«La donna più pericolosa d’America»

Introduzione a ‘La libertà o niente’

Francis Dupuis-Déri

2023-05-29

traduzione di Giulia Masperi.

INDICE DEL LIBRO:

INTRODUZIONE «La donna più pericolosa d’America» di Francis Dupuis-Déri // CAPITOLO PRIMO Quello in cui credo // CAPITOLO SECONDO Anarchismo: per cosa davvero si batte // CAPITOLO TERZO Psicologia della violenza politica // CAPITOLO QUARTO Il carcere: un crimine sociale e un fallimento // CAPITOLO QUINTO Una nuova Dichiarazione d’Indipendenza // CAPITOLO SESTO Una donna senza nazione // CAPITOLO SETTIMO Il patriottismo: una minaccia per la libertà // CAPITOLO OTTAVO Sindacalismo: teoria e pratica // CAPITOLO NONO La filosofia dell’ateismo // CAPITOLO DECIMO Il matrimonio e l’amore // CAPITOLO UNDICESIMO L’ipocrisia del puritanesimo // CAPITOLO DODICESIMO La mia vita è valsa la pena? // Fonti

Il 3 maggio 1886 la polizia di Chicago interviene presso la McCormick Harvesting Machine Company per difendere alcuni crumiri dagli scioperanti che partecipano al movimento in favore della giornata lavorativa di otto ore. Nei tafferugli un manifestante rimane ucciso e molti altri feriti. In risposta, viene convocata un’adunanza per l’indomani, a Haymarket Square: «Eccellenti oratori interverranno per denunciare l’ultima atrocità della polizia, che ieri pomeriggio ha sparato sui nostri compagni. Operai, armatevi e venite a dimostrare tutta la vostra forza!» recitano i volantini. Nonostante questa chiamata alle armi, la folla di circa millecinquecento persone rimane pacifica, come constata sul posto il sindaco Carter H. Harrison. Ma dopo che lui, come numerosi altri partecipanti alla protesta, lascia il luogo, la polizia dispiega circa duecento agenti per forzare la dispersione di alcune centinaia di persone ancora assembrate sotto la pioggia. All’improvviso, in mezzo alle forze dell’ordine esplode una bomba e subito da ambedue gli schieramenti partono colpi d’arma da fuoco. Il bilancio finale sarà di sette morti e una sessantina feriti tra le forze dell’ordine e di sei morti e circa trenta feriti tra i civili.

Non si saprà mai chi ha lanciato la bomba e provocato quella carneficina, ma il seguito della storia è ben noto: l’evento scatena il panico anti-anarchico e la polizia procede a centinaia di arresti tra le fila rivoluzionarie. Alla fine otto anarchici, gli «Otto di Chicago», vengono accusati di concorso in omicidio, nonostante diversi di loro si trovassero fuori città al momento della sommossa. La giuria li condanna a morte o all’ergastolo.

Giunta a New York dalla Russia, suo paese natale, un anno prima di quel tragico giorno, Emma Goldman, allora sedicenne, segue sui quotidiani insieme alla sorella Helena lo svolgimento del processo e frequenta le conferenze organizzate da socialisti come Johanna Greie, un’immigrata tedesca che teneva infervorati discorsi in difesa degli «Otto di Chicago», o Johann Most, uno dei principali agitatori e propagandisti anarchici dell’epoca. Inizia a leggere il giornale anarchico «Die Freiheit», pubblicato in tedesco da Most, e si procura i libri che vi sono recensiti. Scopre l’ambiente anarchico anche grazie alla frequentazione dei caffè dell’East Side di New York, tra cui il Sachs, dove la clientela di studenti, artisti e operai si esprime in tedesco, russo e yiddish1.

Sconvolta dall’esito del processo, Goldman si rende conto in quel momento che intende dedicare il resto della propria vita all’anarchismo (cap. dodicesimo, «La mia vita è valsa la pena?», infra, p. 229), e già l’anno successivo pronuncerà dei discorsi in memoria di George Engel, Adolph Fischer, August Spies e Albert Parsons, tutti impiccati l’11 novembre 1887 (Louis Lingg si suicida in cella il giorno prima)2. Ma nel frattempo, e per mantenersi, riprende a lavorare in fabbrica, un mondo che ha già conosciuto a San Pietroburgo. In quel periodo comincia a frequentare un anarchico, Alexandr Berkman, anch’egli di origine ebraica, che per tutta la vita rimarrà il suo più fedele amico.

Nel 1892 avviene un’altra carneficina, stavolta alla Carnegie Steel Company, in Pennsylvania. Il gestore Henry Clay Frick ha ingaggiato alcune centinaia di guardie armate dell’agenzia Pinkerton per attaccare un picchetto di scioperanti. Bilancio della sparatoria: all’incirca sei guardie e dieci manifestanti uccisi (le fonti forniscono cifre contraddittorie). Per vendicare gli scioperanti, Emma Goldman decide di aiutare il suo compagno a pianificare e organizzare un attentato contro Frick3. Berkman gli spara, ma riesce solo a ferirlo. L’anarchico sarà condannato a quattordici anni di prigione.

