I Machnovisti tra guerra e rivoluzione

Giampietro N. Berti

2022-11-18

traduzione di Sara Baglivi.

La storia del movimento anarchico internazionale registra nel Novecento due grandi momenti rivoluzionari: la rivoluzione russa e la rivoluzione spagnola. In entrambi i casi gli anarchici si sono trovati a lottare su due fronti: contro i neri e contro i rossi. In Russia i neri erano rappresentati dallo zarismo, in Spagna dal franchismo; i rossi, invece, sono stati sempre gli stessi, con la sola differenza che prima erano agli ordini di Lenin, poi agli ordini di Stalin.

In Russia la lotta contro i neri e contro i rossi è stata portata avanti soprattutto dal movimento machnovista, sulla cui storia esistono varie testimonianze e trattazioni, anche di pregio. Tra queste, per elèuhtera, è stata pubblicata un’opera storiografica (Alexander V. Shubin, Nestor Machno: bandiera nera sull’Ucraina), che di Machno e del machnovismo intende dar conto con un taglio interpretativo incline più alla ricostruzione «tecnica» dello svolgimento spazio-temporale degli avvenimenti che al loro significato ideologico. Ne è risultato un libro molto utile perché offre una esauriente documentazione di tutto ciò che è successo, sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista politico. Il libro di Shubin segue Machno dalla nascita alla morte; comprende, quindi, anche il periodo dell’esilio in Francia, e offre perciò un panorama completo della sua vicenda politica ed umana.

Quello che emerge, innanzitutto, è un quadro di grande violenza che non risparmia nessuno, in un susseguirsi di fatti che cambiano rapidamente le situazioni esistenti perché tutto è sempre fortunoso e precario; un ritmo che rovescia continuamente ogni conquista in una sconfitta e ogni sconfitta in una conquista. A ciò si aggiunga il fatto, enorme, che per oltre un anno – dal 1917 alla fine del 1918 – l’intera Ucraina è sottoposta alla duplice tensione della guerra e della rivoluzione; il che spiega l’intreccio inestricabile di un conflitto allo stesso tempo segnato da una rivoluzione sociale e da una guerra civile.

Questo carattere fortemente dinamico impresso allo svolgimento generale degli avvenimenti conforta la convinzione che la rivoluzione russa abbia avuto, complessivamente, un carattere molto contraddittorio, nel senso che il risultato finale – la conquista del potere da parete dei bolscevichi – non risultava allora tanto scontato ai contemporanei del tempo. Vogliamo dire, in altri termini, che la rivoluzione russa è stata lungi dall’avere quel carattere così marcatamente operaio che la successiva storiografia marxista ha cercato di rappresentare, quello cioè di una rivoluzione vittoriosa della classe operaia, sotto la guida di un partito comunista avente un generale consenso nel Paese.

Tutti sanno che nel 1917 la società russa era composta da circa 140 milioni di individui, di cui oltre 100 erano contadini, mentre gli operai non raggiungevano la quota di 3 milioni. Gli operai, dunque, non superavano il 2,5% dell’intera popolazione. Sempre nel 1917 in tutta la Russia i seguaci di Lenin risultavano 23.600 – totale degli iscritti al partito – e a Pietrogrado, vale a dire nella città dove i bolscevichi riuscirono a attuare il loro colpo di mano, non erano più del 5% di tutti i lavoratori industriali, numero, a sua volta, del tutto insignificante rispetto ad una popolazione complessiva di 2 milioni di persone. Ha ripetutamente scritto Trotsky che, nell’intera Russia, a dar seguito alla presa del potere nell’ottobre del ’17 furono circa 25.000 militanti bolscevichi. Il putsch d’ottobre, avvenuto dopo tre tentativi – aprile, giugno, luglio – di far crollare il governo Kerenskij con agitazioni di piazza, non ebbe pressoché alcun carattere cruento e fu il frutto di circostanze altamente fortuite. Occupate le installazioni chiave della capitale, l’ufficio delle poste e del telegrafo, l’ufficio centrale dei telefoni, il quartier generale del comando militare del governo, i bolscevichi assaltarono il Palazzo d’Inverno. Insomma se non vi fosse stata la guerra, i bolscevichi non sarebbero riusciti a prendere il potere. Conclusione: la rivoluzione d’ottobre non fu una rivoluzione di popolo, ma l’esito fortunato del colpo di mano di un piccolo partito.

Anche se gran parte della dialettica politica che ha dato vita alla rivoluzione si espresse nei grandi centri urbani, la sua autentica natura popolare fu quella datale dalla presenza e dal protagonismo contadino, ideologicamente anarchico nella sua immediata espressione sociale. Come scrisse il capo supremo dell’esercito russo, il generale Alekseevič Brusilov: i soldati, gli operai e i contadini «non avevano la minima idea del comunismo, del proletariato e della costituzione. Volevano la pace, la terra, la libertà di vivere senza leggi, senza ufficiali, senza proprietari terrieri. Il loro ‘bolscevismo’ in realtà non era che una formidabile aspirazione alla libertà senza remore, all’anarchia».

Pare difficile negare l’importanza del movimento machnovista, che proprio di questo carattere è stato senz’altro la sua espressione più radicalmente rivoluzionaria ed egualitaria. Si consideri il fatto che Machno e i suoi seguaci riuscirono a organizzare un movimento politico e sociale in pochissimo tempo e in una situazione altamente caotica. Il seguito popolare di questo movimento era sicuramente notevole, come è dimostrato dai vari tentativi di instaurare un autentico regime egualitario e libertario, perfino all’interno dell’apparato militare.