Ancora bruschi

Introduzione a ‘Modi bruschi. Per un’antropologia del maschio’

Franco La Cecla

2022-03-10

INDICE DEL LIBRO:

INTRODUZIONE Ancora bruschi // PREMESSA I baffi gialli di nicotina // Cappello // CAPITOLO PRIMO Antropologia del maschio // CAPITOLO SECONDO Disgraziati // CAPITOLO TERZO Dovuta a Ivan Illich // CAPITOLO QUARTO Dominio // CAPITOLO QUINTO Maschi mediterranei // CAPITOLO SESTO Imbranati // CAPITOLO SETTIMO Apprendistato // CAPITOLO OTTAVO Legami maschili // CAPITOLO NONO Paternità illegittime // Coda // Riferimenti bibliografici

È strano doversi rammaricare della giovinezza di un libro. Eppure che peccato che in questi sette-otto anni dalla sua prima uscita nulla di nuovo sotto il sole sia comparso ad arricchirne gli spunti. Sarebbe bello se il dibattito sulla mascolinità riuscisse a superare, da una parte, la soglia misera degli stereotipi post-femministi e, dall’altra, la soglia ancora più misera del masculine pride, dell’orgoglio maschile o del suo contrario, l’umiliazione maschile. Quello che mancava allora e che manca ancora – e che in questo libro era un inizio – è un’esplorazione della dialettica dei sessi, della dialettica dei generi, un’esplorazione delle morfologie, della maniera di disporsi della mascolinità per far fronte alla forza sostanziale delle maniere femminili. Come se la politicizzazione delle identità sessuali avesse spento una capacità di cavare, di costruire un’archeologia delle identità sessuali. E ovviamente non basta rivestire le identità da bandiere di scuse, come fanno alcuni movimenti maschili nostrani, che chiedono scusa alle donne della propria inappropriatezza. C’è una tristezza cattolica in queste scuse, come una specie di pentimento tardivo che non risponde al perché dei gesti di dominazione e non dichiara nulla di nuovo, perché quei gesti maschili di dominazione non erano solo dovuti alla «cattiveria» dei maschi, ma a una complessità più profonda di fondamenti della società tutta. L’ingiustizia tra i sessi non ne esaurisce la complessità. Quel che è successo è che si è semplificata la dialettica pensando che bastasse un buon colpo di neutralità queer per superare tutto, hop, d’un balzo.

In un testo di Jacques Derrida, incluso nel volume Psyché. Invenzioni dell’altro1, ci si imbatte in un articolo sull’assenza in Martin Heidegger di qualsivoglia discorso sulla sessualità, di qualsivoglia discorso sulla costituzione maschile e femminile dell’essere. Derrida spiega che Heidegger fa un discorso su ciò che l’essere è prima ancora di definirsi, di darsi nel mondo come maschio e femmina. La «gettatezza» dell’essere è precedente all’antropologia che questa gettatezza si dà. Emmanuel Lévinas riprenderà il tema a partire dalla fenomenologia in un senso che rinnova la gettatezza spostandola «più» nel mondo: è l’essere come compare antropologicamente che gli interessa, con gli a priori di cui l’individuo non risponde perché vi nasce «gettato dentro». In questo senso maschio e femmina non sono due attributi idraulici, due diverse maniere di eccitarsi o di interferire con gli altri esseri, no, anzitutto sono due diverse antropologie. Per questo ritengo che l’antropologia abbia un ruolo fondamentale da giocare ancora nei Gender Studies. Appunto perché l’antropologia ha ancora l’umiltà di partire dall’osservazione, dalla fenomenologia, dalla ricognizione del mondo, dal riconoscimento nel mondo delle differenze dei fenomeni umani. Il compito dell’antropologia nei confronti del sesso è di «fare andare avanti» i fenomeni, come Michel Foucault faceva andare avanti gli scavi della sua archeologia delle identità.