In seguito a questo fallimento, Goldman decide di privilegiare le parole alle armi per difendere le proprie idee rivoluzionarie, anche se lo Stato e la società capitalista le appariranno sempre più condannabili rispetto ai compagni che scelgono la lotta armata. Entra allora in contatto diretto con Johann Most, il suo idolo dell’epoca. Quest’ultimo le organizza un primo giro di conferenze tra le reti di lavoratori, un’esperienza che la inebria e le regala la sensazione di essere utile alla causa rivoluzionaria. Ovunque vada, i giornali locali si concentrano su di lei gridando allo scandalo e demonizzando le sue parole, cosa che non fa che amplificare la sua fama.

Una propagandista a tutto campo

Emma Goldman diventa rapidamente una celebrità, sia negli ambienti operai, dove pendono dalle sue labbra, sia nei circoli femminili, dove sovverte i luoghi comuni. Migliaia di persone si accalcano per ascoltarla, tanto che talvolta è costretta a rivolgersi alla folla in strada dal tettuccio aperto di un’automobile. È dunque una delle figure centrali del «contro-pubblico»4 anarchico che propone altri modi di guardare alla natura umana, alla vita in società e alla società stessa rispetto a quelli veicolati dalla stampa ufficiale. Ma le sue idee vanno ben al di là dei circoli anarchici e femminili. Tra le fila dei socialisti, le parole di anarchici come Emma Goldman fanno eco alle frustrazioni avvertite nei confronti di leader di partito o sindacali troppo autoritari e sempre pronti a scendere a vergognosi compromessi con il padronato o con lo Stato5. Quanto ai liberali moderati e persino ai conservatori, il giurista Don Herzog ritiene oggi che sia stato vantaggioso per loro essere venuti in contatto, intorno al 1900, con le proposte radicali di «Emma la Rossa» e di altri anarchici in materia di emancipazione femminile, di educazione mista e di abolizione del reato di omosessualità, della pena di morte e del servizio militare obbligatorio. D’altronde, la tolleranza riguardo alla libertà di parola e di pensiero deve essere applicata proprio a quelle idee che possono apparire insensate e irrazionali agli occhi dei liberali repubblicani6.

Le autorità dell’epoca, ossessionate dalla minaccia rivoluzionaria, non la pensano affatto allo stesso modo e infatti ritengono che Goldman rappresenti un pericolo crescente, tant’è che diversi eventi cui partecipa sono disturbati, interrotti o annullati da interventi della polizia. Per intimidirla, arrivano perfino a maltrattare i suoi amici. Il primo arresto, avvenuto nel momento in cui sta per prendere la parola7, si risolve in una condanna per istigazione alla sommossa. Quando è dietro le sbarre, constata che le «prigioniere di colore [sono] molto più interessanti delle bianche. […] Hanno in generale un senso di solidarietà maggiore delle bianche [e] sono meno sottomesse, servili e impaurite delle bianche»8.

Emma Goldman torna in Europa nel 1900 per partecipare a un congresso anarchico (che sarà proibito, vedi cap. ottavo, «Sindacalismo: teoria e pratica», infra, p. 169) e per incontrarsi con anarchici celebri, tra cui l’italiano Errico Malatesta e la francese Louise Michel che all’epoca vivono a Londra, nonché con il più famoso degli anarchici, il russo Pëtr Kropotkin, con il quale intratterrà una lunga corrispondenza. Qui scopre l’importanza politica del sindacalismo rivoluzionario, segue sotto falso nome un corso di formazione per ostetriche e assiste ad alcune conferenze di Sigmund Freud, di cui tiene bene a mente le lezioni sulla repressione sessuale e sull’omosessualità.

In effetti, Goldman attribuisce una grande rilevanza alla passione amorosa e avrà numerosi partner nel corso della sua vita. Ma sono soprattutto gli incontri con Kate Austin e la lettura dei suoi testi ad affinare le sue riflessioni sull’amore e sulla sessualità libera, questioni di cui discute apertamente, a rischio di provocare disagio e scandalo anche tra i compagni anarchici, che talvolta le rimproverano di offuscare, così facendo, l’immagine del movimento.

Emma Goldman lavora inoltre come infermiera tra le prostitute di New York. Considera la loro scelta di vita come una conseguenza del capitalismo e della disuguaglianza economica, cosa che spiega perché siano soprattutto le donne della classe operaia a utilizzare il proprio corpo quale merce di scambio9. Similmente ad altri anarchici, si schiera in difesa dell’omosessualità, all’epoca considerata dallo Stato come una patologia e un crimine. In particolare denuncia la detenzione di Oscar Wilde, celebre scrittore represso a causa della propria omosessualità, e diffonde molti dei suoi testi in segno di solidarietà10. Infine, durante una permanenza a Parigi, approfondisce le proprie conoscenze in materia di contraccezione11.

