Introduzione all’edizione originale di ‘Dall’urbanizzazione alle città’

Sixtine van Outryve d'Ydewalle

2023-08-31

traduzione di Elena Cantoni.

Oggi, da Commercy, noi invochiamo la creazione di comitati popolari in tutta la Francia, che operino in regolari assemblee generali. Luoghi in cui il discorso sia libero, in cui tutti possano esprimersi, formarsi, prestarsi aiuto reciproco. Se ci saranno delegati, le loro nomine saranno espresse al livello di ciascun comitato popolare locale dei Gilet Gialli, il più vicino possibile alla voce del popolo. E i loro mandati saranno imperativi, revocabili e a rotazione. Con trasparenza. Con fiducia. Gilet Gialli di Commercy, 3 novembre 2018

Le idee viaggiano nel tempo e nello spazio. Soprattutto quelle entusiasmanti. Dalla macchina per scrivere di Murray Bookchin, negli Stati Uniti del 1985, al gruppo di Gilet Gialli che circa trent’anni dopo ha occupato il centro di Commercy, nella Francia nordorientale, l’idea di organizzarsi a livello locale e diretto in assemblee popolari, di formarsi reciprocamente attraverso il dibattito collettivo e decidere insieme sulle questioni di interesse comune, di sprofessionalizzare la politica attraverso delegati con mandati imperativi e revocabili, è diventata una realtà concreta.

La nuova agenda municipale elaborata da Bookchin in Dall’urbanizzazione alle città ha offerto un orientamento alle profonde aspirazioni democratiche dei popoli in lotta in ogni parte del mondo. In particolare, il suo pensiero è stato una risorsa per un movimento di protesta dal basso come i Gilet Gialli francesi, che si sono organizzati in assemblee popolari, respingendo l’idea stessa della rappresentanza. Oltre alle assemblee popolari al livello delle città, i Gilet Gialli hanno creato strutture confederate egualitarie per consentire processi decisionali collettivi: l’Assemblea delle assemblee e la Comune delle comuni – come auspicato da Bookchin nel suo saggio del 1998, A Politics for the Twenty-First Century [Una politica per il XXI secolo].

Anche dopo la brutale repressione a livello nazionale, il movimento dei Gilet Gialli ha continuato a operare a livello locale. Alcuni gruppi hanno deciso di costituire assemblee di cittadini e di presentare liste alle elezioni municipali. Hanno votato per vincolare i mandati dei candidati alle decisioni dell’assemblea popolare locale – una delle strategie suggerite da Bookchin per ristrutturare in modo radicale le politiche locali affinché dessero priorità alla democrazia diretta. E quanto è accaduto a Commercy si è dimostrato ben più di un fenomeno locale. I Gilet Gialli sono soltanto una delle tante espressioni di protesta che in ogni parte del mondo stanno gettando i semi di quello che Bookchin chiamava «municipalismo libertario» nelle menti di coloro che sono delusi dalle prassi del governo rappresentativo. Dall’ondata di movimenti municipalisti in tutta Europa alle assemblee popolari sorte attraverso le Americhe fino alla Confederazione democratica curda del Rojava, nella Siria nordorientale, un numero sempre crescente di comunità sta dando una realizzazione concreta alle idee che, decenni or sono, Bookchin trasse dal suo studio della storia popolare.

Il messaggio centrale di Dall’urbanizzazione alle città è mettere in luce l’incoercibile tendenza degli esseri umani a organizzarsi in modo democratico in assemblee popolari a livello delle città. Questa tendenza è puntualmente affiorata nei secoli, dal Neolitico al tempo presente, passando dall’Atene classica, dai borghi medievali, i comuneros spagnoli del primo evo moderno, i town meeting del New England, la Comune di Parigi del 1792 e del 1871, le rivoluzioni russa, tedesca, spagnola e ungherese. Ciò che Bookchin dimostra in questo libro così importante è che, nel corso di tutta la storia, si è tramandato un lascito duraturo di assemblee popolari comunali come forma di autogoverno, e che la città è l’arena in cui si sviluppano le politiche e la cittadinanza, anche a fronte dell’ascesa dello Stato-nazione. Soprattutto nei momenti di disagio sociale, la forma assembleare della democrazia è sempre stata il veicolo d’elezione delle comunità per agire sul proprio futuro.

Le assemblee popolari soddisfano un bisogno umano, l’aspirazione a prendere decisioni politiche attraverso il faccia-a-faccia diretto e democratico. Bookchin ne deduce che l’avvento dello Stato-nazione, con il suo apparato coercitivo e il suo governo professionale e rappresentativo, non è una necessità storica. Semmai la storia dimostra l’esistenza di una costante tendenza umana alle istituzioni egualitarie e democratiche. Il colpo da maestro di Bookchin consiste nel dimostrare in che modo un dato stato di cose – la Stato-nazione come unità politica predominante, il governo rappresentativo come modalità di esercizio del potere – non è affatto inevitabile, ma è piuttosto uno status quo costruito allo scopo di favorire la gerarchia. E se è stato costruito, si può anche disfare.