E c’era e c’è moltissimo da scoprire, da cercare, e siamo ancora appena all’inizio. Peccato, perché forse il momento forte è tramontato, siamo tornati in mezzo a un brodino di ovvietà. La nostra società, che del sesso sembra parlare continuamente, ovviamente del sesso sa ben poco e delle relazioni uomo/donna ancora meno. Oscilla tra la condanna delle «generalizzazioni» – non si può parlare di uomini, non si può parlare di donne – e la ricaduta nelle bandiere e banderuole della politica del sesso. Le eccezioni si contano sulla punta delle dita: un bellissimo libro recente di Anne-Marie Sohn, Sois un homme! La Construction de la masculinité au XIX siècle2, racconta il cambiamento che avviene nella società francese dopo l’Ancien Régime, quando agli uomini viene richiesta una «contenzione» della propria esuberanza – risse, litigi, sfide, duelli – per passare a un modello in cui l’uomo non è quello che si butta nella lotta, ma quello che le resiste. Ovvero l’arrivo di un modello borghese dove i valori maschili sono tutti nella cortina che gli uomini devono costruire tra le proprie passioni e la loro espressione. Il libro della Sohn è un ottimo esempio di come si possa fare una storia delle identità sessuali proprio perché queste fluttuano e si trasformano: il che significa che ogni essenzialismo in questo campo è da rigettare, ma allo stesso tempo è da rigettare l’idea che la trasformazione di queste identità sia legata alla capacità politica individuale di plasmare la propria identità. Come nel libro che avete tra le mani si dirà più volte: si è maschi insieme, come si è femmine insieme, e come si è maschi e femmine allo specchio/frontiera gli uni delle altre. E come si è gay o lesbiche o queer insieme. Le identità sessuali non sono «creazioni artistiche», sono una faticosa negoziazione in un rumore collettivo di urla, sospiri, angosce e gioie. La sessualità, l’identità di genere, ci racconta che non siamo mai soli, nemmeno quando ci masturbiamo.

È interessante che questo libro, nella sua traduzione in spagnolo, sia utilizzato da operatori della salute mentale che lavorano con gli adolescenti, perché è questa la condizione in cui l’individuo si trova stretto tra la «conformità» a un genere e le spinte a non essere conforme, spinte che possono essere verso una marginalità dolorosa o verso un’originalità altrettanto dolorosa. L’identità maschile richiede, al pari delle altre, la comprensione e l’assimilazione di una conformità che plasma il corpo e i gesti, le posture e le sensazioni. C’è un inner touch3, una sensibilità interna dell’essere maschi che andrebbe tutta studiata non nelle manifestazioni «folcloristiche» (maschio motociclista, bullo, tangueiro), ma in quelle più sottili del «sentirsi uomo». Le stesse che vengono avocate dai Queer Studies come segnale di un’appropriazione della sensibilità femminile da uomini che cambiano sesso. Il campo più fertile è la letteratura, con le profonde, geniali, insuperabili intuizioni di Jerome D. Salinger nella differenza sessuale tra bambini e bambine del racconto Giorno perfetto per i pesci banana4, per passare alla più specifica rassegna delle sensazioni maschili in Saul Bellow, Philip Roth e John Maxwell Coetzee. Quest’ultimo ci offre nel Maestro di Pietroburgo5 un ritratto maschile di Fëdor Dostoevskij che rende la ricchezza nevrotica, delirante, sensuale del mondo interno dello scrittore russo, le sue pulsioni e le sue commozioni, i suoi desideri violenti e teneri, la sua paternità e il suo senso di disperazione. C’è da essere grati che esista ancora una letteratura di alta qualità che supera di gran lunga la letteratura di «gender» dell’accademia, incapace di guardarsi intorno e di vedere veri uomini e vere donne impegnati a comprendere se stessi. La ripubblicazione di un piccolo capolavoro della letteratura americana come Sylvia di Leonard Michaels6 vale molto più di qualunque studio sulla guerra tra i sessi e sulle sue componenti tragiche, ironiche, passionali, teneri, folli, disperate. La voce del protagonista è una collezione preziosa di imbranataggine, di generosità, di intelligenza, di sensibilità maschile.

Recentemente, Elena dell’Agnese ed Elisabetta Ruspini hanno curato un reader di testi sulla mascolinità italiana7. Ed è interessante che il tema della mascolinità all’italiana stia emergendo da più parti non più come uno stereotipo di cui vergognarsi o da prendere in giro, ma come una costruzione culturale con dignità di attenzione. Oltreoceano uno studioso italo-americano, Fred Gardaphé, ha fatto una ricognizione simile nell’ambito della mascolinità più spettacolarizzata, quella del maschio gangster e mafioso, leggendone la trasformazione mediatica negli ultimi anni (dal Padrino ai Sopranos) e la corrispondenza con i dati e le evidenze della propria esperienza di quel mondo8. Sarebbe interessante ampliare questo approccio chiedendosi su che tipo di modelli maschili si appoggiano intere culture e aree «religiose». L’antropologia delle religioni ha, per esempio, ben poco lavorato su quanto il modello di un trentenne ribelle, circondato da uomini suoi discepoli, con un rapporto privilegiato con la madre, morto in croce per le sue idee, abbia influenzato l’identità maschile occidentale fino a oggi. Il maschio eroico, coraggioso, martire – da Garibaldi a Che Guevara – è la reincarnazione di un modello di mascolinità «celibe» votata alla grandezza, alla rivoluzione e al sacrificio, e molto meno alla famiglia e alla stabilità. Che modello maschile ha l’islam, con il suo profeta, le sue barbe, la sua oscillazione tra una mascolinità tranquilla e commerciante e la rivendicazione guerriera su un mondo di infedeli? Che modello maschile ha l’India, con una società in cui le divinità femminili hanno un peso straordinario, da Kali a Pārvatī, alle dee madri e devastatrici9?