Nel 1901 scrive un omaggio funebre in onore di Gaetano Bresci, l’anarchico italiano che ha ucciso il re Umberto i perché aveva dato l’ordine di sparare su donne e bambini indifesi durante una rivolta per il pane (cap. primo, «Quello in cui credo», infra, p. 31) e che è appena stato «suicidato» nel penitenziario di Santo Stefano, un’isola al largo di Napoli. Scrive Goldman:

Bresci è il figlio dell’Italia, dove la massa del popolo fatica e suda, ma non gode mai delle bellezze che madre natura ha abbondantemente elargito al paese; l’Italia, i cui uomini forti, sani e robusti devono lasciare il suolo natio per vagare in terre sconosciute in cerca di pane; l’Italia, dove le donne sono dei relitti a vent’anni, e i cui figli, sporchi, sudici, cenciosi e affamati, sono degradati a mendicanti. Una ristretta minoranza ha derubato il paese accumulando ricchezze private e ora sopprime ogni suono di protesta, celebrando orge per soffocare le voci di agonia che provengono dalle prigioni, dove gli spiriti audaci sono costretti a una vita d’inferno12.

Di Gaetano Bresci parlerà ancora diffusamente nel saggio «Psicologia della violenza politica». Durante lo stesso anno si ritrova al centro di un’altra polemica quando la stampa sostiene che lei abbia influenzato Leon Czolgosz, che il 6 settembre ha assassinato il presidente William McKinley (cap. terzo, «Psicologia della violenza politica», infra, p. 75). A causa di questa falsa accusa riceve una valanga di lettere di minaccia e la sua posta viene passata al setaccio dalle autorità. Il padrone di casa arriva a sfrattarla dall’appartamento, in cui peraltro abita sotto falso nome, dopo averla riconosciuta. Da parte sua, Goldman lamenta invece il fatto che tanti compagni, buoni solo a parole, si siano improvvisamente defilati per paura dell’ignominia e della repressione, mentre le leggi anti-anarchiche promulgate sulla scia dell’attentato criminalizzano tutte le attività militanti e vietano l’ingresso nel paese a chiunque inneggi all’abolizione dello Stato.

Nonostante tutto, Goldman continua i suoi giri di conferenze negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. Nel rapporto The Situation in America, che redige per il congresso anarchico del 1907 ad Amsterdam, compara i linciaggi subiti dai neri da parte dei suprematisti bianchi ai pogrom degli anti-semiti russi, in sintonia con le posizioni espresse dalla comunità ebraica newyorkese. Nel rapporto sostiene che «i neri sono tanto schiavi oggi quanto lo erano in passato, e sono perfino più ostracizzati socialmente e sfruttati economicamente»13. Anche nei circoli femminili che la invitano non esita a mostrarsi provocatoria, parlando sempre più spesso di contraccezione, soprattutto in yiddish quando è a New York, per compensare la mancanza di informazioni su questo argomento nella comunità ebraica. Proprio per aver diffuso informazioni sul controllo delle nascite, la polizia l’arresta di nuovo in quanto la loro divulgazione è proibita dalla legge.

A partire dal 1913, Emma Goldman affronta regolarmente nelle proprie conferenze la questione dell’omosessualità, una sfida di cui diventa consapevole durante le sue permanenze in carcere, ma anche leggendo e incontrando alcuni sessuologi radicali come Havelock Ellis (che Kropotkin le aveva sconsigliato di avvicinare…)14. Al contempo, denuncia apertamente il militarismo e nel 1915 firma insieme a una trentina di anarchici, tra cui Errico Malatesta, un testo contro la guerra (cap. settimo, «Il patriottismo: una minaccia per la libertà», infra, p. 149). Infine, nel 1917 assiste alla partenza di Lev Trockij, che da New York s’imbarca per la Russia, dove è appena scoppiata la rivoluzione. Per qualche mese difende il progetto bolscevico, calunniato dalla stampa, che considera coerente con l’ideale anarchico. Proprio per questo le autorità statunitensi l’arrestano nuovamente per deportarla con altri duecentocinquanta compatrioti, tra i quali Alexandr Berkman, in Russia, dove prenderà rapidamente coscienza dell’orrore bolscevico15.

Nel 1926 torna in Nord America, più precisamente a Montréal, dove tiene diverse conferenze. Nel decennio seguente prende la parola un po’ dappertutto in Canada, organizza gli aiuti per i rivoluzionari perseguitati in Russia e partecipa alla campagna internazionale per salvare gli anarchici italiani Nicola Sacco, nato nel 1891 a Torremaggiore in Puglia, e Bartolomeo Vanzetti, nato nel 1888 a Villafalletto in Piemonte, accusati di omicidio durante una rapina negli Stati Uniti e infine giustiziati, tramite il supplizio della sedia elettrica, nel 1927. La storia ha ormai provato che sono stati vittime di un processo grossolano, minato dai pregiudizi contro gli anarchici e contro gli italiani, con diversi testimoni che li hanno identificati come gli autori del crimine perché erano «uomini dalla carnagione scura» o semplicemente perché «il tizio sembrava un italiano». All’epoca, l’immigrazione italiana negli Stati Uniti non era considerata «bianca» dalla maggioranza della discendenza anglo-protestante, ed era inoltre associata all’importazione negli Stati Uniti dell’anarchia e del sindacalismo rivoluzionario16.

