Recensione di ‘Gli sciamani non ci salveranno’

Stefano Boni

2024-10-04

L’opera di De Matteis si sofferma su un tema che sta destando crescente interesse: una significativa proliferazione di percorsi finalizzati a una connessione con il sacro nel mondo nord-atlantico. La nostra area culturale, segnata dall’impronta plurisecolare di un modernismo razionalista, sembrava destinata all’ateismo o all’agnosticismo in conseguenza al progressivo ridimensionamento delle chiese cristiane. La spiritualità spesso definita new age, con un’etichetta che si dimostra sempre più incapace di coglierne la varietà interna di stili e contenuti, nonostante lo scetticismo di molti, risuona a fasce sempre più ampie della popolazione. È una genealogia di ricerca spirituale ormai vecchia di mezzo secolo che si espande in quest’ultimo periodo caratterizzato da una perdita del senso del mondo, da una crescente difficoltà a sentire la propria presenza in termini demartiniani. È una spiritualità dai tratti scandalosi perché, a differenza dell’ortodossia cattolica centrata su una fede fortemente codificata e imposta da una istituzione verticistica in modo tendenzialmente omogeneo, ha la tendenza a ricevere e ibridare liberamente frammenti di sapienza, pratica, esperienza dalle provenienze più disparate. Inoltre, prevede che il processo di costruzione del percorso spirituale non sia etero-determinato o limitato da dogmi teologici, ma centrato sulla scelta personale. La ricerca del sacro, la connessione all’Uno, l’apertura di canali spirituali, il collegamento alla propria anima possono assumere le forme più diverse: si utilizza l’astrologia, tecniche meditative, cerchi di condivisione, i tarocchi, esercizi di auto-riflessione consapevole, sostanze psicotrope1. All’interno di questo variegato panorama di riemersione del sacro, di cui nel testo si trovano accenni più che una trattazione sistematica, De Matteis ritaglia il suo particolare oggetto di riflessione: gli sciamani contemporanei e in particolare quelli che si occupano dei rituali in cui si fa uso di ayahuasca.

Il testo inizia mostrando la gamma di personaggi che si presentano o vengono catalogati come sciamani, accostando quello noto per aver partecipato all’occupazione filo trumpiana di Capitol Hill nel 2021 e Davi Kopenawa, autorità spirituale yanomani. Lo spettro delle ambivalenze associate alla figura dello sciamano viene completato con la ricostruzione delle dinamiche, di occultamento e taglio, oblio e riscoperta, del classico Alce Nero Parla. L’attenzione è posta sulla problematica appropriazione culturale nord-atlantica dei simboli, delle parole e delle pratiche sciamaniche. A questi profili iconici si affiancano i risultati della ricerca fatta in rete sulle offerte di percorsi sciamanici, la partecipazione ad alcuni rituali di ayahuasca, interviste a utenti e operatori di tali esperienze e un “esperimento di ricerca che ho condotto tra ottobre e novembre 2019 quando ho discusso di ecologia con donne e uomini tra i venti e i trent’anni” (p. 131).

De Matteis ci fa entrare nel mondo dell’ayahuasca, ma lo scetticismo che nutre rispetto alle pratiche inibisce una piena accoglienza del senso che gli utenti danno alla loro ricerca spirituale. In un’ottica antropologica disturba che l’illustrazione della complessità e ambivalenza delle pratiche spirituali sia soffocata da un ricorrente giudizio: il testo ci guida in primis a sposare il disincanto dell’autore.

Una trattazione così impostata associa la ricerca di spiritualità a personalità confuse e ingenue. Si delinea una sorta di “profilo” psicologico ritenuto “inquietante” e “schizofrenico” semplicemente perché al tentativo di liberarsi “dal giogo della sottomissione a una società inquinata” si affianca una vita familiare stabile e un’attività professionale solida. Nella visione dell’autore “l’adesione al biologico, al vegano, alle passeggiate nei boschi, alla idealizzazione della natura” diventano “surrogati di naturismo” (p. 85). La priorità data al biasimo non spiega perché l’anelito di sacro sia in continua crescita e perché in molti continuino a nutrirsi e sperimentare percorsi spirituali che ritengono efficaci e gratificanti, presentati dall’autore come “un paradiso terrestre dove fare scoperte interiori, un parco giochi dove ritrovare, con qualche sofferenza, l’intimità più profonda” (p. 121). Una simile impostazione, in cui la critica culturale diventa spesso dileggio, non coglie appieno gli aspetti innovativi della contemporanea ricerca di spiritualità e la cesura rispetto alla religiosità cristiana: “In una società che li [i partecipanti alla cerimonia ayahuasca] ha educati alle trasformazioni, hanno solo rimpiazzato un culto con un altro e quindi vanno a cercare nei luoghi lontani, mai frequentati, anche negando all’Occidente e alla cristianità ogni forma di trascendenza” (p. 75).

