prefazione alla parte seconda

L’orgoglio anarchico

di Tomás Ibáñez

A quelle e quelli di noi che hanno avuto la fortuna di fare qualche tratto di strada con Amedeo nel suo lungo cammino attraverso i sentieri dell’anarchia, è inutile ricordare il suo modo di essere, perché in noi conserviamo ben viva l’impronta preziosa e calorosa della sua presenza. Se ci siamo rassegnati a delineare per gli altri solo un vago ritratto, un profilo dai tratti appena abbozzati, è perché siamo consapevoli che perfino questo succinto ricordo già travalica quello che avrebbe sopportato il suo naturale ritegno, e questo già ci consegna un primo aspetto della personalità di Amedeo.

Sarebbe in realtà una pazzia pretendere di riassumere in poche righe un’eccezionale attività anarchica, che si è svolta su più fronti e si è protratta con una coerenza ineccepibile per più di mezzo secolo. Per questo abbiamo scelto di limitarci a due o tre aspetti che illustrano tutti insieme, in modo simultaneo, l’atteggiamento di Amedeo e la sua concezione dell’anarchia, senza che sia davvero possibile separare in lui questi due tratti.

Un primo aspetto rimanda alla sua preoccupazione di fare sempre coincidere il fare e il dire, di non scindere mai il pensiero e l’azione, pur senza limitarsi a pensare e ad agire, ma facendo attenzione a costruire gli strumenti che permettano di farlo. Per lui non si trattava solo di fondere la teoria e la pratica, ma anche di superare quella scissione disgraziatamente troppo diffusa tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, che porta impercettibilmente a stabilire un rapporto di dominio, una specie di gerarchizzazione occulta, che opera perfino tra compagni e che Amedeo si impegnava con tutte le sue energie a evitare.

Probabilmente, per rispondere a quel bisogno di conciliazione tra il dire e il fare, ha sempre svolto, di pari passo, un’intensa attività di elaborazione e di scambi teorici, organizzando o partecipando a numerosi incontri, animando riviste, pubblicando articoli, dando perfino impulso a una casa editrice, e una altrettanto intensa azione militante, che si è tradotta nell’animare diversi gruppi anarchici, nello sforzo di federarli, ma anche nell’impegno personale in lotte eminentemente rischiose.

All’inizio degli anni Sessanta, questa attenzione a coniugare pensiero e azione lo ha spinto a impegnarsi nella creazione di una rivista di forte impegno teorico, «Materialismo e libertà», mentre più o meno nello stesso periodo attraversava la Spagna della dittatura franchista in missioni di coordinamento e propaganda e organizzava il sequestro del vice-console spagnolo a Milano per salvare la vita di un giovane libertario di Barcellona. Se una sfida al potere comporta sempre dei rischi, è chiaro che questi si ingigantiscono enormemente quando il potere si presenta nella forma di una terribile dittatura. Ma Amedeo non ha esitato ad affrontarli, perché rispondevano alla sua volontà di unire pensiero e azione, anche in circostanze di estremo pericolo.

Questa intensa attività militante che illuminava la lotta libertaria contro la dittatura di Franco, e che non è mai venuta meno, neanche quando, dopo la morte del dittatore, è stato necessario ricostruire, nel corso degli anni Settanta, il movimento anarchico spagnolo, rimanda a un secondo tratto della personalità e dell’azione di Amedeo: il rifiuto di rinchiudersi nella cultura locale, nel contesto nazionale, per aprirsi quanto più possibile all’esterno. Tale volontà di praticare un internazionalismo quanto più allargato possibile, lo ha portato a intessere innumerevoli rapporti con i militanti libertari di un gran numero di paesi. E anche questo è iniziato molto presto, nell’aprile 1966, con il suo impegno a mettere in relazione i giovani anarchici dei diversi paesi europei e, in seguito, con l’organizzazione di incontri internazionali, fra i quali quello davvero spettacolare di «Venezia ‘84», che resterà nella storia del movimento anarchico.

Ma attenti a non fraintendere: questa apertura a quanto palpita al di là delle frontiere riveste un significato che travalica la dimensione puramente geopolitica e simbolizza piuttosto la volontà di operare in modo che l’anarchismo non si chiuda in se stesso e sia invece aperto a quegli scambi e a quelle influenze che possono arricchirlo e rinnovarlo. L’internazionalismo di Amedeo è stato al contempo un mezzo per stimolare gli scambi tra militanti che vivono in paesi e in culture diverse, e un mezzo per rendere fecondo il pensiero anarchico grazie alla condivisione di punti di vista diversi. Questo ci porta a parlare del terzo tratto che ha caratterizzato Amedeo, ovvero la sua convinzione che l’attività anarchica assuma tutto il suo significato solo nel contesto dell’agire collettivo.

Infatti, gli incontri che ha organizzato o ai quali ha partecipato non hanno avuto il semplice scopo di favorire la diversità dei contributi e di mettere in comune le prospettive, ma sono partiti dall’idea di poter creare le condizioni di un lavoro collettivo, il solo che possa produrre risultati assai migliori rispetto alla somma delle elaborazioni individuali, grazie alla sinergia che mette in funzione.

Più in generale, è l’insieme della sua attività militante che si è collocato sotto il segno della dimensione collettiva, e questo ha sviluppato in lui, senza che fosse possibile distinguere ciò che proveniva dalla sua sensibilità personale e ciò che nasceva dal suo interesse per l’agire collettivo, una speciale apertura all’altro, un’invidiabile capacità d’ascolto, fatta insieme di pazienza e di attenzione, che inevitabilmente spalancava la porta all’amicizia, alla solidarietà e alla creazione di un clima denso di affetto.

Se Amedeo era anarchico ed era orgoglioso di esserlo, il movimento anarchico non può non provare lo stesso orgoglio per averlo contato tra le sue fila: ci teniamo ad affermarlo ad alta voce, pur sapendo che senza dubbio egli ci avrebbe criticato per questo.

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