Emma Goldman si sposta in Francia nel 1935, e da lì sostiene la rivoluzione spagnola17. Successivamente torna di nuovo in Canada, dove diventa amica e prende le difese – con successo – di Attilio Bortolotti, un anarchico di origini friulane che pubblica il giornale «Il Libertario» e che il governo canadese minaccia di deportare in Italia, dove l’attendevano i boia fascisti di Mussolini. È infine a Toronto, il 14 maggio 1940, che si spegne a settant’anni «la donna più pericolosa d’America», come l’aveva definita John Edgar Hoover, il primo direttore del Federal Bureau of Investigation (FBI).

Qualche anno prima della sua morte, aveva confidato alla rivista «Harper’s» che, se avesse dovuto ricominciare da capo, avrebbe rivissuto la propria vita nella stessa identica maniera (cap. dodicesimo, «La mia vita è valsa la pena?», infra, p. 229). Ma nonostante tutti gli sforzi messi in campo da lei e dai suoi compagni, l’anarchismo non è che l’ombra di sé stesso quando la vita l’abbandona, cosa che «Harper’s» non tralascia di sottolineare. Diversi fattori possono spiegare tale declino: la vittoria di Lenin e dei bolscevichi in Russia nel 1917, che sembra dimostrare la superiorità della loro strategia di presa del potere, grazie alla quale possono fornire le risorse necessarie per sostenere le organizzazioni filo-bolsceviche nel mondo; la generalizzata repressione degli anarchici, anche sotto le dittature bolsceviche18 e fasciste19, e il massacro su vasta scala, effettuato in Spagna dalle truppe del generale Franco, del più importante movimento anarchico della storia; il predominio dei comunisti bolscevichi o dei riformisti socialdemocratici sulle federazioni sindacali, che erano state uno strumento estremamente importante per le lotte anarchiche; la trasformazione della classe operaia e dei suoi rapporti con lo Stato liberale repubblicano dopo la prima guerra mondiale e la Grande Depressione; lo scarto tra le idee anarchiche e le aspettative delle classi popolari, che sempre più spesso si ricongiungevano alla classe media, integrandosi maggiormente nel sistema capitalista e statalista; e l’impossibilità per le forze anti-capitaliste – autoritarie o anarchiche – di svilupparsi negli Stati Uniti o in Canada, due paesi dove le candidature elettorali comuniste e perfino socialiste non realizzeranno mai percentuali significative.

Bisognerà così attendere una o due generazioni dopo la morte di Emma Goldman perché sorga una nuova primavera anarchica, sotto forma di movimenti sociali e popolari: innanzitutto con la gioventù radicale degli anni Sessanta, anti-autoritaria e anti-imperialista; poi con i punk degli anni Settanta, gli Autonomen della Germania dell’Ovest degli anni Ottanta e gli zapatisti degli anni Novanta in Messico, che hanno influenzato la frangia radicale dell’altermondialismo; più di recente con i movimenti delle piazze (Indignados, Occupy, Nuit Debout, ecc.), con le mobilitazioni contro l’austerità, e infine con il Rojava che si ispira agli scritti di Murray Bookchin sul municipalismo libertario20.

Il contesto culturale e politico

In ragione delle sue origini russe ed ebraiche, Goldman è particolarmente legata al proletariato arrivato dall’Europa centro-orientale, che lavora fino allo sfinimento nelle fabbriche della costa atlantica e della regione dei Grandi Laghi. Cosmopolita e poliglotta, questa comunità di miserabili continua a interessarsi all’attualità tedesca o russa e vive in una sorta di circolo chiuso, a causa sia delle barriere linguistiche e culturali, sia della segregazione che caratterizza la società statunitense e che si riproduce anche all’interno delle officine e degli stabilimenti. Tali divisioni si ritrovano nello stesso movimento operaio, in cui convivono tanto quelli che si limitano a rivendicare un aumento di salario, quanto quelli che denunciano la «schiavitù salariata», come Emma Goldman, Lucy Parsons21 e molti altri anarchici dell’epoca, i quali auspicano l’abolizione pura e semplice del capitalismo e della «proprietà privata dei mezzi di produzione»22.

Recenti studi sull’impatto che le ondate migratorie dall’Europa verso l’America, ivi comprese quelle italiane, hanno avuto sull’anarchismo si soffermano in particolar modo su una domanda: si sono portati in valigia gli ideali anarchici e un’esperienza militante, ad esempio nei sindacati, o sono diventati anarchici dopo aver scoperto la menzogna del «sogno americano», che occulta la dura realtà del lavoro in fabbrica23?