De Matteis pare più preoccupato a mostrare i limiti delle esperienze sciamaniche (da qui il titolo dell’opera) che ad addentrarsi nella domanda che mi pare cruciale: perché in un contesto storico teso a esaltare razionalità, scienza e successo materiale una parte significativa del tessuto sociale assume quelli che De Matteis chiama orientamenti “contromoderni”(p. 77)? La risposta spesso non si discosta troppo dagli stereotipi di senso comune.

“Stiamo parlando… di un manipolo di occidentali di mezza età che seguono la via dei nativi addentrandosi in realtà non ordinarie [mossi da] l’attrazione verso qualcosa di oscuro e originario, di primordiale e fuori moda, che però vive nelle rappresentazioni normalizzate e plasmate secondo logiche emancipatorie in linea con i tentativi occidentali di operare una profilassi che toglie all’originale ogni asperità” (p. 95).

Questo passaggio esemplifica una debolezza che emerge a più riprese perché costituisce uno dei cardini narrativi del testo. I saperi spirituali vengono presentati come “originali”, “autentici”, “reali” quando agiti nel contesto culturale di provenienza, mentre quelli praticati oggi in Italia sarebbero inquinati dalla nostra cultura, diventando vuote caricature dei primi. Di conseguenza quelli che operano in Italia, “in realtà, non sono sciamani nel senso tecnico del termine” (p. 87) e alcuni sono classificati come “ciarlatani” (p. 105) o “diffusori di mode” (p. 85). Se sono riconosciuti socialmente come guide spirituali, sta all’antropologo screditarli? Sta al critico culturale certificarne o negarne l’autenticità? Ha senso contrapporre in modo dicotomico pratiche esotiche “autentiche” a surrogati europei truffaldini?

La credibilità degli operatori rientra in una questione più ampia, quella della liceità del prestito culturale in ambito spirituale. De Matteis lamenta “una perdita di discernimento, dovuta alla mancanza di una rigida selezione, di una profondità interpretativa, della comparazione delle fonti, e di una condivisione di riflessioni più che di posizioni nel tentativo di comprensione ragionata e ponderata di quanto accade” (p. 85). Ma i prestiti culturali, l’ibridazione tra mondi umani in nessun caso garantisce la riproduzione “autentica” dell’“originale” o il rispetto del rigore metodologico che desidererebbe un accademico: gli elementi assumono inevitabilmente nuovi significati, a volte o per certi versi più banali di quelli che avevano nel contesto di provenienza. Dove è finita l’antropologia che esaltava l’ibridazione, che rifiutava di collegare certi tratti culturali a essenze collettive, che favoriva le prassi sincretiche? Quando è che un prestito culturale diventa improprio? Ci sono infiniti elementi entrati nel nostro linguaggio, nella produzione mediatica, nello sport, nella cucina, ecc. adottati senza discernimento, senza una rigida selezione, senza approfondimenti a fonti o comprensioni ragionate. Perché la spiritualità contemporanea dovrebbe fare eccezione? Perché per la spiritualità diventa peccato o truffa? Sospetto che una spiegazione si possa individuare in quello che Stefania Consigliere ha chiamato il “bando sull’incanto”2 : la ricerca di spiritualità in contesto nord atlantico, a maggior ragione se auto-plasmata e di genealogia aliena o indecifrabile, suscita di per sé un sospetto aggiuntivo rispetto alle importazioni culturali in altri ambiti.

Le falle che l’autore individua vengono proiettate indiscriminatamente su un mondo complesso e variegato partendo da un campione ristretto di interviste in un settore specifico e mercificato, quello dell’ayahuasca. Si attribuiscono così a chi cerca di incantarsi oggi attraverso un cammino spirituale caratteristiche problematiche, ampiamente diffuse all’intera società, ma che diventano fonte di critica quando associate a percorsi spirituali.

