Castoriadis e le potenzialità della democrazia

Introduzione a ‘La rivoluzione democratica’

Fabio Ciaramelli

2022-04-26

traduzione di Fabio Ciaramelli.

INDICE DEL LIBRO:

INTRODUZIONE Castoriadis e le potenzialità della democrazia di Fabio Ciaramelli // Nota bibliografica // CAPITOLO PRIMO L’istituzione della società e le istituzioni sociali // CAPITOLO SECONDO Potere, politica, autonomia // CAPITOLO TERZO Immaginario e immaginazione al bivio // CAPITOLO QUARTO Psicoanalisi e politica // CAPITOLO QUINTO Quale democrazia? // CAPITOLO SESTO Eredità e rivoluzione // CAPITOLO SETTIMO La «razionalità» del capitalismo

Ripubblicare nel centenario della nascita di Cornelius Castoriadis (1922-1997) i suoi scritti sulla rivoluzione democratica raccolti nella presente antologia, apparsa nel 2001 e da un pezzo esaurita, rende necessario un sia pur rapido confronto con il gran numero di scritti postumi, pubblicati successivamente, che nel frattempo hanno consentito di inquadrare meglio il significato e le implicazioni della sua opera.

Benché non sia qui possibile fare un bilancio ragionato di tutti gli inediti di Castoriadis apparsi in questo ventennio, occorre almeno menzionare la trascrizione in volume di alcuni dei suoi seminari sulla «creazione umana», tenuti dal 1980 all’École des hautes études en sciences sociales1; in secondo luogo, va ricordata la pubblicazione di un certo numero di importanti suoi inediti dedicati al rapporto tra storia e creazione2, fondamentale in tutta la sua opera filosofica3; infine, non può essere sottaciuto che tra il 2012 e il 2020 le Éditions du Sandre hanno raccolto in otto volumi i suoi Écrits politiques 1945-1997, che comprendono testi editi e inediti, curati con grande precisione da Enrique Escobar, Myrto Gondicas e Pascal Vernay.

Tra gli inediti resi disponibili in quest’ultima serie di volumi, mi sembrano particolarmente meritevoli di attenzione, con riferimento alle questioni affrontate nella presente antologia, i capitoli e i frammenti di capitoli che avrebbero dovuto costituire il secondo volume (mai completato) del libro concepito e scritto all’indomani dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS nel 1979 e pubblicato da Castoriadis nel 1981 col titolo Devant la guerre4. Si tratta soprattutto di inediti che, per rispondere alla domanda su «ciò che va difeso» nelle e delle odierne società occidentali (più precisamente, su ciò che «dipende da noi» difendere in esse), s’interrogano anzitutto sulla loro specificità e sulla loro crisi5. Come si vedrà in dettaglio, ma come è opportuno anticipare subito, l’elemento decisivo su cui insiste la riflessione di Castoriadis è la portata emancipatrice delle istituzioni liberali presenti nelle società occidentali contemporanee, delle quali oggi, venticinque anni dopo la sua morte, gli eventi storico-politici confermano al tempo stesso l’importanza capitale e l’estrema fragilità.

L’eclissi dell’autonomia e la resistenza delle istituzioni liberali

L’essenziale di questa problematica così come emerge negli scritti postumi – che in questa sede si potrà solo evocare, nella convinzione che andrebbe indagata, discussa e approfondita in maniera sistematica – è costituito da una serie di osservazioni sulla specificità e sulla crisi delle società occidentali, a proposito delle quali Castoriadis usava scrivere rigorosamente tra virgolette la parola «democrazie»6, ritenendo più corrispondente alla realtà denominarle «oligarchie liberali». Tutto ciò era ben noto7. Ciò che emerge dalla lettura degli inediti è la sottolineatura del ruolo decisivo svolto dalle istituzioni liberali nel regime capitalistico delle società occidentali. Ragion per cui, ogni volta che, a proposito di queste ultime, Castoriadis è portato a sottolinearne la crisi e a criticarne difficoltà e limiti, la sua denuncia non ne colpisce mai la «specificità», ossia le realizzazioni, sia pur parziali, dell’autonomia individuale e collettiva e la loro principale manifestazione: la sempre possibile contestazione della società istituita. Tutto ciò è da lui inteso come un insieme di conquiste della modernità occidentale, che non discendono né dall’avvento del capitalismo né dalla sua logica, ma al contrario dal risultato delle lotte sociali e dei conflitti politici che lo hanno attraversato e alterato. Se, in definitiva, la specificità delle società occidentali è costituita dalle conquiste connesse al significato immaginario dell’autonomia, la loro crisi è legata alle difficoltà di quest’ultimo nel continuare a mobilitare adeguatamente le energie psichiche degli individui sociali. Ciò comporta una vera e propria eclissi dell’autonomia dall’immaginario contemporaneo, sempre più spesso sedotto dalla potenza trionfante della scienza o della religione, che promettono illusoriamente di «dominare» la realtà8. In questo contesto, ciò che emerge negli inediti destinati al secondo volume di Devant la guerre è la necessità di difendere le istituzioni liberali che nelle società occidentali costituiscono la sedimentazione di irrinunciabili conquiste del movimento democratico. Più precisamente, in questi inediti la specificità delle società occidentali è riconosciuta nella loro attitudine a mettere in discussione il proprio assetto istituito, che nelle società tradizionali ed eteronome si presenta e si tramanda come intoccabile e insindacabile; ed è precisato che tale specificità merita di essere difesa perché la sua sussistenza psichica e sociale è la sola in grado di avere ricadute emancipatrici sulla vita quotidiana delle persone.