Per quanto la riguarda, Emma Goldman è diventata anarchica negli Stati Uniti. Tuttavia, nonostante il suo ateismo intransigente e il virulento anti-nazionalismo, è sempre stata fortemente legata alla comunità di immigrati ebrei nella quale è cresciuta – la cosiddetta «yiddishlandia libertaria»24 – che senza dubbio connota il suo anarchismo. Non si tratta evidentemente di una relazione diretta del tipo «sono ebreo, dunque divento anarchico» – e a tal proposito ci sono molte altre comunità etnoculturali che possono sviluppare affinità con l’anarchismo, come i Cabili in Nord Africa25, la comunità afroamericana negli Stati Uniti26, alcune collettività autoctone come gli zapatisti in Messico27, e vari altri28. Piuttosto, si tratta di una chiave per spiegare la forte presenza dell’anarchismo nelle comunità ebraiche emigrate in Nord America, dove si erano proletarizzate alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo.

Di fatto, Goldman indirizza i suoi attacchi anti-clericali specialmente contro il cristianesimo, perché è all’epoca la religione egemonica in Nord America e in Europa. Ma essendo immersa nella cultura ebraica askenazita dell’Europa dell’Est, ne conosce bene i principi, i rituali e la storia antica e recente, sempre tragica. Proprio per questo corrobora la tesi difesa dal sociologo Michael Löwy, secondo il quale la spiritualità e la cultura ebraica presentano delle affinità con l’anarchismo e viceversa, cosa che avrebbe in parte spiegato l’importanza delle personalità ebraiche nello sviluppo dell’anarchismo intorno al 190029. Tali affinità includono le analogie tra la figura dei propagandisti anarchici e quella dei profeti della Bibbia, che percorrevano avanti e indietro le strade delle antiche città per denunciare il lusso in cui sguazzavano, a spese del popolo, principi e sommi sacerdoti e che appunto per questo venivano perseguitati; tra il progetto anarchico e il messianismo ebraico, secondo il quale un mondo ideale si realizzerà un giorno in Terra e non in Cielo (al contrario di quanto afferma il cristianesimo); tra la pratica prefigurativa degli anarchici e quella degli ebrei chassidici, che si riuniscono e seguono determinate regole per fare comunità qui e ora («la nostra rivoluzione significa che noi, raccolti in una piccola cerchia, in un’autentica comunità, stiamo forgiando una nuova vita»30); senza dimenticare la figura del paria, che impregna fortemente tanto gli immaginari collettivi anarchici quanto quelli ebraici, in ragione delle persecuzioni e degli esodi subiti.

Viceversa, sembra che Emma Goldman abbia avuto ben pochi contatti con le comunità afroamericane, latinoamericane e autoctone, anche se era molto vicina al sindacato rivoluzionario dell’Industrial Workers of the World (IWW), apertamente anti-razzista e ostile alle campagne condotte sulla costa Ovest da certi sindacati moderati contro l’immigrazione e la manodopera cinese. Nondimeno, appoggiava gli sforzi rivoluzionari dei fratelli Enrique e Ricardo Flores Magón in Messico.

Un testo intitolato Scientific Anarchism, pubblicato all’epoca nella nuova rivista «Political Science Quarterly», è anch’esso d’aiuto per cogliere il contesto socio-politico all’interno del quale si inscrive Emma Goldman. Il suo autore, Herbert L. Osgood, da poco dottorato in scienze politiche, rigetta la tesi che l’anarchismo sia un prodotto straniero e che di conseguenza siano necessarie restrizioni all’immigrazione per arginarne la minaccia. A suo avviso, l’anarchismo è invece intrinseco alla società statunitense, tanto che diversi elementi della Costituzione esprimono l’ideale anarchico: un argomento che fa eco a quanto sostiene la stessa Goldman (cap. quinto, «Una nuova Dichiarazione d’Indipendenza», infra, p. 129 e cap. sesto, «Una donna senza nazione», infra, p. 133). Secondo Osgood, «l’anarchismo è un prodotto della democrazia [poiché il nostro] sistema politico è fondato sulle idee di libertà e uguaglianza». Non solo, ma la miseria economica e la corruzione politica favoriscono ancor più l’anarchismo, che oltretutto sa come trarre vantaggio dalle libertà d’associazione e d’espressione e dai sistemi di comunicazione generati dal capitalismo dell’epoca (stampa, posta, telegrafo, ferrovie).

