cfr. Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 1990; Julia Kristeva, Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma, 2005.↩︎

  23. Bruno Rizzi, La Bureaucratisation du Monde, Les Presses Modernes, Paris, 1939 [trad. it. La burocratizzazione del mondo, Colibrì, Paderno Dugnano, 2002]; Bruno Rizzi, Il collettivismo burocratico, Galeati, Imola, 1967.↩︎

  24. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, cit., p. 9.↩︎

  25. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, cit., p. 9.↩︎

  26. Traverso, Il totalitarismo, cit., p. XII.↩︎

  27. Dopo avere forgiato il concetto negli anni Venti, la cultura italiana si astenne dal discuterlo nel dopoguerra, fino a un’epoca recente. Percepito prima come un vocabolo irrimediabilmente contaminato dal fascismo, poi come una parola d’ordine anti-comunista durante la Guerra Fredda, il termine sarà a lungo messo al bando e coltivato da pochi spiriti anti-conformisti.↩︎

  28. In quegli anni per esempio Lelio Basso dava alle stampe Due totalitarismi, che erano però – come chiariva il sottotitolo – il fascismo e la Democrazia cristiana. Cfr. Lelio Basso, Due totalitarismi: fascismo e Democrazia cristiana, Garzanti, Milano, 1951.↩︎

  29. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. L’opera venne scritta negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Il manoscritto originale venne terminato nell’autunno del 1949 e la prima edizione apparve nel 1951.↩︎

  30. Jacob Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, il Mulino, Bologna, 1967.↩︎

  31. Carl Joachim Friedrich, Zbigniew Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, Praeger, New York, 1956.↩︎

  32. Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra pp. 191-192.↩︎

  33. Il primo articolo pubblicato da Louis Mercier Vega sull’argomento risale al 1941: Charles Ridel [pseud.], Al di là del capitalismo, «L’Adunata dei refrattari», a. XX, nn. 23-26 [New York].↩︎

  34. Luce Fabbri, Camisas negras, estudio crítico histórico del origen y evolucion del fascismo, sus hechos y sus ideas, Nervio, Buenos Aires, 1934. Articoli sul tema della tecnoburocrazia sarebbero apparsi nel 1937 su «Studi Sociali», alcuni dei quali ripubblicati nel 1957 su «Volontà». Lucia Ferrari [pseud.], Bisogna dirlo, «Studi Sociali», II serie, n. 6, 20 settembre 1937; Luce Fabbri, Bisogna dirlo, «Volontà», n. IX, 1957, vedi infra pp. 29-42.↩︎

  35. Rizzi, Il collettivismo burocratico, cit.; Id., La burocratizzazione del mondo, cit. Rizzi scriverà due soli articoli per «Volontà» nel 1948. La sua collaborazione più importante con la pubblicistica anarchica, tra il 1946 e il 1950, sarà con «Il Libertario», testata della Federazione Anarchica Lombarda. Nonostante ciò, l’ambiente anarchico italiano sarebbe rimasto all’epoca piuttosto impermeabile alle sollecitazioni avanzate da Rizzi: l’atteggiamento predominante rimaneva quello di un freddo distacco per tutto ciò che anche vagamente si definiva marxista. Diverso sarà invece il rapporto con i giovani anarchici milanesi che dall’inizio degli anni Sessanta cominciano a interessarsi del fenomeno tecnoburocratico, dapprima sulla testata «Materialismo e Libertà» (di cui escono solo tre numeri nel 1963) e poi, più ampiamente, sulla testata «A rivista anarchica», fondata dal medesimo gruppo nel 1971, e sulla rivista internazionale «Interrogations», nata nel 1974 a Parigi su iniziativa di Louis Mercier Vega. Il culmine della ricerca sarà raggiunto nel 1978 con l’organizzazione a Venezia del Convegno internazionale di studi su I Nuovi Padroni, cui seguirà la pubblicazione dei relativi Atti (https://centrostudilibertari.it/it/i-nuovi-padroni).↩︎

  36. Burnham, La rivoluzione dei tecnici, cit. «Volontà» dedicherà molto spazio alla critica delle tesi esposte da Burnham, nell’intento non solo di precisare la propria posizione rispetto all’ineluttabilità del processo di burocratizzazione in atto, ma anche per marcare la distanza da alcuni punti delle tesi sostenute dallo studioso americano.↩︎

  37. Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra p. 194.↩︎

  38. Czesław Miłosz, La mente prigioniera, Adelphi, Milano, 1981.↩︎

  39. Nel 1954 «Volontà» pubblicherà la recensione del libro di Dwight Macdonald La mente prigioniera, sicuramente letto da Luce Fabbri. Vedi Dwight Macdonald, La mente prigioniera, «Volontà», a. VIII, n. 1, maggio 1954, pp. 22-28.↩︎

  40. Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra p. 194.↩︎

  41. George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 1952, nuova edizione Milano, 2004.↩︎

  42. Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra p. 201.↩︎

  43. Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria, vedi infra p. 201.↩︎

  44. Fabbri, Bisogna dirlo, vedi infra p. 33.↩︎

  45. Luce Fabbri, Socializzazione e libertà, «A rivista anarchica», a. 29, n. 255, 1999, pp. 34-35.↩︎