A questo riguardo, è esemplare il ragionamento condotto in un testo dedicato all’egemonia dell’Islam sulla «rivoluzione iraniana», che risale ai primi mesi del 1981 e che sarebbe dovuto confluire in un capitolo sulla «specificità della creazione europea», da inserire nel secondo volume di Devant la guerre9. Pur riconoscendo fin dalle prime battute dell’inedito che «la rivoluzione iraniana ha offerto un esempio praticamente senza precedenti non soltanto in termini di eroismo e determinazione della popolazione, ma anche in termini di efficacia della sua azione»10, l’analisi di Castoriadis critica duramente gli effetti liberticidi della rinascita dell’integralismo religioso e del dispotismo patriarcale, entrambi oltremodo misogini e omofobici, che hanno dominato la rivoluzione iraniana e l’avvento della Repubblica islamica. Polemizzando con Foucault per l’entusiasmo con cui questi aveva guardato agli eventi iraniani, fino a vedervi «‘una nuova spiritualità politica’ che potrebbe esserci insegnata dall’Islam»11, Castoriadis critica il postulato che implicitamente giustifica un atteggiamento del genere, secondo il quale un movimento di massa vincente, solo in virtù del suo radicamento popolare, meriterebbe un’approvazione convinta, a prescindere da ogni valutazione politica della sua identità, degli scopi che si propone e dei principi che l’ispirano. Alla base di una simile presa di posizione, Castoriadis denuncia l’adesione a un «anti-‘occidentalismo’ che si presenta come anti-imperialismo e come difensore di determinati valori culturali»12 : un’adesione a sua volta acritica, che avalla tali «valori culturali» nella convinzione di non doverne mettere in discussione il carattere eteronomo, e che perciò, per affermare un malinteso «diritto alla differenza», sorvola sulla valutazione degli effetti concreti che la difesa o il restauro dell’eteronomia tradizionale hanno sulla concretezza della vita quotidiana. Ne risulta una differenza radicale tra «la critica dell’Occidente, che è stata condotta, soprattutto in Occidente, in un senso rivoluzionario» e la «critica reazionaria del capitalismo», già denunciata a suo tempo da Marx nel Manifesto13. La linea che consente di discriminare i due atteggiamenti è la presa di posizione circa il processo di emancipazione e autonomizzazione compiuto dalla modernità occidentale. Su questo piano, la valorizzazione delle conquiste di autonomia individuale e collettiva portate avanti dal movimento operaio – e successivamente dalla contestazione giovanile, dai movimenti delle donne e dalle rivendicazioni delle minoranze in lotta per i diritti civili – resta per Castoriadis preliminare e irrinunciabile e coincide con la sostanza delle istituzioni liberali che caratterizzano la forma di vita nelle società occidentali.

L’idea filosofica di creazione e lo studio concreto dell’economia capitalistica

In queste analisi è messa alla prova della concretezza sociale l’idea filosofica di creazione, che a mio parere – in quanto base del progetto politico dell’autonomia – costituisce il contributo più originale dell’intero pensiero di Castoriadis. La lettura degli inediti conferma che un’idea del genere, esattamente nella sua portata ontologica, cioè nella sua attitudine a cogliere la dimensione fondamentale dell’essere, non nasce in astratto, ma muove dall’osservazione e dall’analisi dei fenomeni di cui si occupano le scienze umane: nell’esperienza concreta di Castoriadis, dapprima l’economia e in seguito la psicoanalisi. Dal 1948 al 1970, infatti, Castoriadis aveva prestato servizio come economista in qualità di funzionario internazionale all’OCSE (in inglese OECD, in francese OCDE, cioè all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa); dal 1973 fino alla morte, egli avrebbe poi lavorato come psicoanalista (e il rilievo filosofico-politico della psicoanalisi nel suo pensiero è ben documentato nella presente antologia soprattutto dal quarto capitolo, intitolato per l’appunto «Psicoanalisi e politica»).

Sull’importanza del suo lavoro di economista in un’organizzazione burocratica del capitalismo internazionale – nata nell’immediato dopoguerra per favorire attraverso l’implementazione della crescita economica la collaborazione fra le nazioni europee per meglio mettere a frutto gli aiuti statunitensi del Piano Marshall – ha richiamato l’attenzione lo stesso Castoriadis nell’intervista concessa nel 1990 ad Agora International nel corso del Colloque sulla sua opera tenutosi a Cerisy-la-Salle. In quest’intervista autobiografica, a un certo punto egli diceva: «In alcune delle cose che ho scritto, in modo particolare nel rapporto sulla crescita 1960-1980, si possono leggere, neanche tanto tra le righe, le ragioni profonde del fallimento della politica dei redditi e delle politiche regionali»14.

Le parti più significative di quel rapporto su «I costi sociali della crescita», insieme con un importante testo sulla «filosofia dell’economia», che risale anch’esso al 1970, cioè al momento delle dimissioni di Castoriadis dall’OCSE, sono ora disponibili in lingua italiana15. La loro lettura chiarisce quanto lo studio concreto dell’economia capitalistica, reso possibile dalla sua esperienza di funzionario internazionale, ne abbia influenzato l’opera filosofico-politica16.

