Introduzione di David Goodway // CAPITOLO PRIMO Un
saggio cinese // CAPITOLO SECONDO L’anima umana nel socialismo
// CAPITOLO TERZO Osservazioni sulla decadenza della menzogna //
CAPITOLO QUARTO Penna, matita e veleno. Uno studio in verde //
CAPITOLO QUINTO La ballata del carcere di Reading // CAPITOLO
SESTO Lettere
Cinquanta o sessanta anni fa, la reputazione di Oscar Wilde
in Inghilterra poggiava perlopiù sui suoi folgoranti aforismi,
il suo dandysmo, le sue commedie brillanti. Da allora, la
nascita e la diffusione del movimento per i diritti LGBT in
Europa occidentale e Nord America hanno portato – soprattutto in
riferimento alla brutale condanna a due anni di lavori forzati –
alla sua canonizzazione come «icona» gay, uno sviluppo in realtà
contestuale al suo riconoscimento come grande autore tout
court. Questo secondo processo iniziò nel 1962 con la
pubblicazione delle sue lettere in un’edizione magistralmente
curata da Rupert Hart-Davis, che non soltanto incluse per la
prima volta il testo completo di uno dei suoi capolavori, il
De Profundis, ma che al contempo lo rivelò come quel
superbo epistolarista che era; proseguì poi con la raccolta di
saggi curata da Richard Ellmann, uscita con il titolo The
Artist as Critic [Il critico come artista] nel
1969 negli Stati Uniti (e un anno dopo in Gran Bretagna); e
infine culminò nel 1987 con la magnifica biografia critica di
Ellmann (particolarmente rilevante posto che i due soggetti
precedenti del biografo erano stati W.B. Yeats e James Joyce, e
che il suo James Joyce, in particolare, è considerato uno dei
massimi esempi contemporanei del genere «biografia letteraria»).
Così l’anniversario della morte di Wilde, nel 2000, fu in parte
contrassegnato dall’avvio di un’edizione in nove volumi della
sua opera omnia, The Complete Works of Oscar Wilde,
all’interno degli Oxford English Texts: un chiaro segno della
piena, seppur tardiva, accettazione della sua produzione da
parte dell’establishment accademico. Nel ventennio
intercorso da allora, due specifiche aree, quella gay e quella
accademica, hanno prodotto in parallelo e a ritmi sempre più
frenetici pubblicazioni su Wilde, spesso segnate da
un’ineleganza verbale e da una tortuosità di pensiero in diretto
contrasto con la lucidità aforistica di Wilde stesso.
In questa gara alla riscoperta brilla per la sua assenza un
dibattito informato sull’approccio politico che gli era propria
(tranne che in materia sessuale). Una dimenticanza curiosa, se
si pensa che uno degli scritti più noti e letti di Wilde è
proprio un saggio politico: The Soul of Man Under
Socialism [L’anima umana nel socialismo,
infra p. 75]. La sua difesa sia del socialismo sia
dell’individualismo è stata genericamente intesa come un tipico
esempio dei suoi paradossi, e abbondano i fraintendimenti del
sostanziale anarchismo della sua argomentazione e della sua
posizione. La sovraccoperta dell’edizione americana di The
Artist as Critic, curata da Ellmann, per esempio presenta
il saggio, incluso nella raccolta, come un’argomentazione «a
sostegno di una riforma sociale», quando di fatto Wilde contesta
il riformismo senza mezzi termini: «[I] loro rimedi non
guariscono la malattia: ottengono solo di prolungarla. Anzi, i
rimedi stessi sono parte della malattia. […] Il vero
obiettivo dovrebbe essere quello di ricostruire da capo la
società, su basi che rendano impossibile la povertà»
[corsivo di Wilde]. Un altro esempio. In un’edizione economica
dei suoi scritti, un’accademica inglese, autrice di un libro su
Wilde, si sente autorizzata a concludere la presentazione di
L’anima umana nel socialismo come segue: «Il socialismo
che emerge da queste pagine è altamente idiosincratico […]
impossibile da allineare con qualsiasi politica di partito».
