La genesi di «A»

Eravamo giovani, decisamente. Il più vecchio ero io: avevo ventinove anni. Il più giovane, Paolo Finzi, ne aveva diciannove. Gli altri (Luciano Lanza, Fausta Bizzozzero, Nico Berti, Roberto Ambrosoli) avevano tra i venticinque e i ventinove anni. Sto parlando del nucleo centrale dei fondatori di «A» nell’autunno del 1970, quando nasce il progetto della rivista. Giovani e avventati: saggiamente avventati, visti i risultati.

Il progetto nasce in modo singolare, su sollecitazione esterna a quelli che saranno – che saremo – i suoi effettivi promotori. Un piccolo editore romano ci propone, tramite un suo collaboratore (Guido Montana), di dare vita a una nuova pubblicazione anarchica. Nuova, diversa. Il Montana ci suggerisce anche il titolo: «A», graficamente una A cerchiata. Perplessità nostra iniziale sul progetto e sul titolo, poi accettazione. Mentre prepariamo il primo numero, inventandoci grafici e giornalisti, l’editore ha un ripensamento (probabilmente trovandoci troppo anarchici e dilettanteschi per i suoi gusti) e lascia il progetto.

Che fare? Rinunciare? Continuare? Con quali capacità, con quali soldi? Avventatamente e saggiamente decidiamo di esserne capaci e di proseguire da soli. E decidiamo di utilizzare un gruzzolo accantonato nel corso degli ultimi due anni per un progetto – arenatosi – di comune libertaria, sufficiente a malapena a coprire i costi tipografici dei primi tre numeri della rivista. Poi si vedrà, che Bakunin ce la mandi buona.

Il vecchio Bak ce la manda buona. Tirata a diecimila copie, «A» vende da subito sette-ottomila copie, diventando di gran lunga la più diffusa pubblicazione anarchica. La formula che a tentoni, un po’ programmaticamente un po’ sperimentalmente, avevamo adottato funziona, è adeguata ai tempi, tempi di rivolta giovanile e di intensa conflittualità sociale (siamo a ridosso del ‘68 studentesco e del ‘69 operaio) e di inaspettata riscoperta dell’anarchismo (effetto paradossale anche dell’affaire Piazza Fontana).

La formula? Una veste grafica attuale (attuale allora, evidentemente), un linguaggio attuale, contenuti attuali (o attualizzati). Un po’ specchio delle lotte, un po’ riflessione critica, un po’ pensiero di più ampio respiro, un po’ di proposte teoriche innovative (quelle dei Gruppi Anarchici Federati – gaf – cui la rivista faceva riferimento, pur non volendone essere espressione ufficiale), un po’ di riproposizione orgogliosa di identità anarchica…

Eravamo giovani e un tantino presuntuosi. Quel tanto di presunzione necessaria forse a farci credere capaci di ridare giovinezza a un anarchismo che percepivamo come senile, ripetitivo, stancamente e inutilmente retorico, una vulgata che tradiva le potenzialità dell’anarchismo classico…

Ho lasciato la redazione di «A» alla fine del 1974, dopo avere pensato e realizzato il suo passaggio grafico e redazionale al nuovo format magazine, per impegnarmi in altre iniziative editoriali e culturali: la rivista internazionale di ricerche anarchiche «Interrogations», il Centro Studi Libertari «Giuseppe Pinelli», le Edizioni Antistato… perseguendo in altre forme più o meno lo stesso progetto identitario e insieme apertamente innovativo che aveva fatto nascere «A».

Fonte: Così nacque A, «A rivista anarchica», n. 358, dicembre 2010-gennaio 2011.

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