Dicevo poc’anzi che il nucleo fondamentale di quest’ultima è l’idea di creazione storica, che non emerge però dall’astratta speculazione, ma dall’azione concreta degli esseri umani. L’analisi dell’economia capitalistica nel secondo dopoguerra fornisce al nostro autore un terreno privilegiato per analizzarne le componenti umane, che non sono riconducibili ai presunti automatismi del mercato. Infatti, all’indomani della seconda guerra mondiale non esisteva un mercato unico europeo, mentre l’integrazione europea, presa di mira dagli organismi internazionali, si proponeva precisamente di pianificarlo e favorirlo. Sennonché, questo intervento mirante a creare un mercato unico, in cui beni e servizi potessero circolare liberamente, scoprì subito di non potersi limitare alla sola economia, dal momento che non sarebbe stato possibile perseguire la crescita economica senza la modernizzazione sociale, senza cioè intervenire sul piano dei comportamenti di massa, prevedendo e favorendo la proliferazione di bisogni indotti e di conseguenza sviluppando nuovi mercati.

Ne consegue l’importanza capitale della domanda di beni di consumo che trasforma l’economia capitalistica del dopoguerra e viene vista e perseguita come un suo essenziale fattore di stabilizzazione. Il suo successo riesce a superare di gran lunga la «razionalità» delle previsioni economiche, perché si radica nell’immaginario collettivo. Infatti, l’incremento dei consumi soddisfa le aspettative crescenti delle masse, al cui interno emergono costantemente nuove aspirazioni e inedite richieste sociali, che però il sistema capitalistico non è in grado di soddisfare, generando al tempo stesso crescita economica ma anche la moltiplicazione di incertezze, malcontento e disagio. Le considerazioni di Castoriadis sull’economia capitalistica diventano così la premessa di una più radicale riflessione teorico-politica che trova la ragione profonda del fallimento della crescita nell’avere individuato erroneamente nel solo incremento dei consumi individuali il vettore fondamentale se non unico della socializzazione. Se è vero che la manipolazione psicologica dei consumatori ha facilitato questo processo, spingendoli verso la privatizzazione e l’apatia, e riuscendo a far diventare l’incremento dei consumi la loro aspirazione fondamentale, è altrettanto vero che ciò non ha evitato la profusione di bisogni sociali insoddisfatti e di gravissimi effetti secondari sul piano dell’inquinamento e della distruzione dell’ambiente.

L’analisi economica sfocia così nella presa di coscienza politica, cioè nell’elaborazione del progetto dell’autonomia, che trova la propria chiave di volta nella messa in discussione radicale della società istituita in vista della sua autotrasformazione democratica. Quest’ultima, però, non va intesa come la realizzazione definitiva di un modello teorico predeterminato, ma come costante apertura all’autodeterminazione individuale e sociale, cioè alla messa in opera mai conchiusa del poter-essere-altrimenti costituivo dell’agire umano.

L’idea filosofica di creazione in Castoriadis emerge esattamente dall’esigenza di pensare questa dimensione fondamentale dell’agire umano, cioè la sua irriducibilità alla necessità ontologica o per meglio dire alla sua più diffusa istituzione. In un punto centrale della sua bellissima Prefazione a Les Carrefours du labyrinthe, Castoriadis sostiene che «pensare è precisamente scuotere l’istituzione percettiva», cioè «scuotere l’istituzione data del mondo e della società», ossia mettere in discussione «i significati immaginari sociali che questa istituzione sostiene»; e poco dopo aggiunge che in questa scossa ha luogo un «momento di lacerazione creatrice», un’«alba diversa e sempre nuova in cui di colpo le cose prendono un altro aspetto in un paesaggio sconosciuto»17. Da questa scossa lacerante e creatrice messa in opera dal pensiero su ciò che si offre in modo apparentemente scontato alla percezione viene a galla il tratto specifico dell’agire umano: il suo strutturale poter-essere-altrimenti.

L’eteronomia istituita e la sua possibile destituzione

Un utile accesso al nucleo filosofico dell’idea di creazione alla base del pensiero di Castoriadis – attraverso cui balzano agli occhi le sue ricadute politiche – è la sua presa di distanza dal celebre incipit di Rousseau, secondo il quale l’essere umano «è nato libero, e ovunque è in catene»18. Viceversa, per Castoriadis non c’è legge naturale, postulato logico o disposizione divina che ci faccia «nascere liberi» (o magari, al contrario, «non liberi»), dal momento che sia la libertà sia eventualmente la stessa assenza di quest’ultima sono esclusivamente una creazione o istituzione umana, di cui l’azione sociale-storica è responsabile. Detto questo, va subito aggiunto che Castoriadis condivide almeno parzialmente la conclusione di Rousseau, poiché a suo parere bisognerebbe dire che gli esseri umani sono quasi ovunque in catene. E questa correzione, cioè l’aggiunta di un quasi, come vedremo tra poco, è semplicemente decisiva19.

In conseguenza di ciò, le catene che quasi dappertutto ci avvincono sono esclusivamente opera nostra, dal momento che costituiscono il primo effetto della socializzazione. Quest’ultima rende umana la vita dei singoli esponenti della specie, facendoli nascere in mezzo a catene pronte ad accoglierli e soprattutto in grado di farsi accettare come «naturali». E tuttavia, benché in molti casi tali catene siano solo immateriali, esse risultano ben salde, essendo radicate in ciò che Aristotele aveva riconosciuto come prevalenza strutturale della polis sui cittadini (politai), allo stesso modo in cui il tutto è superiore alle parti che lo compongono20.