Questo stato di cose sorprende ulteriormente se si considera
che fin dall’inizio gli anarchici riconobbero – e anzi
acclamarono – L’anima umana nel socialismo come
un’importante manifesto anarchico. Kropotkin lo indicava come
«quell’articolo di O. Wilde sull’anarchismo». Nel 1949, l’anarchico
George Woodcock pubblicò un libro illuminante su Wilde, ne
discusse la politica nella sua fondamentale storia
dell’anarchismo del 1962, e infine incluse un estratto di
L’anima umana nel socialismo nella sua celebre
antologia di scritti anarchici del 1977. Nel suo monumentale
Demanding the Impossible, degno successore del notevole
Anarchism [L’Anarchia] di Woodcock, Peter
Marshall dedica parecchie pagine a Wilde come «libertario
inglese», affermando che «il suo socialismo libertario è la più
attraente tra tutte le varianti di anarchismo e socialismo». Tempo fa Marshall mi disse
che a determinare la sua presa di posizione anarchica erano
state la rivolta parigina del Maggio ’68 e la lettura di due
testi: il pamphlet About Anarchism di Nicolas Walter
(1969) e il saggio L’anima umana nel socialismo. Nel 1967, Masolino D’Amico
concludeva senza esitazioni (nella rivista italiana «English
Miscellany», malauguratamente poco nota nel mondo anglofono) che
Wilde era «anarchico, non socialista»; e Owen Dudley Edwards,
nella sua ponderata voce del 2004 per l’Oxford Dictionary of
National Biography, definisce L’anima umana nel
socialismo come «verosimilmente la più memorabile e
senz’altro la più estetica esposizione di teoria anarchica in
lingua inglese». Anche le tesi di dottorato
di due brillanti studenti di Oxford, Sos Eltis e Paul Gibbard,
identificano Wilde come anarchico, illustrandone la posizione
politica con notevole acume. La speranza è
che gli studi di Eltis e di Gibbard, insieme al saggio su Wilde
presente nel mio Anarchist Seeds Beneath the Snow (su
cui si basa questa introduzione), saggio che indaga ancora più a
fondo delle due tesi citate la specifica questione, possano con
il tempo percolare nella coscienza accademica e diffondersi ben
al di là di questa – anche se per ora non si vedono indizi in
tal senso.
Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde nacque nel 1854 a
Dublino da genitori protestanti, ereditando, come lui stesso
avrebbe sottolineato nel 1897, «da mio padre e da mia madre un
nome di alta distinzione in letteratura e arte». William Wilde era un
chirurgo oftalmico e auricolare di fama internazionale – fu
insignito del titolo di baronetto nel 1864 – oltre che un
pioniere nei campi dell’archeologia e degli studi folklorici.
Jane Wilde (Elgee da nubile), irredentista irlandese come il
marito, vantava una personalità ancora più spiccata e
un’eccentricità di abbigliamento e comportamenti degna del
figlio. Con lo pseudonimo di «Speranza» collaborava, pubblicando
poesie oltre che articoli politici, con la testata «Nation»,
organo di stampa della Young Ireland [Giovane Irlanda], tanto
che era intervenuta in aula al processo a carico di Charles
Gavan Duffy, nel 1848; inoltre traduceva dal francese e dal
tedesco. Entrambi i figli dei Wilde studiarono in convitto alla
Portora Royal School, da dove passarono al Trinity College di
Dublino. Dopo i brillanti risultati dei tre anni al Trinity,
Oscar ottenne una borsa di studio per il Magdalen College di
Oxford, dove trascorse i quattro anni successivi di nuovo
immerso nello studio dei classici, accumulando trionfi, compresa
una doppia laurea summa cum laude, e coronando la
carriera accademica con l’assegnazione, nel 1878, dell’ambito
premio di poesia Newdigate per Ravenna, che sarebbe
diventata la sua prima pubblicazione indipendente.