Di contro allo Stato-nazione, Bookchin propone una chiara visione di ciò che la città dovrebbe essere, invece di ciò che è. A questo fine, offre un resoconto storico del ruolo svolto dalle città decenni, secoli, persino millenni fa. Arrivato al presente, propone una lucida analisi del dilagare dell’urbanizzazione nell’era moderna, un processo generato dal combinarsi delle forze dello Stato-nazione, del capitalismo e dell’industrialismo, di come la città moderna si espanda ed esploda nella vastità omogenea e anonima della megalopoli distruggendo i legami sociali e minacciando l’integrità stessa della vita cittadina.

E dimostra anche che l’urbanizzazione non è un tratto intrinseco delle città, ma una deriva sociale scongiurabile, e che dunque le città non devono necessariamente diventare agglomerati giganteschi e impersonali, che schiacciano la natura e dominano noi, impedendoci di governarci da soli. Al contrario, possono essere – e nella storia lo sono state di fatto – sedi di esercizio della democrazia diretta, cioè luoghi in cui possiamo incontrarci, discutere e decidere collettivamente ciò che vogliamo fare, invece che delegare il compito ai politici «professionisti».

Persino in periodi di intensa urbanizzazione, le classi operaie, sostenute dal movimento sindacale, hanno ricolonizzato la vita comunitaria, formando quello che Bookchin chiamava «il mondo comunitario sotterraneo» dell’era industriale. In queste assemblee e club si incontravano operai, borghesi e contadini che tennero in vita la politica con l’esercizio della cittadinanza comunitaria anche in Stati-nazione altamente centralizzati. Questi movimenti civici, che costituirono le basi delle rivolte radicali del XIX e XX secolo, erano il prodotto della vita di quartiere e locale. Se esaminiamo la Comune di Parigi del 1871, scopriamo che la vita politica di questa rivoluzione si basava sui club e le assemblee di quartiere, riuniti per discutere di importanti questioni economiche, politiche e sociali, e imporre misure più radicali; per monitorare l’operato dei communards eletti; e per difendere Parigi sulle barricate contro le truppe del governo.

L’obiettivo di Bookchin è dimostrare che il mondo così come lo conosciamo oggi – un mondo di strapotere dello Stato, di devastazione ecologica, di capitalismo sempre più egemone – non è inevitabile. Che in passato era diverso. E può ancora essere diverso. Che possiamo creare istituzioni per potenziare l’inclinazione umana alla solidarietà, al mutuo appoggio, alla condivisione, all’eguaglianza, alla cooperazione e alla vita civica, invece che favorire lo sfruttamento, l’individualismo, l’accumulazione e la competizione. E che se vogliamo garantire la sopravvivenza della specie, dobbiamo aderire a questo progetto.

L’opera di Bookchin offre un intero arsenale di armi concettuali per affrontare e superare le crisi in atto: la crisi ecologica, sociale e della democrazia. In altre opere, e soprattutto The Ecology of Freedom [L’ecologia della libertà], The Modern Crisis e The Philosophy of Social Ecology [Filosofia dell’ecologia sociale], sviluppa l’idea di ecologia sociale, una filosofia interdisciplinare basata sull’intuizione che l’assoggettamento della natura da parte della specie umana è un derivato dall’assoggettamento esercitato dagli esseri umani sui propri simili, e suggerisce che i nostri rapporti con gli altri e con il mondo naturale si potranno risanare solo eliminando ogni forma di gerarchia e dominio e rivendicando il controllo delle nostre vite quotidiane. Per meglio comprendere il «come», Dall’urbanizzazione alle città affronta il problema della realizzazione dei principi dell’ecologia sociale nella sfera politica, offrendo una filosofia politica emancipatoria, un municipalismo libertario che recupera la città come luogo per lo sviluppo di una vita civica egualitaria e democratica invece che di ingerenza burocratica, espansione capitalistica e sfruttamento della natura.

La filosofia politica del municipalismo libertario, in seguito enucleata da Bookchin nel termine «comunalismo», riformula due quesiti correlati: Qual è l’unità politica principale con cui un popolo può governare se stesso? E in che modo va esercitato il potere pubblico? Bookchin risponde a entrambe le domande proponendo la municipalità come unità di realizzazione della democrazia diretta, l’unico luogo reale in cui le persone possono riunirsi, deliberare e prendere direttamente decisioni insieme, invece che delegare a rappresentanti l’esercizio del potere pubblico.