In definitiva, per Castoriadis le catene, che come singoli esseri umani quasi ovunque ci avvincono, sono fondamentalmente la struttura stessa della società di cui facciamo parte e senza di cui non saremmo quelli che siamo, ossia individui che già hanno interiorizzato i significati, i valori e le norme vigenti all’interno dell’ordine simbolico qui e ora istituito, al quale si deve la stabilità e la riproduzione dell’assetto sociale nella sua concretezza.

In conseguenza di ciò, a prescindere dai concreti rapporti di potere che si realizzano nelle diverse società umane, la dominazione fondamentale esercitata sulle persone è innanzitutto quella dell’istituzione complessiva della società, alla quale è da ricondurre l’elaborazione della sua specifica fisionomia culturale e storica. Prima della dominazione di questo o quel determinato gruppo di potere, va dunque riconosciuta la superiorità strutturale di quella che Castoriadis chiama institution première della società e che, nel primo capitolo della presente antologia21, viene radicalmente distinta dalle institutions secondes, cioè dall’insieme delle istituzioni sociali concrete. Tanto l’istituzione originaria della società quanto le istituzioni sociali derivate sono opera della società stessa, che, in qualunque sua forma o momento, sempre già inevitabilmente si presuppone, cioè presuppone la dimensione istituita del sociale e di conseguenza l’impossibilità di attingere il punto zero dell’istituzione. Nessun individuo, nessun gruppo, nessuna teoria può impadronirsi dell’istituzione della società, nessuno può manipolarla ad libitum. Tutti contribuiamo alla sua persistenza e soprattutto alla sua più o meno impercettibile alterazione, spesso attivamente disconosciuta.

Il fatto che la maggioranza degli esseri umani sia «quasi ovunque» in catene non è, dunque, da attribuire alla malaugurata perdita di una mitica libertà originaria, ma all’istituzione stessa della società, attraverso cui quest’ultima socializza i singoli individui inducendoli a considerare naturale e immodificabile la loro soggezione alla società istituita e alla sua legalità positiva. È del tutto escluso che questo o quel gruppo sociale concreto, per quanto potente, possa esercitare il suo dominio totale sull’intera società, senza l’accettazione e il consenso della maggioranza dei membri di quest’ultima. Qui Castoriadis fa suo l’insegnamento del Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie22, al quale si riferisce direttamente o indirettamente in più occasioni, e denomina eteronomia questa sottomissione collettiva a una normatività o legalità che, presentandosi abusivamente come extra-sociale, sembra rendere intoccabile e immodificabile l’adesione degli individui all’immaginario sociale.

Benché questa considerazione o pretesa del carattere intangibile dell’istituzione della società di volta in volta data – e della correlativa indiscutibilità delle rappresentazioni e delle credenze che l’accompagnano e la puntellano – sia di fatto la più spontanea e la più diffusa, tanto dal punto di vista temporale quanto da quello spaziale, bisogna guardarsi dal considerarla «naturale». Tutto il discorso filosofico di Castoriadis mira a ribaltare una simile pretesa. Il punto di partenza di questo ribaltamento è il riconoscimento del fatto fondamentale che l’eteronomia, per quanto diffusa, sia essa stessa a sua volta istituita. Se le cose non stessero così, non sarebbe stato possibile, come invece è avvenuto effettivamente nella democrazia della polis greca e nelle società occidentali moderne, interrompere l’eteronomia, smascherarne la presunta inevitabilità, provarsi a capovolgerla attraverso il progetto filosofico e politico dell’autonomia. Perciò gli esseri umani sono quasi ovunque in catene. Ecco perché l’aggiunta di quel quasi è decisiva.

Le implicazioni radicali delle istituzioni liberali

Abitualmente quando si parla di liberalismo ci si riferisce alla restrizione dei poteri governativi o alla salvaguardia dei diritti individuali tanto sul piano economico quanto sul piano giuridico. Gli inediti di Castoriadis invitano a rinvenire alla sua base un significato più radicale. In realtà, la già evocata portata emancipatrice delle istituzioni liberali si rivela ai suoi occhi irriducibile a ciò che nella Modernità viene rivendicato come «individualismo liberale». Quest’ultimo, infatti, persegue come scopo fondamentale, secondo quanto aveva sostenuto Benjamin Constant, «la sicurezza nelle gioie [o, forse meglio, nelle gratificazioni: jouissances] private», al punto che, a differenza degli antichi, i moderni «chiamano libertà le garanzie accordate da parte delle istituzioni a tali gratificazioni»23. Secondo Castoriadis, questo ripiegamento sul godimento immediato dei propri diritti, amputati della loro radice sociale, non sarebbe neanche possibile senza la sedimentazione, nelle società occidentali, dei «risultati istituzionali delle grandi lotte politiche e sociali del passato»24. Sono, in realtà, quelle lotte e l’istituzionalizzazione dei loro risultati che hanno contribuito a creare le condizioni sociali e psichiche per la realizzazione dell’autonomia. Ne risulta che quest’ultima non deriva né discende dal capitalismo, ma che viceversa lo attraversa e lo altera. Scrive Castoriadis in un lungo passo inedito che, a questo punto del nostro discorso, merita di essere citato in extenso:

È da questo movimento, e non dal capitalismo, che nascono le istituzioni «democratiche» o liberali che esistono nelle odierne società occidentali. Diritti e libertà civili e politiche, limiti posti agli atti dello Stato o agli «automatismi» dell’economia non sono «prodotti dell’infrastruttura capitalistica» né regali fatti al popolo dal capitalismo per ingannarlo. Sono stati strappati e imposti al regime ogni volta vigente da secoli di lotta multiforme che hanno preceduto l’avvento del capitalismo e che sono costati oceani di sangue e montagne di cadaveri. L’evidenza storica è talmente imponente che discuterne è derisorio. Va sottolineato un solo punto capitale, in genere dimenticato in questo tipo di discussioni: nessuna di queste istituzioni potrebbe funzionare un solo istante se non esistesse nella società, in maniera intensa e rilevante, un tipo di individuo dotato della capacità e della volontà di far funzionare quelle istituzioni, cioè capace di opporsi all’autorità, pronto a mettere in discussione la legittimità e la legalità di questo o quell’atto, ad affermare i suoi diritti e a lottare per questi ultimi. Questo tipo di individuo, tipo antropologico che non va in alcun modo considerato qualcosa di scontato, è la contropartita e la parte vivente di quelle istituzioni che, senza di lui, resterebbero lettera morta e forma vuota. Il suo avvento è stato, al tempo stesso, l’effetto e la condizione del movimento verso l’autonomia nelle società occidentali. Orbene, non soltanto non c’è nulla nell’istituzione capitalista e nelle sue tendenze immanenti che tenda a produrlo, ma tutto vi si oppone e tende invece a produrre un tipo di individuo radicalmente opposto al precedente. L’essere umano prodotto dal capitalismo non si cura e non deve curarsi di nient’altro che dei suoi interessi economici, ma non dei suoi diritti né dei suoi obblighi politici (se non nella misura in cui possono rivelarsi «utili» ai suoi interessi). Insomma, nella prospettiva capitalista, l’individuo esiste e deve esistere solo come individuo separato, legato agli altri unicamente dal calcolo; per lui, la società dev’essere quell’insieme di molecole che risultano collegate tra loro solo dalla gravitazione economica. Creando le città (o cambiandone il carattere) la proto-borghesia europea ricostituisce una sorta di equivalente della polis antica, nel senso di una comunità politica che vuol assumersi la responsabilità della cosa pubblica. Ma nello spirito del capitalismo la politica non ha ragion d’essere, essa è tutt’al più questione di ingegneria sociale25.

Da questa impostazione risulta che la prima e fondamentale conquista, provocata dal progetto dell’autonomia nelle società occidentali, è la fine dell’indiscutibilità del potere costituito e dell’autorità vigente. Questa è la specificità della creazione storica che ha avuto luogo nelle società occidentali. E in questa specificità consiste il superamento dell’eteronomia istituita. Ciò che aveva già avuto luogo nella società greca antica, attraverso la creazione congiunta di filosofia e politica, rendendo possibile la messa in discussione radicale e illimitata del dato e dell’istituito, costituisce ancora l’asse portante della società occidentale moderna. Invece di socializzare gli individui in modo da indurli a introiettare i significati, i valori e le norme istituiti, tanto da considerarli immodificabili e insindacabili, come se sottomettersi passivamente a essi fosse un destino ineluttabile dell’essere umano, le società occidentali moderne riconoscono la legittimità del dissenso, rendendo così possibile la libertà come imprevedibile deviazione dell’agire individuale, che non si limiterà a collaborare alla reiterazione del già istituito. Nelle società in cui le tradizioni e i privilegi imposti dalla tradizione sono stati distrutti, la lotta e i conflitti sociali e politici impongono allo Stato di conferire almeno parzialmente realtà effettiva alle sue pretese universalistiche. Ne consegue che nelle società occidentali contemporanee:

il potere effettivo appartiene, con ogni evidenza, a degli strati capitalistici e burocratici, ma in esse questo potere è effettivamente limitato, sotto molti punti di vista, al tempo stesso dall’istituzione formale di un regime politico (nel senso più ampio) che garantisce la legittimità della lotta sociale e politica e i diritti individuali (che cioè garantisce, a questi ultimi, una sfera formalmente autonoma di esistenza) e dall’istituzione effettiva di un tipo di individuo per il quale non esiste sacralità del potere e per il quale la messa in discussione dell’autorità è, formalmente ed effettivamente, possibile26.

Castoriadis ribadisce che chiamare democratici questi regimi basati sulla rappresentanza farebbe ridere non solo Aristotele e Rousseau, ma anche Madame de Staël e Constant, e subito dopo insiste anche sul fatto che il conflitto sociale e politico e la lotta per l’autonomia vi hanno conseguito l’istituzionalizzazione della libertà. Ed è solo la «continuazione dell’attività e della lotta»27, cioè la dimensione politica, che potrà difendere e mantenere viva questa libertà, alla cui salvaguardia le disposizioni costituzionali e legali, pur importanti e irrinunciabili, se separate dal sostegno e dall’appoggio della partecipazione politica e dell’opinione pubblica, si dimostrano inadeguate.

