Introduzione a ‘Nonluoghi’

Marco Aime

2024-02-08

traduzione di Dominique Rolland - Carlo Milani.

INDICE DEL LIBRO:

Introduzione alla nuova edizione di Marco Aime // Prefazione // Prologo // CAPITOLO PRIMO Il vicino e l’altrove // CAPITOLO SECONDO Il luogo antropologico // CAPITOLO TERZO Dai luoghi ai nonluoghi // Epilogo // Riferimenti bibliografici // Nota del traduttore

«I superluoghi sono il sintomo di un cambiamento di scala in un tessuto urbano tendente a un progressivo decentramento (…) rappresentano un’intensificazione del concetto di nonluogo, vale a dire di quegli spazi – centri commerciali, aeroporti, ecc. – isolati dalla realtà cittadina e caratterizzati dall’assenza di scambi sociali»1. Così Marc Augé quindici anni dopo la pubblicazione di uno dei suoi testi più noti, che introduceva nel nostro lessico un neologismo destinato a diventare celebre, ipersfruttato e spesso citato con superficialità se non a sproposito: nonluoghi. Negli anni a venire Augé ha poi continuato a seguire le trasformazioni di quegli spazi urbani di utilizzo transitorio, privi di radicamento al contesto, alle tradizioni e alla storia, che in alcuni casi, con il tempo, sono diventati superluoghi. Come i centri commerciali, dove ci si dà appuntamento, si va in gruppo, in famiglia, ci si passa l’intera giornata, diventano un punto di riferimento. Anche le stazioni, per i pendolari, finiscono per diventare familiari. Allo stesso tempo nascono continuamente altri nonluoghi, spesso nelle periferie, come evoluzioni di paesaggi urbani periferici, mentre spesso i centri storici si trasformano sempre di più in luoghi turistici2.

A queste riflessioni Marc Augé, che ci ha lasciato il 24 luglio 2023, è arrivato dopo un lungo cammino, iniziato con le ricerche in Africa occidentale, da cui nacquero libri profondi come Il senso del male3 e Genio del paganesimo4. Alla fine degli anni Ottanta, si lanciò poi in un’operazione coraggiosa, che fece molto discutere. L’antropologia culturale era, tradizionalmente, lo sguardo dell’Occidente sull’Altro, in questo si distingueva dalla sociologia, ma anche nel metodo dell’osservazione partecipante. Cosa fa Marc? Comincia a osservare i passeggeri della metropolitana sul tragitto che compie ogni giorno e lo fa con lo sguardo «diagonale» dell’etnologo, rivolgendolo però ai suoi concittadini, agli spazi della sua città, dimostrando come sia possibile fare etnografia anche in un luogo familiare. «Se fossimo animati soltanto dal desiderio di incontrare gli altri, potremmo farlo facilmente, senza uscire dai nostri confini, nelle nostre città e nelle nostre periferie» scrive in Un etnologo nel metrò5, sdoganando così la ricerca etnografica fatta a casa propria.

Come una sorta di flâneur curioso e ficcanaso, Augé continua le sue esplorazioni urbane, si concentra sugli spazi e i luoghi più frequentati. La concezione di luogo che Augé sviluppa da queste sue incursioni si fonda sul concetto di «fatto sociale» teorizzato da Marcel Mauss, che riprendendo la teoria di Durkheim, lo definisce come quel fenomeno della vita sociale che, pur essendo specifico, appare in relazione con tutti gli altri, rendendo possibile, attraverso la sua analisi, la lettura complessiva di un’intera società6. Di qui arriva a teorizzare i nonluoghi: spazi che vengono utilizzati, consumati più che essere vissuti nel senso antropologico del termine.

L’opposto del luogo, che è, invece, il prodotto di un’interazione tra uno spazio e la comunità che lo frequenta e organizza secondo determinati principi culturali. È così che avviene il passaggio da spazio a luogo, grazie al fatto che quest’ultimo contiene elementi in cui un gruppo si riconosce, perché vi ritrova elementi legati alla propria storia e alla percezione che ha di se stesso. Allo spazio fisico, geometrico, si aggiunge quindi quello temporale e le due dimensioni sono legate tra di loro dalle relazioni che si stabiliscono con chi le frequenta, facendole diventare fatti sociali.

Sono nonluoghi i grandi centri commerciali, gli aeroporti, le autostrade, caratterizzati dal transito, dal passaggio e non dalla relazione tra individuo e spazio, né da quella tra spazio e territorio. Così come lo sono, in modo molto più drammatico, i campi profughi, popolati di gente sradicata dalla propria casa. Luoghi che potrebbero stare ovunque, indipendentemente da ciò che li circonda, in quanto privi di identità, di storia e di relazioni. Nonluogo per eccellenza è Disneyland, vero e proprio paradosso vivente, in cui la realtà imita la fantasia, dove la realtà diventa surrealtà e il piacere nasce dalla verifica che tutto è come ci si attende che sia. È rassicurante, dà conferme, è uno spazio di transito dove si vive l’effimero7. Se c’è un comune denominatore tra i diversi nonluoghi, questo è il consumo.

Questi spazi sono un prodotto di quella che Augé definisce «surmodernità»: una caratteristica della nostra epoca segnata da una sovrabbondanza di avvenimenti, da una sovrabbondanza spaziale, da un’individualizzazione dei riferimenti e infine da un’accelerazione della storia in cui la velocità ha annullato le distanze e pertanto il tempo prevale sullo spazio. L’eccesso di tempo nasce dal nostro vivere sempre più frenetico e dalla convinzione di poter controllare e dominare tutto ciò che accade, cosa che ha portato a una sorta di accecamento nei confronti della realtà. Avremmo dovuto accorgerci di questo durante la pandemia, che ha messo a nudo la fragilità del nostro sistema e l’incapacità di prevedere il futuro più prossimo. Senza contare che la velocità con cui tutto ciò accade è fuori dal nostro controllo8. L’eccesso di spazio nasce dalla forte accelerazione dei mezzi di circolazione e di comunicazione, per cui gli individui si muovono in un contesto che non è più solo locale, ma anche globale. L’eccesso di individualismo è legato alla sempre maggiore privatizzazione delle nostre vite: siamo sempre più autoreferenziali e meno disposti a concedere tempo per e con gli altri.