Queste decisioni non si limitano alla sfera politica, trascurando la sfera economica, come tendono a fare fin troppo spesso le teorie tradizionali di democrazia partecipativa o deliberativa. Bookchin afferma che la sfera economica deve essere subordinata a quella politica, affidando il compito di formulare le politiche economiche relative a produzione, distribuzione e consumo all’intera comunità tramite l’assemblea popolare. Un’economia municipalizzata darebbe un significato autentico alla massima marxiana: «Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni».

Per le problematiche che superano i confini della singola municipalità, comprese quelle economiche, propone di organizzare consigli confederali composti di delegati insigniti di mandati imperativi e revocabili dalle rispettive assemblee popolari. Questi delegati non saranno più professionisti della politica, come i nostri rappresentanti attuali, ma portavoce, incaricati di trasmettere le decisioni delle assemblee al consiglio. Diversamente dallo Stato-nazione, l’organizzazione di un vasto territorio in forma confederale avrebbe potuto scongiurare una delle più grandi piaghe della nostra epoca, l’ascesa del fascismo e della sua ideologia di unità nazionale. Oggi che nazionalismo e fascismo si sono riaffacciati sulla scena, per combatterli è essenziale comprendere e dipanare le radici dello Stato-nazione, un progetto urgente che Bookchin intraprende con questo libro. Qui non soltanto analizza in che modo è sorto lo Stato-nazione, ma ci offre un’alternativa per contrastarlo, costruendo un nuovo modo di vivere insieme.

La sua filosofia politica indica una via d’uscita dalla crisi della democrazia che sta disamorando gli individui alla politica, proprio perché punta a ricostituire le città come luoghi in cui sviluppare la vita civica e riprendere in mano il nostro destino. E propone anche una nuova definizione di cittadinanza, non più basata sui confini arbitrari imposti dallo Stato-nazione, ma sulla partecipazione politica all’autogoverno della città. Con un concetto di cittadinanza che supera le frontiere nazionali, la filosofia politica di Bookchin ci consegna la dinamite necessaria a far esplodere il costrutto dello Stato-nazione. E ci offre una visione ricostruttiva che protegge i migranti dal limbo dell’esistenza apolitica, dell’esclusione sociale e dello sfruttamento economico. Rende loro, e tutti noi, cittadini nel senso più pieno del termine: partecipanti attivi alla vita politica delle municipalità.

In quanto prima sfera pubblica in cui facciamo il nostro ingresso uscendo dalla sfera privata, essendo l’unica entità esistente su scala umana e anche il primo luogo di approdo dei nuovi arrivati, la città è il locus ideale in cui le persone possono ricostituirsi da individui separati a comunità. Esplorando ciò che le città facevano un tempo, e potrebbero fare di nuovo – essere un luogo democratico e non alienato in cui gli esseri umani realizzano appieno il proprio potenziale, in ragionevolezza, libertà e creatività, attraverso il dibattito e il processo decisionale collettivo – Bookchin punta a recuperare due concetti: la politica e la cittadinanza. Per essere cittadini bisogna vivere in una polis, un villaggio, un borgo, un quartiere con assemblee popolari in cui tutti possano partecipare alla politica. Tracciandone la genealogia, Bookchin ci invita a smitizzare e smantellare lo Stato e il suo prodotto, l’arte di governo – il dominio della politica professionale – così da recuperare il vero significato della politica come arte di decidere collettivamente il piano d’azione della comunità. Distinguendo la politica dall’arte di governo, propone una forma di impegno politico che smette di fingere di conoscere la volontà del popolo, ma permette alle persone di formarsi una volontà.

Per Bookchin, la politica consiste non soltanto dell’autogoverno della città esercitato direttamente dai suoi abitanti, ma anche di un processo educativo che forma individui capaci di prendere parte attiva in quell’autogoverno, e di agire nell’interesse pubblico – una capacità anestetizzata da secoli di governo rappresentativo. Questa educazione, che Bookchin chiama paideia, con riferimento al suo ruolo cruciale nella democrazia ateniese, è promossa dalla partecipazione alla politica, non dalla cieca obbedienza alle leggi dello Stato e alle politiche stabilite dalla classe dominante. Di fatto, nella nostra società contemporanea, gli individui sono considerati passivi, incompetenti e indifferenti in ambito politico, un’errata inferenza antropologica sulla natura umana dovuta a un sistema politico oppressivo. Per questo ci mancano luoghi in cui sperimentare l’educazione della partecipazione politica. Ma possiamo ancora trovarli nelle assemblee che fioriscono ovunque nel mondo nel corso di lotte politiche di ogni genere, compresa quella dei Gilet Gialli – assemblee impegnate a contrastare secoli di condizionamento da parte dello Stato. Pur non costituendo ancora il sistema municipalista libertario invocato da Bookchin, possono comunque svolgere questo essenziale ruolo educativo.