A questo punto, Castoriadis si rifà a Tocqueville e alla sua fondamentale scoperta del «grande fatto sociale e politico della Modernità, la tendenza verso l’eguaglianza»; ma aggiunge subito che Tocqueville «non presta attenzione a questo fatto ancora più grande, che ingloba il primo: la messa in discussione dell’istituito, la tendenza affermata dalla Modernità – per la prima volta dopo la Grecia e certo, a conti fatti, in modo molto più radicale che nel mondo antico – a non accettare niente, in linea di principio, sol perché già esistente, a riprender tutto, nell’istituzione data della società, per modificarlo o semplicemente per ‘fondarlo’ de novo e su altre basi»28.

Non si tratta, per Castoriadis, di criticare Tocqueville, ma di riconoscere «il limite del grande pensiero classico: l’impossibilità di riconoscere l’autoistituzione della società. Non è un caso se, davanti a ciò che si svolge sotto i suoi occhi e che egli analizza con incomparabile acutezza, Tocqueville riesca a discernere adeguatamente un significato particolare (certo provvisto di importanza strategica), quello dell’eguaglianza, ma poi non veda lo sconvolgimento [ébranlement] generale dei significati istituiti»29.

L’evento epocale costituito dal diffondersi dell’eguaglianza delle condizioni sembra a Tocqueville naturale o razionale o provvidenziale, sicché egli non s’interroga sulla sua possibile giustificazione e sul suo senso, cioè sul fatto che attraverso di esso riemerge nel mondo moderno in Europa e negli Stati Uniti d’America il progetto di autoistituzione della società, cioè il superamento di quella «frattura istituita tra società istituita e società istituente», in cui secondo gli inediti consiste precisamente l’eteronomia30.

Il circolo della creazione democratica

Il progetto dell’autoistituzione della società è ciò che ha fatto emergere e tiene in vita le rivendicazioni liberali ancora oggi caratterizzanti la struttura fondamentale delle società occidentali. Un progetto del genere, per poter essere efficacemente difeso di fronte alla minaccia proveniente dall’offensiva delle cosiddette democrazie illiberali (rectius: autocrazie), non può fare affidamento esclusivo su garanzie legali o giuridiche:

La sola soluzione è l’attività delle persone. Ma non si può vedere in questa attività un miracolo che avrà luogo o non avrà luogo […]. Il desiderio e la capacità dei cittadini di partecipare alle attività politiche sono essi stessi un problema e un compito politici. Almeno parzialmente, derivano da istituzioni in grado di […] creare dei cittadini orientati verso questa dimensione e non verso la protezione delle loro gratificazioni [jouissances]. Ecco il punto. Ed è questo che occorre istituzionalizzare31.

Incontriamo qui il tema della paideia democratica e il suo paradosso logico32, il fatto cioè che l’avvento della rivoluzione democratica non sarebbe possibile senza la formazione – cioè l’istituzione sociale – di cittadini che ne abbiano la capacità e il desiderio. Il compito politico della democrazia consiste appunto nel prendere di mira l’istituzione di cittadini democratici, cioè di cittadini responsabili e quindi capaci di autolimitarsi. Scrive Castoriadis:

La questione della democrazia non è altro che la questione dell’autonomia sul piano sociale. Essa è costituita da due asserzioni: il popolo può fare tutto; il popolo non deve fare qualunque cosa – nonché dall’impossibilità di definire una volta per tutte ciò che non deve esser fatto (e correlativamente, certo, anche ciò che deve esser fatto) e inoltre, quand’anche ciò fosse stato definito, dall’impossibilità di garantire effettivamente, in maniera ultima, irrevocabile e inoppugnabile, che queste definizioni non saranno trasgredite o abbandonate nella pratica. La questione della democrazia è simultaneamente la questione della creazione politica e la questione dell’autolimitazione di questa creazione33.

Poiché in ultima analisi non può basarsi che sull’autolimitazione, la democrazia in quanto realizzazione sociale dell’autonomia non ha altra «garanzia ultima» che

l’educazione democratica dei cittadini – cioè la fabbricazione di individui democratici – che non è solo e non è tanto compito della «scuola», ma abbraccia tutti gli aspetti dell’istituzione della società, e in primo luogo concerne quella scuola della democrazia che è l’autogoverno (l’autogestione, la gestione collettiva delle attività sociali) a tutti i livelli. Sennonché, questa educazione democratica dei cittadini sono ancora i cittadini – e i dispositivi esistenti – che devono realizzarla; chi ha reso democratici gli uni e gli altri? È ben noto da sempre che c’è qui un begging of the question, una petizione di principio, un circolo vizioso. Però, proprio questo circolo, in certi casi, è stato rotto dalla storia. E proprio questo fatto illustra ciò che io intendo per creazione storica – e per creazione in generale. C’è creazione quando quel che «analiticamente» appare come impossibilità di «risposta a una domanda» – perché la parte A di questa risposta non può esser data se la parte B non è già posta, ma d’altro lato questa parte B non può esser posta senza che sia stata già data la risposta alla parte A – si risolve perché le parti e i pezzi che formano il nuovo eidos – sulla cui base quest’ultimo viene formato – e che separatamente non hanno né realtà né senso, sono posti fin dall’inizio tutti insieme3434.

