capitolo diciottesimo

Senza illusioni e senza rimpianti

Rileggendo le bozze di questo libro [La pratica dell’utopia di Louis Mercier Vega] ci sembrava di sentir parlare Mercier. C’è tutto lui, in queste pagine, la sua straordinaria esperienza militante e la sua straordinaria cultura cosmopolita, le sue certezze e la sua problematicità di anarchico e di intellettuale. Intellettuale vero, non burocrate della cultura o sacerdote della mitologia: intelligenza tesa a conoscere e capire la realtà, intelligenza rivolta a cogliere i mutamenti negli uomini e nelle cose, sia quelli di segno positivo sia quelli di segno negativo per il progetto anarchico… Poche certezze, molti problemi. La certezza e i problemi di chi riguardava, «senza illusioni e senza rimpianti», a quasi mezzo secolo di anarchismo vissuto intensamente e criticamente, dapprima come agitatore, organizzatore, guerrigliero, poi come instancabile pubblicista e studioso.

«Louis Mercier Vega, cileno» era solo l’ultima identità da lui assunta nel corso di una tumultuosa vita attraverso i continenti, sin da quando, disertore ventenne, si era rifugiato a Parigi con il nome di Charles Ridel. Manovale, pellettiere, strillone, lavapiatti, correttore di bozze, tornitore, era diventato giornalista e direttore di un centro di studi latino-americani. Sempre anarchico, sempre scomodo e lucido osservatore della realtà.

Gli anni della sua formazione come uomo e come anarchico, quelli che lasciano in lui la più forte impronta, corrispondono ad anni cruciali per la storia contemporanea: è il periodo che va dalla metà degli anni Trenta alla metà degli anni Quaranta. Sono gli anni della sua militanza anarcosindacalista nei gruppi di fabbrica dell’Union Anarchiste, della sua partecipazione alla Rivoluzione spagnola, della sua fuga dall’Europa alla volta dell’Argentina, su un cargo greco, quando le truppe naziste premono alle frontiere e il proletariato europeo viene nuovamente ubriacato di patriottismo e mandato al macello. Sono gli anni della grande speranza libertaria e della grande sconfitta, gli anni che segnano forse la fine di un’epoca, di certo l’inizio della lunga eclissi del movimento anarchico.

Situazioni radicalmente diverse si presentano ai pochi militanti sopravvissuti, fisicamente o psicologicamente, alla tragedia spagnola e alla bufera bellica. E pochissimi tra essi – Mercier è uno di loro – riescono a comprendere in tutta la sua drammatica importanza il mutamento: la scomparsa di un certo costume operaio e di una certa cultura proletaria «naturalmente» rivoluzionaria e libertaria; le profonde trasformazioni tecnologiche, economiche, psicologiche, politiche; la rapida ascesa di una nuova classe dominante… Poco più che trentenne quando torna in Francia, conserva e riannoda i collegamenti con i compagni, al di sopra delle frontiere (profondamente internazionalista perché deliberatamente senza patria), e riprende e approfondisce la riflessione già iniziata nel burrascoso decennio precedente, in un continuo sforzo intellettuale mai disgiunto dalla tensione ideale, che prosegue sino alla morte volontaria, nel novembre scorso [1977]. Una fine decisa da tempo e comunicata a pochi intimi, una fine preceduta da alcuni anni di intensa attività, ultimo generoso dono di energie prima dell’estrema affermazione di libero arbitrio.

Non è forse casuale che abbia scelto come luogo per la sua morte una località dei Pirenei [Collioure] dove nel 1939, con un commando di compagni, aveva fatto fuggire un gruppo di spagnoli internati in un «campo di raccolta». Ecco ancora, forse, un segno della «centralità» che avevano per lui quegli anni, di cui, pure, non parlava mai. Con i compagni delle nuove generazioni, con noi, cercava un confronto sul presente, più disposto a imparare che a insegnare. Lui che certo aveva più da insegnare che da imparare.

I cinque saggi che costituiscono il presente volume sono stati scritti originariamente nel 1969 e pubblicati in francese sotto il titolo complessivo di L’Increvable anarchisme. Sono stati largamente revisionati, tagliati, arricchiti e parzialmente aggiornati nei primi mesi del 1977 per l’edizione italiana, cui lo stesso Mercier ha voluto dare il nuovo titolo di La pratica dell’utopia, che è un po’ un altro modo di dire «senza illusioni e senza rimpianti».

È possibile una lettura su due piani di questo volume. Una più semplice, può fermarsi al livello «divulgativo», giustificata dallo stile agile, giornalistico, che rifugge dalle forme erudite, che non usa note a piè di pagina e bibliografie, che salta da un esempio all’altro, muovendosi scioltamente nel tempo e nello spazio. È una lettura possibile e legittima: essa probabilmente spiega le ventimila copie vendute dell’edizione francese. Attenzione però, in questo caso, a non prendere le sue «scorribande storico-geografiche» né per una storia né per una geografia dell’anarchismo. Egli sceglie cose, persone, fatti significativi per il suo discorso e funzionali alle sue ipotesi. L’aggiornamento del panorama dell’anarchismo, ad esempio, è solo approssimativo. La realtà del movimento anarchico in Italia, Spagna, Francia, ecc., è certo molto più ricca e complessa della sua descrizione.

Un secondo e più profondo piano di lettura è quello di procedere con attenzione e partecipazione critica tra le pagine più dense – e ve ne sono molte – e di interrogarsi assieme all’autore sui grandi irrisolti problemi della rivoluzione egualitaria e libertaria. È uno sforzo che merita di essere fatto perché in queste pagine c’è molto di ciò che un uomo eccezionale ha visto, letto, sentito, pensato, discusso, ci sono centinaia di libri, migliaia di opuscoli, articoli, volantini, c’è la conoscenza diretta di una quantità enorme di episodi, di uomini, di luoghi e situazioni…

Scrive Mercier che il militante anarchico deve «imparare a vivere e ad agire in mezzo a una selva di punti di domanda, perché sia la propaganda dottrinale sia le situazioni di fatto esigono una continua messa a punto». Significativamente, quando nel 1974 fonda una rivista internazionale di ricerche anarchiche, insiste per darle il titolo di «Interrogations». Arrivato a un’età in cui è umano adagiarsi su rassicuranti risposte, egli continua a formulare domande. I suoi scritti su «Interrogations» sono in effetti una «selva di punti di domanda». E tanti di quei punti di domanda sono disseminati anche in questi saggi, tante domande cui neppure lui ha saputo o voluto dare risposta. Quello che complessivamente vuole dirci Mercier è che non solo dobbiamo sforzarci di rispondere a quelle domande senza ficcare la testa nella sabbia dei luoghi comuni, degli slogan e della routine militante, ma che dobbiamo continuamente sforzarci di non considerare mai definitive le risposte, perché «ci sono più cose in cielo e in terra che nella nostra filosofia».

Fonte: Presentazione a Louis Mercier Vega, La pratica dell’utopia, Antistato, Milano, 1978.

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