Nel suo saggio, Osgood distingue due correnti anarchiche attive negli Stati Uniti: gli «individualisti», che predicano la nonviolenza e la resistenza passiva, e i «comunisti», che predicano la rivoluzione violenta. Il circolo anarchico di Boston rappresenta bene la prima tendenza, la quale, pur considerando lo Stato repubblicano altrettanto dispotico degli Stati monarchici europei, è convinto che «il giorno della rivoluzione armata è passato. È troppo facile annientarla»31. Se Osgood esprime una certa simpatia per questa corrente, è invece molto critico nei confronti della seconda: «Gli anarchici comunisti sono dei rivoluzionari della specie più violenta. […] Solo la polizia e i tribunali possono intervenire. Ecco la prova incontestabile della necessità di un’autorità e di un governo che possa incarnarla»32. L’unica risposta costruttiva all’anarchismo è dunque, secondo lui, l’attuazione di riforme politiche e sociali atte a ridurre i mali sociali e, allo stesso tempo, l’attrazione esercitata dall’anarchismo.

Per parte sua, Emma Goldman è al contempo «comunista» e «individualista». A suo avviso, la classe operaia deve imperativamente organizzarsi in sindacati rivoluzionari come l’IWW, e rovesciare il capitalismo e lo Stato. Ma allo stesso tempo predica l’amore e la sessualità liberi, e insiste sull’importanza di una relazione libera e armoniosa tra l’individuo e la società (giacché lo sviluppo dell’uno dipende necessariamente da quello dell’altra). Il che, ai suoi occhi, è proprio quello che l’anarchismo persegue (cap. secondo, «Anarchismo: per cosa davvero si batte», infra, p. 51).

Gli scritti politici

Emma Goldman ha scritto molto e ha fondato e diretto «Mother Earth», una rivista rivoluzionaria che, tra l’altro, è servita a mettere in collegamento tra loro le lotte sociali e popolari portate avanti in America Latina, in Asia e in Europa. Nel 1910 raggruppa diversi suoi testi, tra cui alcune conferenze, nel volume Anarchism and Other Essays, e quattro anni più tardi firma una monografia intitolata The Social Significance of Modern Drama, che illustra la sua interpretazione socio-politica di opere di narrativa scritte da autori come Henrik Ibsen, August Strinberg, Edmond Rostand, Anton Čhecov e Lev Tolstoj.

Certo, lo stile di Goldman è diretto, polemico, talvolta ironico e privo di gergo tecnico, ma lei non esita a citare le proprie influenze e i propri riferimenti, cosa che dimostra quale avida lettrice fosse e come si tenesse sempre informata sui dibattiti intellettuali dell’epoca. Paragonata ad altri anarchici del suo tempo, si può constatare la sua vicinanza soprattutto a Pëtr Kropotkin, Voltairine de Cleyre e, naturalmente, Alexandr Berkman; in quest’ultimo caso, particolarmente quando sostiene che gli attentati politici sono la conseguenza di una società malata e quando deplora l’inutile crudeltà della risposta penitenziaria nei confronti di chi commette reati33.

La sua rigorosa critica della religione e delle Chiese che controllano lo spirito e i costumi ricorda quella, altrettanto radicale, di Michail Bakunin. La sua difesa del sindacalismo rivoluzionario è molto influenzata dalle pratiche che ha visto mettere in campo prima in Francia, poi tra i ranghi dell’IWW. La sua precoce denuncia della dittatura bolscevica si aggiunge a quella di altri anarchici, come Volin34, Rudolf Rocker35e Alexandr Berkman36. In poche parole, Emma Goldman merita ampiamente di avere un posto nel pantheon degli anarchici più noti in quell’epoca gloriosa in cui l’anarchismo rappresentava una delle forze più influenti, se non la più influente, del movimento operaio rivoluzionario.

Ma è nei testi sulle donne e sul femminismo che la sua originalità e il suo non-conformismo trovano la loro miglior espressione. Anche se alla luce dell’analisi femminista contemporanea possono apparire sconcertanti, questi scritti danno conto delle tensioni e delle evoluzioni che hanno attraversato il movimento femminista. Goldman ha fatto parte di quell’infima minoranza che all’epoca ha difeso sia la libertà amorosa e sessuale sia l’omosessualità. E non ha esitato a criticare i comportamenti dei suoi compagni, in particolare di origini spagnole e italiane: «Tutti gli uomini latini trattano ancora le loro mogli e le loro figlie come esseri inferiori e le considerano alla stregua di mere macchine riproduttive, proprio come faceva l’uomo delle caverne»37.

Come abbiamo visto, l’aver diffuso informazioni sulla contraccezione l’ha portata dietro le sbarre. E non va neppure dimenticato il suo lavoro da infermiera tra le prostitute, cosa che non le ha impedito di paragonare il matrimonio (eterosessuale) a una prostituzione legale. In definitiva, ha dato prova di un impegno e di un’apertura che perfino oggi sono rare tanto tra le femministe quanto tra gli anarchici.

La presente antologia ci consente così non solo di consolidare la conoscenza storica dell’anarchismo e di valutare il cammino percorso, ma anche di vagliare ciò che si è perso per strada, consciamente o meno. E ci ricorda che l’anarchismo resta un movimento filosofico e sociale radicato nella realtà concreta delle lotte e dei rapporti di forza in costante trasformazione.