Dal punto di vista logico, siamo di fonte a un circolo vizioso. Ma la storia – cioè il poter-essere-altrimenti che caratterizza l’agire umano – ha dimostrato di poter interrompere la ricorsività dell’impossibilità logica. Altrimenti la rivoluzione democratica non sarebbe stata possibile. Il fatto che le sue conquiste non siano, in ultima analisi, garantite da nulla se non dall’azione collettiva rimessa alla nostra responsabilità storico-sociale non fa che renderle più preziose.

Note all’Introduzione


  1. Operazione già incominciata nel 1999 con la pubblicazione del seminario del 1984-85, o per meglio dire della sua parte essenziale, dedicata all’analisi dettagliata di un dialogo di Platone: cfr. C. Castoriadis, Sur «Le Politique» de Platon, Préface de Pierre Vidal-Naquet («Castoriadis et ‘Le Politique’», pp. 7-13), Présentation de Pascal Verney («La pensée vivante au travail», pp. 15-19), Seuil, Paris, 1999. Nel 2002 viene poi stampato il primo volume della serie dei seminari sulla creazione umana (cfr. C. Castoriadis, Sujet et vérité dans le monde social-historique. Séminaires 1986-1987. La Création humaine, 1, texte établi, présenté et annoté par Enrique Escobar e Pascal Vernay, Seuil, Paris, 2002), cui finora hanno fatto seguito tre volumi sulla Grecia antica, tutti a cura di Enrique Escobar, Myrto Gondicas e Pascal Vernay: cfr. C. Castoriadis, Ce qui fait la Grèce, tome 1: D’Homère à Héraclite. Séminaires 1982-1983. La Création humaine II, précédé de «Castoriadis et la Grèce ancienne» par Pierre Vidal-Naquet, Seuil, Paris, 2004; Ce qui fait la Grèce, tome 2: La Cité et les lois. Séminaires 1983-1984. La Création humaine III, précédé de «Castoriadis et l’héritage grec» par Philippe Raynaud, Seuil, Paris, 2008 e infine Ce qui fait la Grèce, tome 3: Thucydide, la force et le droit. Séminaires 1984-1985. La Création humaine IV, précédé de «Le germe et le kratos: réflexions sur la création politique à Athènes» par Claudia Moatti, Seuil, Paris, 2011.↩︎

  2. Cfr. C. Castoriadis, Histoire et création. Textes philosophiques inédits (1945-1967), a cura di Nicolas Poirier, Seuil, Paris, 2009.↩︎

  3. Cfr. Emanuele Profumi, L’autonomia possibile. Introduzione a Castoriadis, Mimesis, Milano, 2010 e Nicolas Poirier, L’ontologie politique de Castoriadis: création et institution, Payot, Paris, 2011. Gli aspetti filosofici dell’opera di Castoriadis sono stati, negli ultimi anni, al centro di importanti contributi all’intelligenza del suo pensiero, tra i più interessanti dei quali segnalo anzitutto quello di Alfredo Ferrarin, La prassi, l’istituzione, l’immaginario in Castoriadis, «Discipline filosofiche», XXIX (2019), n. 2, pp. 121-150. Senza nessuna pretesa di completezza, segnalo inoltre i testi raccolti in due recenti volumi miscellanei (Imaginer l’autonomie. Castoriadis, actualité d’une penseée radicale, a cura di Vincent Descombes e Florence Giust-Desprairies, Seuil, Paris, 2021 e Les Carrefours du temps. Temporalité et histoire dans l’œuvre de Cornelius Castoriadis, a cura di Thibaud Tranchant e Stéphane Vibert, Québec, PUL, 2021) e nel numero monografico della rivista «Paideutika» (32/2020) dedicato a Cornelius Castoriadis e l’educazione. Non vanno, infine, dimenticati i riferimenti a Castoriadis in Pierre Dardot, Christian Laval, Del comune, o della rivoluzione nel XXI secolo, trad. A Ciervo, L. Coccoli e F. Zappino, DeriveApprodi, Roma, 2015, pp. 320-352 (su cui richiama l’attenzione Roberto Esposito nel capitolo dedicato a Claude Lefort in R. Esposito, Il potere istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, Einaudi, Torino, 2020, pp. 167 ss.).↩︎

  4. Cfr. C. Castoriadis, Devant la guerre 1, Fayard, Paris, 1981.↩︎

  5. Il secondo volume di Devant la guerre sarebbe dovuto risultare dall’assemblaggio, mai portato a termine dall’autore, dei materiali ora leggibili in tre differenti volumi degli Écrits politiques; più precisamente, nel secondo tomo del quarto volume: cfr. C. Castoriadis, «Spécificité et crise des sociétés occidentales» (1981), in Id., Écrits politiques 1945-1997, vol. IV, Quelle démocratie?, t. 2., Éditions du Sandre, Paris, 2013, pp. 111-220; nel sesto volume: cfr. C. Castoriadis, «Matériaux pour Devant la guerre 2» (1981-1983), in Id., Écrits politiques 1945-1997, vol. VI, Guerre et théories de la guerre, Éditions du Sandre, Paris, 2016, pp. 351-501, e nei «complementi» del settimo volume: cfr. C. Castoriadis, Écologie et politique, in Id., Écrits politiques 1945-1997, vol. VII, Éditions du Sandre, Paris, 2020, pp. 395-405. Sull’attualità dell’analisi castoriadisiana dell’espansionismo russo nei giorni della guerra all’Ucraina ha opportunamente richiamato l’attenzione Raffaele Alberto Ventura in un suo articolo leggibile al seguente indirizzo elettronico: https://legrandcontinent.eu/it/2022/02/25/castoriadis-il-filosofo-che-aveva-denunciato-lespansionismo-russo/.↩︎