Ma posto di voler realizzare questa società comunitaria, da dove si comincia? Lo scopo principale di questo libro è convincerci che non sempre in passato – e idealmente in futuro – la politica ha assunto la forma dello Stato-nazione e del governo rappresentativo. Ma Bookchin non ci lascia soltanto con un ideale di comunità democratica. Certo, rifiuta di proporre uno stampo universale, per così dire a taglia unica, di politica municipalista che rischierebbe di tramutarsi in un dogma rigido e inflessibile, ma nemmeno si limita allo scheletro: offre anche la sostanza di una strategia potenziale. E nei saggi più tardi, raccolti nel volume The Next Revolution [La prossima Rivoluzione. Dalle assemblee popolari alla democrazia diretta], approfondisce la sua teoria di comunalismo e propone altre vie concrete per realizzarla.

È ben consapevole che la municipalità – anche quando poggia su solide istituzioni di autogoverno per coinvolgere i cittadini nella vita pubblica – non è abbastanza forte per sfidare lo Stato. Perciò la strategia che propone è la creazione di una dinamica di potere duale – con riferimento alla Rivoluzione russa del 1917, in cui il governo provvisorio condivideva il potere con i soviet –, tra la confederazione di comuni basati sull’autogoverno locale da una parte, e lo Stato-nazione dall’altra, impegnati a competere per la legittimità politica. Nel suo pensiero dialettico la situazione di tensione tra queste due forze è una necessità. Nella sua visione, la confederazione di comuni e lo Stato non possono coesistere a lungo, e lo scontro terminerà con la vittoria della prima, destinata a rimpiazzare lo Stato che di fatto sarà stato svuotato della sua legittimità.

Per smantellare la legittimità dello Stato in favore della confederazione di comuni autogestiti dobbiamo in primo luogo realizzare l’autogoverno al livello della municipalità. Bookchin suggerisce due strategie per riuscirci: una extraistituzionale e l’altra istituzionale. La prima consiste nella creazione di istituzioni radicalmente nuove e alternative mediante la costituzione di assemblee popolari extralegali per gestire gli affari comunitari in modo indipendente dal sistema politico esistente. La seconda comporta la partecipazione alle istituzioni municipali legali esistenti, come per esempio le giunte cittadine, presentando candidati il cui mandato sia vincolato alla volontà dell’assemblea popolare, così da trasformare radicalmente quelle stesse istituzioni. L’obiettivo è che le assemblee popolari, le cui decisioni vengono prese attraverso la democrazia diretta, informino tutte le politiche implementate dalla giunta cittadina. Dalla prospettiva del potere duale, consolidare il potere delle assemblee popolari comunitarie a spese dello Stato mediante l’una o l’altra di queste strategie è necessario alla costruzione di una confederazione di comuni e alla creazione di una società comunalistica.

Bookchin presta la massima attenzione a offrire una filosofia politica che si possa adattare, modificare, espandere e interpretare in funzione delle condizioni locali. Ed è esattamente così che le persone l’hanno messa in pratica in ogni parte del mondo. Alla ricerca di risposte alle proprie profonde aspirazioni democratiche, i movimenti hanno usato le sue idee come ispirazione, e le hanno adattate alle sfumature specifiche delle proprie lotte locali. E a loro volta questi movimenti, come per esempio la radicale rivoluzione femminista, democratica ed ecologica del Rojava, ha ispirato altri a seguirne l’esempio.

La nuova edizione di Dall’urbanizzazione alle città giunge in un momento topico per il pieno sviluppo delle potenzialità inerenti all’opera di Bookchin da parte dei movimenti politici democratici in ascesa ovunque nel mondo. Il libro punta a dimostrare a questi movimenti la loro appartenenza a una vicenda storicamente più vasta, quella del mondo comunitario sotterraneo. E li incoraggia a scoprire e riscoprire questa storia, trovando ispirazione alle proprie lotte nei successi e nei fallimenti del passato. Poiché propone una risposta alla crisi della democrazia senza cadere nella trappola dell’identità chiusa dello Stato-nazione; poiché prefigura una forma di produzione e distribuzione economica egualitaria e comunitaria, basata sulla municipalizzazione dell’economia; poiché offre una modalità di relazione con la natura che non poggi sullo sfruttamento perpetuo, con la distruzione che ne deriva, il comunalismo di Bookchin ha il potenziale di ispirare un’intera generazione al perseguimento della solidarietà, dell’uguaglianza e della democrazia. Questo libro è una guida essenziale per intraprendere il viaggio.