Con il passare del tempo le riflessioni di Augé si sono spinte sempre più avanti, gettando luce su alcuni temi fondanti della contemporaneità e, seguendo un sentiero da lui tracciato, è arrivato alla conclusione che, se frequentati con sempre maggiore rapidità, anche i luoghi perdono di spessore e finiscono per diventare sempre più superfici.

Dai nonluoghi si passa poi al con-tempo, bruciando la tradizionale fatica dell’attraversare il presente, su cui sembriamo oggi scivolare senza attrito alcuno. La cornice di tutto questo è la globalizzazione, che ha dato il via a un cambiamento di scala in tutti i settori della vita. Per millenni l’uomo ha vissuto a cavallo di due piani cronologici, che bilanciavano la sua esistenza: dietro di sé aveva un passato più o meno lungo, più o meno conosciuto, con cui fare i conti. Una sorta di pozzo da cui attingere elementi per costruire la sua esperienza, ma anche per erigere la propria identità. Davanti a sé c’era il futuro, un canestro vuoto da riempire con le speranze, le istanze di cambiamento, i sogni. Con la colonizzazione mediatica, passato e futuro sono diventati piccole ancelle del presente: il primo triturato da una valanga di informazioni di rapido consumo; il secondo sempre più vago, immerso nella liquidità di cui parla Bauman, sempre meno incline ad accogliere mete da raggiungere. Il presente, invece, ha assunto la forma di una cupola, che ci sovrasta, nella quale sembriamo investire la maggior parte delle nostre aspirazioni e delle nostre emozioni. Che fine ha fatto il futuro?9 si chiede Augé. Tutto avviene in fretta e si consuma, anche i legami appaiono spesso fragili ed effimeri. L’aggregazione tende a essere di breve respiro e senza prospettive.

Un’altra caratteristica della contemporaneità, dovuta all’intensità e alla rapidità dei movimenti, è la frattura tra i luoghi di produzione della cultura e quelli di fruizione10. La deterritorializzazione, la condizione in cui si trovano individui, gruppi e comunità in seguito al loro spostamento nello spazio fisico e nel loro radicamento, temporaneo o definitivo, dà vita a molteplici «altrove» rispetto al luogo di origine. «In un certo senso, tutto circola e si trova ovunque» ci dice Augé.

Luoghi e nonluoghi non sono però necessariamente in opposizione gli uni con gli altri, ma in una relazione fluida: uno può diventare l’altro. Addirittura, certi monumenti, che sono luoghi per eccellenza, in quanto legati da una relazione storica con un territorio e una comunità, possono trasformarsi in nonluoghi in seguito a una troppo intensa e rapida frequentazione da parte dei turisti11. Basti pensare alla permanenza media di venti minuti dei turisti davanti alla Torre di Pisa. A questo si aggiunga che i centri storici di molte città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada.

Anche i centri commerciali, nonluoghi per antonomasia, con il tempo possono subire delle trasformazioni nella percezione dei loro fruitori. In particolare quelli giovani, per i quali finiscono per diventare veri e propri punti di riferimento, di incontro. Qui si incontrano gli amici, si condivide con loro tempo e attività non necessariamente legate al consumo12. In questo modo un nonluogo diventa luogo ed è stato lo stesso Augé a dire: «Qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo».

Secondo Augé, i nonluoghi sono il sintomo di una crisi che coinvolge le coscienze, a causa del sempre minore interesse per la collettività e la mancanza di valori; le relazioni, sempre meno intense in seguito al ripiegamento su noi stessi; le finalità, cioè la mancanza di un orizzonte comune a cui tendere. La via di uscita, secondo Augé, è l’educazione all’egualitarismo, il superamento dell’individualismo e dei nazionalismi, pericolosamente tornati di moda. Verrà allora, forse, il giorno in cui: «Essere terrestre significherà qualche cosa». Speriamo che la profezia di Augé si avveri in fretta. Ne abbiamo bisogno.

Note all’Introduzione


  1. Fabio Gambaro, Cosa resta dei miei nonluoghi, «la Repubblica», 31 ottobre 2007.↩︎

  2. Cfr. Marco D’Eramo, Il selfie del mondo, Feltrinelli, Milano, 2017.↩︎

  3. Marc Augé, Il senso del male, il Saggiatore, Milano, 1986.↩︎

  4. Marc Augé, Genio del paganesimo, Bollati Boringhieri, Torino, 1982.↩︎

  5. Marc Augé, Un etnologo nel metrò, elèuthera, Milano, 2020 (1992).↩︎

  6. Cfr. M. Mauss, Saggio sul dono, Einaudi, Torino, 2005 (1923).↩︎

  7. Marc Augé, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.↩︎

  8. Thomas H. Eriksen, Fuori controllo, Einaudi, Torino, 2017.↩︎

  9. Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro?, elèuthera, Milano, 2022 (2009).↩︎

  10. Arjun Appadurai, Modernità in polvere, Raffaello Cortina, Milano, 2012.↩︎

  11. John Urry, Consuming Places, Routledge, London, 1995.↩︎

  12. Marco Lazzari e Marcella Jacono Quarantino (a cura di), Adolescenti tra piazze reali e piazze virtuali, Sestante, Ranica, 2010.↩︎