  6. Si veda per esempio il titolo originale di un testo del 1989, apparso sul settimanale «L’Express»: Le grand sommeil des «démocraties», ora in Castoriadis, Écologie et politique, cit., pp. 405 ss.↩︎

  7. Nella presente antologia, questo ragionamento è svolto esplicitamente soprattutto nel quinto capitolo, intitolato «Quale democrazia?», che risale al 1990.↩︎

  8. Si veda per esempio la conclusione di un testo del 1987, intitolato Voie sans issue?: «Nello stesso momento in cui si espande il furore della ‘potenza’, il feticismo del ‘dominio razionale’, nello stesso momento sembra subire un’eclissi l’altro grande significato immaginario creato dalla storia greco-occidentale, quello dell’autonomia, in particolare politica» (C. Castoriadis, L’enigma del soggetto. L’immaginario e le istituzioni, a cura di Fabio Ciaramelli, trad. Riccardo Currado, Dedalo, Bari, 1998, pp. 286-287).↩︎

  9. Castoriadis, «L’Iran e l’Islam», in Écologie et politique, cit., pp. 395-400.↩︎

  10. Ivi, p. 395.↩︎

  11. Ibid.↩︎

  12. Ivi, p. 398.↩︎

  13. Cfr. ivi, pp. 398-399.↩︎

  14. La trascrizione completa dell’intervista è online: https://www.agorainternational.org/fr/CCAIINT.pdf. Per la biografia di Castoriadis, cfr. François Dosse, Castoriadis. Une vie, La Découverte, Paris, 2014.↩︎

  15. Tradotti entrambi in C. Castoriadis, Contro l’economia. Scritti 1949-1997, a cura di Raffaele Alberto Ventura, Luiss University Press, Roma, 2022, pp. 87-102. Prosegue e aggiorna il medesimo ragionamento l’ultimo capitolo della presente antologia (intitolato «La ‘razionalità’ del capitalismo»), terminato dall’autore pochi mesi prima della morte.↩︎

  16. Questo aspetto, finora rimasto nell’ombra, è adeguatamente sottolineato da Raffaele Alberto Ventura nel suo importante articolo Castoriadis fonctionnaire. Un philosophe à l’OCDE (1948-1970), «Esprit», septembre 2021, e nella sua ottima Introduzione (pp. 7-54) all’antologia citata nella nota precedente.↩︎

  17. C. Castoriadis, Les Carrefours du labyrinthe, Seuil, Paris, 1978, p. 21.↩︎

  18. Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, trad. Jole Bertolazzi, Introduzione di Alberto Burgio, Feltrinelli, Milano, 2003, p. 60.↩︎

  19. Il passo di Castoriadis riassunto nel testo è l’inizio di un intervento «politico» apparso in «Le Monde» nel 1983, ripreso in C. Castoriadis, «Quelle Europe? Quelles menaces? Quelle défense?», in Id., Domaines de l’hommes, Les Carrefours du labyrinthe II, Seuil, Paris, 1986, p. 86 (che si può leggere in traduzione italiana nel capitolo intitolato «Quale Occidente?», in Castoriadis, Contro l’economia, cit., pp. 187 ss).↩︎

  20. Aristotele, Politica I, 1253 a 19-31.↩︎

  21. Il cui titolo originale è appunto Institution première et institutions secondes, tradotto in italiano con la formula «Istituzione della società e istituzioni sociali».↩︎

  22. Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, trad. Fabio Ciaramelli, Introduzione di Paolo Flores d’Arcais, Chiarelettere, Milano, 2020, su cui cfr. Fabio Ciaramelli, Ugo Maria Olivieri, Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, Mimesis, Milano, 2013.↩︎

  23. Cfr. Castoriadis, «Le grand sommeil des ‘démocraties’», cit., p. 406, ove viene citato e commentato il celebre passo di Benjamin Constant, tratto dal suo discorso su La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di Luca Arnaudo, Liberilibri, Macerata, 2020²).↩︎

  24. Castoriadis, «Le grand sommeil des ‘démocraties’», cit., p. 406.↩︎

  25. Castoriadis, «Spécificité et crise des sociétés démocratiques», cit., pp. 118-119.↩︎

  26. Ivi, p. 121.↩︎

  27. Ivi, p. 122.↩︎

  28. Ivi, p. 158.↩︎

  29. Ivi, p. 160.↩︎

  30. Castoriadis, «Domination et hétéronomie», in Écologie et politique, in Écrits politiques 1945-1997, vol. VII, cit., p. 393.↩︎

  31. Castoriadis, «Universalisme et démocratie», ivi, p. 436.↩︎

  32. Cfr. Castoriadis, La Cité et les lois, cit., p. 214.↩︎

  33. Castoriadis, «Spécificité et crise des sociétés occidentales», cit., p. 186.↩︎

  34. Ivi, p. 187. Cfr. Fabio Ciaramelli, «Le cercle de la création», in Autonomie et autotransformation de la société. La philosophie militante de Cornelius Castoriadis, a cura di Giovanni Busino, Droz, Genève, 1989, pp. 87-104 e Id., Il circolo della «paideia», «Paideutika», n. 32, 2020, pp. 77-92.↩︎