Tra i docenti di Oxford negli anni Settanta dell’Ottocento
due in particolare esercitarono un’influenza decisiva sulla sua
formazione intellettuale. Entrambi furono progenitori del
movimento dell’estetismo, per quanto abitassero universi morali
molto diversi. Walter Pater, fellow del Brasenose
College, omosessuale e trentacinquenne nel 1874, aveva
pubblicato un anno prima i suoi Studies in the History of
the Renaissance [Il Rinascimento], la cui
Conclusione, che si dice Wilde conoscesse a memoria,
venne omessa dalla ristampa, uscita quattro anni dopo, per
timore che potesse «sviare alcuni di quei giovani nelle cui mani
sarebbe potuta finire». Per Pater, «non è il frutto
dell’esperienza, ma l’esperienza stessa a essere il fine», e una
vita pienamente realizzata consiste «nell’arder perenne di
questa fiamma gemmea, nel mantener perenne quest’estasi». Quello
che esaltava era «la passione poetica, il desiderio della
bellezza, l’amore dell’arte per l’arte». Wilde chiamava il
Rinascimento di Pater «il mio libro aureo», e più
tardi, scrivendo dal carcere, lo indicò come «quel libro che ha
esercitato un così peculiare ascendente sulla mia vita». Solo al
suo terzo anno a Oxford ebbe la possibilità di conoscere di
persona Pater – che per parte sua non incontrò mai il secondo
faro di Wilde: John Ruskin. Primo Slade Professor of Fine Art, e
maggiore di ventun anni rispetto a Pater, Ruskin illustrò e
celebrò a fondo l’opera d’arte, ma per lui erano l’etica e la
natura ad avere la precedenza: solo gli uomini buoni possono
produrre buona arte, e solo attenendosi alla verità della
natura. Wilde frequentò il corso di Ruskin sulle Scuole
estetiche e matematiche di Firenze già nel suo primo
trimestre e aderì di slancio alla sua proposta di partecipare
alla costruzione della strada di Ferry Hinksey, entrando così a
far parte della cerchia più ristretta dei suoi studenti; nel
1888 gli avrebbe scritto che «il ricordo più caro dei miei
giorni a Oxford è quello delle nostre passeggiate e
conversazioni».
Dunque l’estetismo di Wilde si può far risalire al periodo
oxfordiano. Poi, posto di fronte alla necessità di guadagnarsi
da vivere (alla morte di sir William, nel 1876, gli era stata
riconosciuta una rendita di appena 200 sterline l’anno), Wilde
si trasferì a Londra, promuovendosi ostinatamente come «esteta».
Il ciclo di conferenze tenuto nel corso del 1882 in Nord
America, sempre ostentando le sue appariscenti tenute da
«dandy», si rivelò estremamente redditizio – la sua parte di
introiti ammontò a ben 5.600 sterline – e fu seguito da altri
cicli tenuti nelle province inglesi e irlandesi, in vari periodi
del biennio 1883-1885. Come appare evidente fin dai titoli delle
conferenze – English Renaissance in Art; The House
Beautiful; The Decorative Arts; Dress e The
Value of Art in Modern Art – Wilde esponeva non soltanto le
idee di Pater e dell’estetismo propriamente detto, ma anche
quelle di Ruskin, di William Morris e del movimento Arts and
Crafts. In effetti Morris fu un’altra figura di grande rilievo
nella sua vita. Si erano conosciuti già nel 1881, un incontro
che Morris commentò come segue: «Così come il diavolo viene
sempre dipinto a tinte più fosche del dovuto, lo stesso vale
anche per O.W. È un insolente, non dico di no; ma è un insolente
geniale».