Note all’Introduzione


  1. Per un affascinante studio sull’importanza dei caffè e dei locali per gli anarchici di origine tedesca nella New York dell’epoca, vedi Tom Goyens, Beer and Revolution: The German Anarchist Movement in New York City, 1880-1914, University of Illinois Press, Chicago, 2007.↩︎

  2. Nel 1893, il governatore dell’Illinois John Peter Altgeld cedette alle pressioni del procuratore Clarence Darrow e concesse la grazia agli ultimi tre condannati, dopo aver constatato la parzialità del giudice e della giuria e scoperto che alcune prove erano state inventate.↩︎

  3. Berkman ricorda che «c’è stata un’epoca, nell’antica Grecia, in cui uccidere un despota era considerata la più alta delle virtù» (Alexandr Berkman, ABC of Anarchism, Freedom Press, London, [1929] 2000, p. 22). I celebri attentati anarchici contro teste coronate, presidenti e padroni erano in maggioranza atti individuali compiuti per vendicare una repressione assassina contro scioperanti o manifestanti (cfr. Mike Davis, Les héros de l’enfer, Textuel, coll. «La Discorde», Paris, 2007, pp. 63-94).↩︎

  4. Più precisamente, «contro-pubblico subalterno», espressione utilizzata da Nancy Fraser per designare le femministe che criticano il discorso egemonico; vedi anche Oskar Negt, che qualifica come «spazio pubblico opposizionale» il movimento operaio critico nei confronti dell’opinione pubblica borghese. Cfr. inoltre Kathy E. Ferguson, Anarchist Counterpublics, «New Political Science», vol. 32, n. 2. 2010, pp. 193-214, e Emma Goldman: Political Thinking in the Streets, Rowman & Littlefield, Lanham, 2011.↩︎

  5. Elun Gabriel, Anarchism’s Appeal to German Workers, 1878-1914, «Journal for the Study of Radicalism», vol. 5, n. 1, 2011, pp. 33-65.↩︎

  6. Don Herzog, Romantic Anarchism and Pedestrian Liberalism, «Political Theory», vol. 35, n. 3, 2007, pp. 313-333.↩︎

  7. Fu la celebre anarchica Voltairine de Cleyre a sostituirla sul podio (cfr. Voltairine de Cleyre, Écrits d’une insoumise, Lux, coll. «Pollux», 2018, Montréal-Paris, p. 36).↩︎

  8. Ferguson, Emma Goldman, cit., p. 219.↩︎

  9. Per un approfondimento su tale delicata questione, che suscita ancor oggi molti dibattiti negli ambienti anarchici, vedi Francis Dupuis-Déri, Les anarchistes et la prostitution: perspectives historiques, «Genre, sexualité & société», n. 9, 2013.↩︎

  10. Terence Kissack, Free Comrades: Anarchism and Homosexuality in the United States, 1895-1917, AK Press, Oakland, 2008.↩︎

  11. Bonnie Haaland, Emma Goldman: Sexuality and the Impurity of the State, Black Rose Books, Montréal, 1993.↩︎

  12. Emma Goldman, Gaetano Bresci, «Free Society», 2 giugno 1901 (New York).↩︎

  13. Ferguson, Emma Goldman, cit., p. 251. Ciò detto, lei stessa ammette di avere avuto solo una conoscenza superficiale della condizione dei neri prima di incontrare Paul Robeson (1898-1976) a Londra negli anni Venti. Quest’ultimo, figlio di schiavi, ebbe la possibilità di studiare legge all’università, anche se alla fine optò per il teatro e poi per il cinema, mantenendo sempre viva la vicinanza ai circoli socialisti.↩︎

  14. Kissack, Free Comrades, cit., pp. 12, 24, 99.↩︎

  15. Vedi Emma Goldman, My Two Years in Russia: An American Anarchist’s Disillusionment, and the Betrayal of the Russian Revolution by Lenin’s Soviet Union, Red and Black, Floride, [1923-1924] 2008.↩︎

  16. Kenyon Zimmer, Immigrants Against the State: Yiddish and Italian Anarchism in America, University of Illinois Press, Chicago, 2015.↩︎

  17. Emma Goldman, Vision on Fire: Emma Goldman on the Spanish Revolution, Commonground Press, New Paltz, 1983.↩︎

  18. In seguito anche in Cina e a Cuba.↩︎

  19. Gli anarchici sono tra i primi a subire la deportazione nei campi di concentramento nazisti, tra cui Dachau.↩︎

  20. Francis Dupuis-Déri, «From Zapatistas to Seattle: The ‘New Anarchists’», in Carl Levy, Matthew Adams (a cura di), The Palgrave Handbook of Anarchism, Palgrave, London, 2019, pp. 471-488.↩︎