Infine un capitolo a parte è rappresentato dalla questione del desiderio. Siamo sicuri che il desiderio non abbia sesso? Siamo sicuri che il desiderio maschile e quello femminile siano i travestimenti di un unico desiderio? O non c’è in tutte le descrizioni che gli uomini fanno del desiderio femminile e le donne di quello maschile un momento in cui si sente che non si afferrano, che si simulano, che si confondono senza carpire davvero l’unicità dell’altrui desiderio? Ovviamente questo è un campo minato, perché si tratta di sostenere l’idea che la libido, gli istinti, le pulsioni, i desideri possano essere irriconducibili a un’unica lettura. Ho l’impressione che una certa onda post-lacaniana cominci a leggere le cose in questo senso, tenuto conto del fatto che la psicoanalisi ha ancora molto poco lavorato sulla relativizzazione delle proprie categorie, sulla rivisitazione di esse in chiave storica e antropologica. Il desiderio ha una storia e una fenomenologia, ed esse ci insegnano a essere prudenti nel generalizzare, nell’attribuire ai nostri antenati i nostri desideri, come a proiettarli su altre culture, o a proiettarli sull’altro genere.

Modi bruschi rimane un avvertimento. Nella durezza della costituzione maschile, così come essa si manifesta in alcune culture, c’è una strategia strana, ambigua, da comprendere. Si diventa maschi con una buona dose di eliminazione di rotondità, di sfumature anche. Si diventa maschi rinunciando a molte cose, e questo fa sì che l’identità maschile sia di una parzialità disarmante e pericolosa. Ma le cose non stanno in modo molto differente per le altre identità. Si diventa qualcuno abolendosi dentro una buona parte di opzioni positive e possibili. L’identità è una forma di ascesi e «trancia» via fin troppe cose. La sua parzialità viene ricompensata con un segreto di sé che si impara a conoscere e a non dire. La stessa parzialità è una delle radici del desiderio dell’altra o dell’altro. Si rimpiange, sì, si rimpiange con brama, nel femminile, tutto quello che il maschile non è. Oppure si vorrebbe dare al femminile tutto ciò che il maschile pensa di essere. Il maschile si vorrebbe mangiare il femminile o vorrebbe esserne mangiato. È questa dialettica dell’incompletezza che ci rende disperatamente interessanti o inaspettatamente aperti.

Note all’Introduzione


  1. Jacques Derrida, Psyché. Invenzioni dell’altro, Jaca Book, Milano, 2009.↩︎

  2. Anne-Marie Sohn, Sois un homme! La Construction de la masculinité au XIX siècle, Seuil, Paris, 2009.↩︎

  3. Daniel Heller-Roazen, The Inner Touch, Archeology of a Sensation, Zone Books, New York, 2007 [trad. it. Il tatto interno, Quodlibet, Macerata, 2020].↩︎

  4. Jerome D. Salinger, Un giorno perfetto per i pesci banana, in Nove Storie, Einaudi, Torino, 2004.↩︎

  5. John Maxwell Coetzee, Il maestro di Pietroburgo, Donzelli, Roma, 2003.↩︎

  6. Leonard Michaels,* Sylvia, a novel*, FSG Classics, New York, 2007 [trad. it Sylvia, E/O, Roma, 1994].↩︎

  7. Elena dell’Agnese, Elisabetta Ruspini, Mascolinità all’italiana, costruzioni, narrazioni mutamenti, UTET, Torino, 2007.↩︎

  8. Fred Gardaphé, From Wise Guys to Wise Men, Masculinities and the Italian American Gangster, Routledge, New York-London, 2006; Fred Gardaphé,* Importato dall’Italia, e altre storie*, Idea Publications, New York, 2009.↩︎

  9. Sudhir Kakar, Sesso e amore in India, Pratiche, Parma, 1995.↩︎