La costante ammirazione e il debito di riconoscenza nei
confronti di Ruskin (che nel 1882 fu entusiasta di sapere da
lady Wilde che «Oscar è ancora il più devoto dei miei
discepoli») spiega almeno in parte la
velenosa animosità sviluppata tra Wilde e James Abbott McNeill
Whistler. A sua volta un dandy di brillante arguzia,
quest’ultimo a un certo punto si indispettì con il giovane
sodale per il suo atteggiamento durante la causa per
diffamazione da lui intentata contro Ruskin nel 1878, causa che,
pur vinta in tribunale, venne vanificata da un risarcimento
intenzionalmente irrisorio, lasciandolo sul lastrico. Wilde
infatti, a dispetto dell’ammirazione per i quadri e le incisioni
di Whistler, continuava ad aderire in larga parte ai criteri
estetici stabiliti da Ruskin. Nel 1885 recensì per la «Pall Mall
Gazette» la conferenza tenuta da Whistler alla Queen’s Hall,
passata alla storia con il titolo Ten O’Clock, in cui
l’artista americano affermava:
Che la natura abbia sempre ragione è un’affermazione tanto
falsa, in termini artistici, quanto può esserlo ogni
affermazione la cui verità sia universalmente data per scontata.
La natura ha poche volte ragione, talmente poche si potrebbe
dire che ha quasi sempre torto. Ovvero: le condizioni che danno
luogo alla perfetta armonia, consona a un quadro, sono
infrequenti e nient’affatto comuni. Ciò sembrerà una teoria
blasfema persino ai più intelligenti. Questo presunto assioma è
a tal punto radicato nella nostra educazione, che credervi è
parte della nostra morale; le sue parole suonano sacre al nostro
orecchio. Eppure, di rado la natura riesce a produrre un dipinto
[Alle dieci di sera, trad. di Paolo Martone,
Castelvecchi, Roma, 2014, p. 17].
Nell’articolo pubblicato l’indomani Wilde trascurò questo
passaggio chiave, limitandosi a citare in modo generico
«l’astuta satira e le divertenti stoccate» di Whistler. Ben
diversa la reazione di un grande poeta. A sua volta tra il
pubblico, Stéphane Mallarmé fu, secondo il suo accompagnatore
Henri de Régnier, «istantaneamente rapito dalla magia di
Whistler», una fascinazione che lo indusse a tradurre il testo
della conferenza nell’influente Le Ten O’Clock de M.
Whistler (1888).
Mallarmé era il rappresentante di punta della poesia
simbolista e un simpatizzante anarchico. Wilde non raggiunse una
posizione di pari radicalismo artistico fino al gennaio del
1889, quando in The Decay of Lying [Osservazioni
sulla decadenza della menzogna, infra p. 123]
dichiarò a sua volta la supremazia dell’arte sulla natura oltre
che sulla vita. Il saggio fu pubblicato nel 1891 nelle splendide
Intentions [Intenzioni] insieme a Pen,
Pencil and Poison [Penna, matita e veleno. Uno studio
in verde, infra p. 167] e Il critico come
artista, rispettivamente del 1889 e del 1890. Il testo
conclusivo della raccolta, The Truth of Masks, del
1885, era fuori posto nella raccolta, tanto che Wilde stesso lo
sconfessò in una postilla: «Per la verità non concordo con tutto
ciò che ho scritto in quel saggio. Anzi, c’è molto da cui
dissento completamente». Infatti, già nel 1891 informava il
traduttore francese che il testo, poiché «je ne l’aime
plus», andava sostituito con L’anima umana nel
socialismo, apparso all’inizio dell’anno, «qui contient
une partie de mon esthétique».