Uno dei ricorrenti biasimi sollevati dall’autore riguarda la mercificazione del rituale dell’ayuhuasca e l’uso di un linguaggio pubblicitario allusivo e salvifico (pp. 90-91). Per l’autore la circolazione di denaro (nei rituali finalizzato a pagare il viaggio di un operatore spesso sudamericano e l’affitto del luogo) di per sé genera il dubbio della mala fede e della manipolazione ma la critica appare paradossale in una società in cui praticamente tutto è mercificato. Inoltre privilegiare la dimensione telematica sia nell’entrata nel campo di ricerca sia nella raccolta di documentazione tende a far scomparire i circuiti di offerta di esercizi spirituali improntati alla gratuità, spesso proposti in gruppi di amici e conoscenti in modo informale, autogestito e faccia-a-faccia (e di cui quindi difficilmente si trova traccia in un’etnografia digitale). La gratuità e l’attenzione ad accogliere chi non può permettersi le spese è ben presente in alcuni di questi circuiti ma non se ne trova traccia nel testo.

De Matteis ribadisce un’altra critica ricorrente a chi intraprende percorsi spirituali: la ricerca personale del sacro è un atto individualista che inibisce qualsiasi cambiamento politico. Nelle parole dell’autore, la “soggettività… si accartoccia su sé stessa”, tende a “rintanarsi nel proprio privato” (p. 123). La ricerca di spiritualità è presentata come contraria a e incompatibile con l’attivismo. Genera “una sorta di regressione” (p. 77); “nè si fa nulla per inventare alternative o inseguire utopie. Questa non volontà sfocia in una sensazione di impotenza” (p. 82). E ancora: “Si esce dal mondo viaggiando in un mondo interiore. Ciò naturalmente non interviene in alcun modo sui sistemi di vita, non crea discussione e teoria, non apre alla condivisione e non innesca conflitti, ma favorisce l’adattamento” (p. 83). Si scade spesso in frettolose generalizzazioni ed esagerazioni: “Il mondo relazionale e comunitario viene annullato: oggi la lotta politica si combatte dentro di sé e per se stessi” (p. 104).

Questa tesi ignora uno degli aspetti più interessanti della riemersione del sacro: la galassia spirituale si sta progressivamente politicizzando in forme collettive e conviviali, andando a comporre una parte importante del movimento contro il Green-Pass e di critica al transumanesimo3. La dicotomia tra ricerca personale del sacro e attivismo politico che fonda la tesi dell’autore, viene in realtà ricomposta, anzi oggi spesso l’anelito spirituale sollecita, guida e plasma il coinvolgimento politico, fenomeno ormai consolidato e di ampia portata per il quale è stato coniato il termine di “spiritual activism”4. Quest’aspetto forse non viene colto perché le preferenze dell’autore è per quegli attivisti che “partecipano agli incontri, alle manifestazioni e seguono le regole del buon cittadino responsabile” (p. 134) mentre gli attivisti spirituali tendono ad aver posizioni più radicali e meno compiacenti con le forme istituzionali di protesta e partecipazione politica.

Il testo di De Matteis ha il pregio di esplorare una tendenza culturale in espansione e mostrarne i limiti e le contraddizioni. La scelta autoriale di privilegiare le ragioni del biasimo, di rimanere ancorato al disincanto razionale modernista, inibisce la possibilità di cogliere il senso di incanto provato da chi pratica l’ayahuasca e i vari altri cammini spirituali. Per capire chi ha visioni diverse dalla propria è necessaria un’empatia e un ascolto relativista che nel testo spesso latita. Eppure la nostra disciplina si è costituita anche grazie alla capacità di sospendere il giudizio per entrare, senza necessariamente sposarla, nella logica della magia, della stregoneria, della trance. Forse questi sciamani non ci salveranno, ma per continuare ad alimentare il sapere accogliente e rispettoso dell’antropologia dovremmo ascoltarli con maggiore attenzione e rispetto; se non c’è questa predisposizione l’etnografia piuttosto che canale di apertura rispetto alla diversità rischia di confermare le dicotomie e i pregiudizi egemonici.

Note


  1. Filoramo, G. (1999), Millenarismo e New Age. Apocalisse e religiosità alternativa, Bari: Dedalo.↩︎

  2. Consigliere, S. (2020), Favole del reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione, Bologna: DeriveApprodi.↩︎

  3. Boni, S. (2023) Tornare in sé. Pandemia. Per una ripresa della coscienza sociale e della resistenza attiva, Torino: Nautilus.↩︎

  4. Keating, A.L. (2008), “I’m a Citizen of the Universe”: Gloria Anzaldúa’s Spiritual Activism as Catalyst for Social Change, Feminist Studies, 34, 1/2, pp. 53-69.↩︎