  21. Nella sua critica alle elezioni, ad esempio, Lucy Parsons paragona la schiavitù dei neri alla sottomissione «al potere del denaro», poiché in entrambi i casi il semplice voto non è stato sufficiente a sbarazzarsi dei proprietari di schiavi nel Sud o dei padroni nel Nord (Lucy Parsons, Wage-slaves vs. Corporations: What Are You Going to Do about It?, «The Liberator», 24 settembre 1905; ripreso in Lucy Parsons, Freedom, Equality & Solidarity: Writings & Speeches, 1878-1937, Charles H. Kerr Publishing Company, Chicago, 2003, pp. 98-101).↩︎

  22. Per uno studio approfondito sulle variazioni nell’uso e poi l’abbandono di questa espressione da parte del movimento operaio negli Stati Uniti, cfr. Helga Kristin Hallgrimsdottir, Cecilia Benoit, From Wage Slaves to Wage Workers: Cultural Opportunity Structures and the Evolution of the Wage Demands of the Knights of Labor and the American Federation of Labor, 1880-1900, «Social Forces», vol. 85, n. 3, 2007, pp. 1393-1411. Per una critica della rimozione in Goldman del problema del razzismo contro i neri negli Stati Uniti, cfr. Jane Anna Gordon, What Should Blacks Think When Jews Choose Whitness? An Ode to Baldwin, «Critical Philosophy of Race», vol. 3, n. 2, 2015, pp. 227-258. Sulla positiva influenza esercitata da Goldman su Kuwasi Balagoon, un membro del Black Panther Party diventato una figura emblematica dell’afro-anarchismo, cfr. Akinyele K. Umoja, Maroon: Kuwasi Balagoon and the Evolution of Revolutionary New Afrikan Anarchism, «Science & Society», vol. 79, n. 2, 2015, pp. 196-220.↩︎

  23. Zimmer, Immigrants Against the State, cit.; Constance Bantman, Bert Altena (a cura di), Reassessing the Transnational Turn: Scales of Analysis in Anarchist and Syndicalist Studies, PM Press, Oakland, 2017.↩︎

  24. Jean-Marc Izrine, Les libertaires du Yiddishland, Alternative libertaire/Le Coquelicot, Paris-Toulouse, 1998 [trad. it. I Libertari Yiddish. Panorama di un movimento dimenticato, «I quaderni di Alternativa Libertaria, 2015].↩︎

  25. Mohamed Saïl, «La mentalité kabyle», in L’étrange étrager. Écrits d’un anarchiste kabyle, cit., p. 115.↩︎

  26. Marquis Bey, Anarcho-Blackness: Notes Toward a Black Anarchism, AK Press, Oakland, 2020; William C. Anderson, Zoé Samudzi, The Anarchism of Blackness, «ROAR», n. 5, primavera 2017.↩︎

  27. Jérôme Baschet, Adieux au capitalisme. Autonomie, société du bien vivre et multiplicité des mondes, La Découverte, coll. «L’horizon des possibles», Paris, 2014.↩︎

  28. Dupuis-Déri, Pillet (a cura di), L’anarcho-indigénisme, cit.↩︎

  29. Michael Löwy, Rédemption et utopie. Le judaïsme libertaire en Europe centrale, Éditions du Sandre, Paris, [1998] 2009 [trad. it. di David Bidussa, Redenzione e utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea, Bollati Boringhieri, Torino, 1992]. Cfr. anche Amedeo Bertolo (a cura di), L’anarchico e l’ebreo. Storia di un incontro, elèuthera, Milano, 2001; e, in una prospettiva più contemporanea, Cindy Milstein (a cura di), There is Nothing So Whole as a Broken Heart: Mending the World as Jewish Anarchist, AK Press, Oakland, 2021.↩︎

  30. Martin Buber, Communauté, L’Éclat, Paris, 2018, p. 32 [trad. it. Antica e nuova comunità, a cura di Gianfranco Ragona, Diabasis, Parma, 2018, p. 28].↩︎

  31. Estratto di un editoriale di «Liberty», vol. 4, n. 3, 22 maggio 1886 (citato da Osgood).↩︎

  32. Herbert L. Osgood, Scientific Anarchism, «Political Science Quarterly», vol. 4, n. 1, 1889, p. 30.↩︎

  33. Cfr., ad esempio, Pëtr Kropotkin, Dans les prisons russes et françaises, Le temps des cerises, coll. «Documents historiques», Montreuil, 2009.↩︎

  34. Volin, La Révolution inconnue, Entremonde, Lausanne, 3 voll., [1947] 2009 [trad. it. La rivoluzione sconosciuta, a cura di Cesare Zaccaria e Giovanna Berneri, Franchini, Carrara, 2 voll., 1976].↩︎

  35. Rudolf Rocker, Les Soviets trahis par les bolchéviques, Spartacus, Paris, [1918] 1998.↩︎

  36. Alexandr Berkman, The Russian Tragedy, Cienfuegos Press, Sanday, Orkney, [1922] 1976.↩︎

  37. Zimmer, Immigrants Against the State, cit., p. 66.↩︎