Inizialmente, la sua evoluzione politica fu più lenta
rispetto a quella del pensiero estetico. Nel 1880 aveva scritto
la sua prima commedia, Vera; or, The Nihilists
[Vera o i Nichilisti], andata in scena a New York per
una settimana nel 1883, ma mai rappresentata a Londra. Questo
testo laborioso, in cui l’arguzia wildiana del primo ministro,
il principe Paul Maraloffski, è incompatibile con il melodramma
centrale, ha attirato un’attenzione sorprendentemente generosa
da parte di chi si proponeva di indagare principalmente le sue
idee politiche. Chiaramente ispirata ai populisti russi (o
Narodniki) e a Vera Zasulič, che fu una protagonista della
«propaganda del fatto» grazie all’attentato al generale Trepov
del 1878, la pièce li presenta come nichilisti, un movimento
puramente intellettuale degli anni Sessanta dell’Ottocento,
tanto che nelle prime rappresentazioni l’azione si svolge nel
1800, malgrado nel testo si accenni all’esistenza delle ferrovie
e all’emancipazione dei servi della gleba. Quanto a me, non
riesco proprio a considerare Vera degna di alcuna seria
attenzione.
Anche i versi a tema politico composti tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento,
pubblicati in Poems (1881) sotto il titolo complessivo
di Eleutheria («Libertà») e probabilmente ispirati
all’esempio di sua madre, sono stati percepiti come
un’anticipazione dell’anarchismo futuro. Eppure, questi scritti
mediocri (per quanto di una competenza tecnica ben superiore a
Vera), che comprendono Quantum Mutata, To
Milton, Theoretikos e Louis Napoleon,
celebrano le libertà civili, la democrazia e il repubblicanesimo
a scapito dell’ultra-radicalismo delle masse. Il sonetto
Libertatis Sacra Fames, pubblicato per la prima volta
nel 1880, ne fornisce un buon esempio:
Sebbene nutrito di democrazia, e preferendo quello Stato
repubblicano in cui ogni uomo è Re e nessuno troneggia sui suoi
simili, tuttavia considero, a dispetto dell’ansia moderna di
Libertà, migliore il governo di uno solo, cui tutti obbediscano,
che permettere a roboanti demagoghi di tradire la nostra libertà
con il bacio dell’anarchia. Pertanto non amo coloro le cui mani
profane piantano la bandiera rossa su una strada disselciata
senza motivo alcuno, e sotto il cui regno ignorante le Arti, la
Cultura, il Rispetto, l’Onore, ogni cosa scompare, salvo il
tradimento e il suo pugnale, o l’omicidio, col suo passo
silente, intriso di sangue.
«Speranza», la madre, da tipica nazionalista di classe
borghese temeva i movimenti popolari e i loro possibili eccessi
rivoluzionari, e agli esordi il figlio ricalcò le sue orme. E
infatti il Sonnet to Liberty si chiude dando voce al
dilemma di entrambi:
… eppure, eppure, questi Cristi che muoiono sulle
barricate, sa Dio se non sono con loro, in certe cose.
Anche tenuto conto di questi limiti, Vera e i primi tentativi
poetici segnalano comunque un interesse autentico per le
proteste rivoluzionarie e una ricettività alle idee radicali; e
fu da questo punto di partenza che il revival del socialismo in
Inghilterra spinse Wilde ancora più a sinistra. Per quanto
minuscole fossero le sue organizzazioni – la Social Democratic
Federation (SDF), fondata nel 1881 ma dichiaratamente socialista
solo a partire dal 1883, la Fabian Society e la Socialist
League, entrambe del 1884 – in quel decennio si assiste alla
conversione al socialismo di alcuni degli intellettuali più
capaci della generazione di Wilde, compresi R.B. Cunninghame
Graham, Bernard Shaw, Sidney Webb (per Beatrice Webb si sarebbe
dovuto attendere il 1890) e l’architetto W.R. Lethaby, tutti
nati negli anni Cinquanta del secolo, oltre a rappresentanti
della generazione precedente, come William Morris e Edward
Carpenter, e di quella successiva, come C.R. Ashbee e Raymond
Unwin. Un esempio sorprendente e poco noto del fenomeno è
costituito da Frank Harris, futuro editore, amico e biografo di
Wilde, il quale per un breve periodo sarà membro della sezione
di Marylebone della sdf marxista e apprezzato oratore di comizi,
prima di fare abiura e aderire ai Tory.
Nel 1883, passando dalle Tuileries incendiate dai Comunardi,
le cui «mani profane» avevano piantato «la bandiera rossa sulla
strada disselciata», Wilde ormai dichiarava: «Non c’è tra queste
macerie annerite una pietra tanto piccola da non rappresentare
per me un capitolo nella Bibbia della democrazia». Al tempo era già stato
notato a una conferenza della Socialist League, a Kelmscott
House, per «la grossa dalia purpurea» che portava all’occhiello
e per «la sua figura incongrua», simile a «un cesto di frutta,
matura e allettante». A detta di
Shaw, Wilde fu l’unica personalità della Londra letteraria a
firmare, dietro sua richiesta, la petizione lanciata nel 1887
dalla classe operaia internazionale per chiedere la grazia a
favore degli anarchici di Chicago, condannati a morte dopo un
processo-farsa. Per Shaw: «Il suo fu un gesto del tutto
disinteressato, che gli garantì il mio rispetto per il resto
della vita». Nel 1889 May Morris invitò
Wilde a far parte di un comitato che intendeva promuovere un
ciclo di conferenze di Kropotkin; lui declinò l’offerta,
dicendosi troppo impegnato per partecipare alle riunioni, ma
insistette perché il suo nome venisse usato «in qualsiasi forma
riteniate utile». La prima
volta in cui rese pubblica la sua adesione al socialismo fu nel
1889 in una recensione dell’antologia Chants of Labour. A
Song-Book of the People, di Edward Carpenter, nella quale
scriveva che «è per l’edificazione di una città eterna che i
socialisti di oggi compongono la loro musica». Ma nell’approvare
la varietà dei poeti e dei loro contributi, esprimeva già
eloquentemente il proprio libertarismo:
Tutto ciò è, nel suo complesso, molto promettente. Dimostra
che il socialismo non si lascerà ingabbiare da alcun credo
definitivo e irrevocabile o stereotipare in formule ferree. Il
socialismo accoglie nature multiple e multiformi. Non respinge
nessuno e ha posto per tutti. Ha le attrattive di una magnifica
personalità, è capace di conquistare il cuore di alcuni e la
mente di altri, riesce a trascinare quest’uomo per il suo odio
verso l’ingiustizia, quell’altro per la sua fiducia nel futuro,
e magari un terzo per il suo amore dell’arte o la sua folle
adorazione di un passato morto e sepolto. E tutto questo è un
bene. Perché rendere socialisti gli uomini non è nulla, mentre
rendere umano il socialismo è una gran cosa.
Dei principali socialisti inglesi coevi, Wilde fu l’unico a
spingersi oltre, schierandosi a favore dell’anarchismo (il
sostanziale libertarismo di Carpenter era mimetizzato dalla sua
visione non dottrinaria e dal suo sostegno a tutte le correnti
all’interno del movimento laburista, sia rivoluzionarie sia
riformiste). Come e perché arrivò a queste posizioni? Nel 1884
aveva sposato Constance Lloyd; il primo figlio, Cyril, nacque
nel 1885 e il secondo, Vyvyan, nel 1886. Nel 1887 assunse la
direzione di «Woman’s World», e a quel punto aveva già
consapevolmente abbandonato i panni del «professore di estetica»
per quelli del «dandy appesantito e datato»21. Questo periodo di
cambiamenti fu contrassegnato da una svolta ancora più notevole
avvenuta nel 1886, quando a trentadue anni Wilde fu sedotto dal
diciassettenne Robert (Robbie) Ross (che dopo la fine della
relazione sarebbe rimasto il suo amico più fedele e dopo la
morte sarebbe diventato il suo esecutore testamentario).
Note